di Elena Gaiardoni

La chiamavano Camilla, la Pellegrina. È probabile che sia stato il primo pellegrino a compiere il cammino di Santiago de Compostela in virtù sia delle sue quattrozampe, ma soprattutto in virtù dei suoi occhi che sono la luce di Dajana, non vedente. Occhi dolci e lunghi di un labrador di 4 anni.

«Non parto senza il mio cane» è stato il primo pensiero di Dajana Gioffrè, 25 anni, rimasta cieca a tredici per un’uveite bilaterale – subito non diagnosticata -, quando l’anno scorso ha deciso di avventurarsi lungo il sacro cammino che conduce nella città spagnola dove è sepolto l’apostolo Giacomo il Maggiore. E lo stesso pensiero si ripresentò quando ricevette la proposta del Centro dei cani guida dei Lions di Limbiate. «Non parto senza il mio cane, perché questo non è un viaggio ma il cammino di conoscenza anche tra me e lei, Camilla». Paesi, cittadine, piccoli centri, boschi, prati verdi: è il tragitto di Santiago de Compostela, un paesaggio aperto e adatto a un labrador di tre anni. Ma solo apparentemente facile, bucolico e a misura di animale. In realtà, nonostante la terra sia a misura di animale, là dove l’uomo traccia, quella traccia passa automaticamente ad essere solo a misura d’uomo.

«Ho dovuto preparare più il cammino di Camilla che il mio – racconta Dajana -. Volevo partire da Roncisvalle, ma avevo sentito dire che molti pellegrini, che avevano iniziato da lì, avevano dovuto montare le tende perché i cani non erano accettati negli alberghi lungo la strada. Le città sono molto piccole per cui i cittadini non sono abituati ad ospitare un portatore di handicap più il suo cane. Sembra ancora una stravaganza, un connubio per cui non c’è spazio».

UN ALBERGO PER DUE

Gli esseri umani elevano all’altezza del sacro le spiagge terrene, ma non vedono la «santità» umile che scorre tra un non vedente e il suo accompagnatore.

Per la prima volta il cammino di Santiago de Compostela è stato pensato a misura di un quattrozampe, tracciando sentieri con hotel e ostelli che potevano dire: «Sì, Camilla può entrare. Qui è una pellegrina come gli altri. Non ha un passo diverso da quello di Dajana, anche il suo è un pellegrinaggio, in fondo gli occhi che vedranno Santiago de Compostela saranno i suoi». Non c’è voluto poco per stendere la mappa consona a Camilla.

Insieme a Dajana sono partiti Giancarlo, un educatore della Scuola di addestramento dei cani per ciechi, Giovanni Fossati, presidente del servizio cani guida dei Lions con la moglie Daniela, Ildebrando Gambarelli e la moglie Patrizia. Prima tappa del viaggio in macchina, realizzato anche al contributo di Maxi Zoo con la campagna «Dai una zampa!»: Milano-Sarria. Sull’automobile il cibo per Camilla, che doveva bastare per dieci giorni, la sua ciotola e l’acqua, perché in non tutte le tappe del cammino l’acqua è potabile.

LA MASCOTTE

«Non è frequente che un cieco e il suo cane decidano di affrontare un pellegrinaggio. Non sono pochi gli ostacoli da superare. In cinque tappe Camilla e io abbiamo fatto quasi 150 chilometri, una media di 25 chilometri al giorno. Giancarlo ci aspettava sempre in macchina. Camilla ha messo su dei muscoletti ben definiti che da allora non ha più perduto. Quando passavo da alcune città, la tenevo stretta e mi facevo guidare, quando invece attraversavamo luoghi verdi la lasciavo libera. Allora lei correva avanti, conosceva persone, familiarizzava con tutti al punto è cominciata a diffondersi una voce: «Ma il cane pellegrino è già passato di qui? Tu conosci il cane pellegrino?». Ormai, non solo era stata accettata dai pellegrini, ma la prendevano come punto di riferimento. La cercavano, come se portasse un significato in più tra noi, tra loro, tra tutti».

E quando vedevano il cane pellegrino più di qualcuno si commuoveva e piangeva, perché avvertiva in questa simbiosi tra l’uomo e il cane un nuovo significato di natura sacra del creato. Un significato di stelle, perché se due occhi sono spenti basta che siano accesi due pupille animali, piene di anima per donare a chi non vede la consapevolezza di quanto lo circonda.

LA META

«Per la prima volta lungo il cammino ho avuto la percezione che Camilla avesse capito cosa fossero per me i suoi occhi e che per questo io non l’avrei mai più lasciata, per cui si donava con una gioia che percepivo limpida, autentica, sicura. Come se avesse sentito che veramente, organizzando quel viaggio, ho pensato prima al suo bene, che al mio e che così avrei fatto per sempre».

Camilla corre, scodinzola, si diverte, gioca con una corda, che ancora adesso riconosce come la corda di Santiago de Compostela, ma quando arriva nella grande piazza davanti al santuario si sdraia e non si muove più. Rimane immobile al centro della piazza e tutti la osservano. Chi l’accarezza e c’è ancora chi, per una compassionevole delicatezza di sentimenti con tutte le creature, piange.

«Aveva capito che quella era la meta». Aveva dimostrato, in un viaggio tanto profondo, che niente e nessuno cammina senza una meta. Poi è entrata nel santuario, ha assistito alla messa e ha ricevuto, da buona cagnolina pellegrina, la benedizione. Su quali impervie altezze ci inerpichiamo a volte per cercare di ascoltare la presenza di una nuova dimensione. Forse basta dare agli occhi di un cane il compito di arrivare in un luogo sacro. E le pupille non sono più solo nere sfere innervate e bagnate.

Magari sono astri che in questo caso solo Dajana ha visto, perché solo lì dentro l’intuizione di una ragione diversa dalla ragione vedente può aver visto il profilo di Santiago de Compostela.

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