Escot giaceva davanti al negozio di alimentari del suo amico umano sull’isola Isabela, in Ecuador. Era immobile, come se stesse aspettando la morte. «Stava iniziando a tremare – racconta la dott.ssa Tjarda Reints Bok, veterinario del Darwin Animal Doctors, intervenuta in aiuto dell’incrocio di Labrador di 4 anni -. Ero molto preoccupata. Normalmente quando iniziano a tremare non si può fare più niente. È come se fosse il punto di non ritorno». 

Escot era stato avvelenato con insetticidi organofosfati che attaccano il sistema nervoso. «Sull’isola Isabela, come nelle altre isole dell’arcipelago Galapagos, alcune persone vedono i cani come parassiti e cercano di sbarazzarsene – spiega co-fondatore della clinica Darwin Animal Doctors -. Non c’è alcun tipo di informazione in merito ai veleni ed alle sostanze letali che sono a disposizione di tutti, così la gente li usa per risolvere qualsiasi tipo di “infestazione” ignara del pericolo di un eventuale disastro ambientale e potenzialmente mortali sia per l’animale che per l’uomo». 

«La gente non vuole i cani perché li considera una minaccia per la fauna selvatica – continua la dottoressa Bok -. Sull’isola Isabela, la popolazione locale, mette il veleno ai bordi del parco nazionale e ai bordi della periferia del villaggio». 

Il suo proprietario gli aveva strofinato dell’olio d’oliva sul corpo sperando di poterlo aiutare. «Nella Galapagos è usanza usarlo come rimedio naturale ma ovviamente non ha nessun effetto». 

Ma quell’olio ha solo complicato la situazione rendendo quasi impossibile per Bok inserire un catetere nel corpo di Escot in modo da potergli somministrare dei liquidi. «Alla fine ho usato del nastro adesivo per fermare il catetere» spiega la dottoressa. Una volta fissato il catetere, Bok, ha iniziato a pompare fuori il veleno con un farmaco chiamato atropina. 

Escot ha dato subito segni di miglioramento ma non era ancora fuori pericolo. Bisogna portarlo in una clinica a 1,5 chilometri di distanza. Ma era troppo pesante per poterlo portare in braccio. Così si sono improvvisati per trasformare una bici a tre ruote in un’ambulanza di emergenza. 

Uno dei figli era appena ritornato da scuola ed era così preoccupato per Escot che è salito a bordo per coccolare il cane e cercare di tenerlo tranquillo. «È stato un viaggio molto traballante» racconta Bok. 

Forse Escot ha capito che lo stavamo aiutando perché non ha mai mollato. Arrivato nella clinica la dottoressa gli ha somministrato più farmaco mescolandolo al cibo in modo farglielo assumere autonomamente.  

A fine giornata Escot si era già ripreso ed era tornato a casa. «La sera stessa sono andata nel negozio per dargli un’occhiata ed ha iniziato ad abbaiare, come al suo solito – racconta contenta Bok -. Stava di nuovo bene». 

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