L’avvelenamento da stricnina nel cane e nel gatto rappresenta una triste realtà, nonostante le molte leggi in materia ne abbiano fortunatamente ridotto la frequenza.

La stricnina è una tossina vegetale estratta dai semi e dalla corteccia dell’albero Strychnos nux vomica (noce vomica) e Strychnos Ignatii (fava di S. Ignazio) che si presenta come una polvere cristallina bianca, inodore e dal sapore amaro.

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Il suo impiego per la preparazione di “bocconi” avvelenati destinati a ratti, topi e talpe è vietato da lungo tempo: qualunque uso è quindi da considerarsi criminoso, ed il suo reperimento potrebbe suggerire la presenza di un mercato clandestino di questo veleno; ad oggi è quindi molto difficile procurarsela.

Viene purtroppo ancora utilizzata per la lotta ai cosiddetti “nocivi” (i predatori naturali di animali di interesse venatorio) e per l’avvelenamento doloso di animali domestici; più raramente viene utilizzata come sostanza di taglio per droghe come l’LSD, l’eroina e la cocaina.

La stricnina è una delle sostanze più tossiche che esistano: per fare un esempio, un’esca di 5 grammi contenente lo 0,3% di stricnina è in grado di uccidere un cane di 20 kg!

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In seguito ad ingestione la stricnina viene rapidamente assorbita dall’apparato gastrointestinale (il suo assorbimento avviene già a livello della mucosa orale) e si distribuisce altrettanto velocemente in tutti i tessuti dell’organismo.

La stricnina è un potente veleno spinale, che provoca una sintomatologia molto simile all’intossicazione da metaldeide ed al tetano. A breve distanza dall’ingestione, circa 15-30 minuti dopo, compaiono irrequietezza e mancata risposta ai comandi del proprietario, segue irrigidimento dei muscoli facciali (che determina un’espressione tipica detta “ghigno o riso sardonico”), cervicali, toracici ed addominali con assunzione di un atteggiamento caratterizzato da decubito laterale ed estensione degli arti e del collo (il cosiddetto opistotono).

Seguono crisi convulsive tonico-cloniche con fortissime contrazioni muscolari e difficoltà respiratorie intervallate da periodi di profonda prostrazione. La stricnina diminuisce infatti la soglia di eccitabilità dei neuroni: ciò significa che stimoli di qualunque intensità e natura (tattile, uditiva, visiva) determinano l’insorgenza di una nuova crisi. Con il progredire dell’intossicazione le crisi diventano sempre più ravvicinate e l’animale muore per paralisi dei muscoli respiratori: si tratta quindi di una morte atroce per soffocamento senza perdita di coscienza.

L’induzione del vomito e la lavanda gastrica sono generalmente controindicate poiché determinano una forte stimolazione dell’animale che può scatenare le crisi convulsive.

Purtroppo al momento non esistono antidoti per l’intossicazione da stricnina. La terapia, che può quindi essere solamente sintomatica e di supporto, prevede:

– sostegno e monitoraggio dell’apparato cardiocircolatorio poiché gli spasmi muscolari continui non permettono la normale circolazione del sangue. I muscoli “sovrastimolati” liberano inoltre grandi quantità di acido lattico.

– sostegno e monitoraggio respiratorio: la contrazione dei muscoli respiratori impedisce la corretta espansione del torace compromettendo la respirazione; è quindi buona norma fornire ossigeno al paziente o ricorrere alla ventilazione meccanica.

– controllo di contrazioni, spasmi, convulsioni e stato epilettico: una semplice ma fondamentale regola è quella di mantenere l’animale in un luogo tranquillo ed al buio per evitare di generare una crisi. Spesso si ricorre inoltre alla sedazione dell’animale con benzodiazepine, in particolare Diazepam al dosaggio 0,2-1 mg/kg per via endovenosa oppure, triplicando la dose, per via rettale. La somministrazione di farmaci per via rettale risulta particolarmente utile in caso di convulsioni, poiché i movimenti dell’animale possono rendere difficoltoso il reperimento di una vena: in questo modo è possibile controllare, anche solo parzialmente, le crisi convulsive, rendendo così più agevole l’applicazione di un catetere venoso per le terapie successive. Per la sedazione è anche possibile utilizzare Propofol oppure Tiopentale, con lo svantaggio che la somministrazione può avvenire solo per via endovenosa.

Per evitare la comparsa di nuove crisi convulsive il paziente deve rimanere sedato fino all’attenuazione dei sintomi, solitamente 48-72 ore.

E’ anche necessario monitorare la temperatura corporea in modo che non salga troppo a causa delle convulsioni né si abbassi repentinamente, e la funzionalità epato-renale: l’utilizzo di farmaci sedativi ed anestetici può infatti causare un’insufficienza renale anche a distanza di 3-4 giorni dall’attenuazione della sintomatologia legata all’avvelenamento.

A causa dell’estrema tossicità del veleno la prognosi è molto spesso infausta, poiché l’ingestione di piccole dosi è sufficiente a provocare la morte. Se però l’animale sopravvive per almeno 24 ore vi sono buone probabilità di salvarlo: il composto ed i suoi metaboliti vengono infatti completamente eliminati per via urinaria entro 24 ore.

Articolo a cura della Clinica Veterinaria Borgarello.

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