Storia di Fire non è un romanzo. È una storia vera accaduta qualche anno fa in Italia e raccontata da Laurens de Graaf in un un libro appena pubblicato da TEA.

La protagonista, che, nel libro, ha il nome fittizio di Giovanna, è una giovane donna appassionata di cani, in particolare di Malinois, una razza, lo si scopre leggendo il  libro, che ha particolari esigenze.

In sostanza, il bisogno di finalizzare la grande energia che caratterizza questi animali perfetti come cani da difesa tramite il lavoro o qualcosa che ci assomigli («A cani del genere, non bisogna insegnare a mordere, casomai a non mordere, cioè a farlo unicamente su richiesta del padrone»).

Quando Giovanna, finalmente, riesce a prendere con sé con il cucciolo che aveva sempre desiderato, iniziano i problemi.

Non sapendo come gestire il cane, si affida ad alcuni «esperti» che peggiorano la situazione: di fatto maltrattano Fire (per esempio, costringendolo a vivere in uno spazio troppo ristretto per lui e addestrandolo con metodi punitivi). Fino al giorno in cui, esasperato, il cane finisce per attaccare la sua padrona.

L’aggressione è violentissima.

Giovanna rischia perdere un braccio, addirittura di morire dissanguata.

È a questo punto che un veterinario le propone di sopprimere il cane (nella gallery sopra, vedi le foto del vero Fire e leggi le storie di altri cani che si sono  «miracolosamente» salvati dall’eutanasia).

Lei, per fortuna, non accetta anche se, all’inizio, ritrovarsi a tu per tu con Fire non è per niente facile (Ma, per non rovinarvi il piacere della lettura, non vi raccontiamo come Fire e Giovanna abbiano trovato il modo di ricominciare una nuova vita insieme).

La vera protagonista della storia ha accettato di rispondere alle nostre domande ma in modo anonimo e solo via mail. Non vuole in nessun modo essere riconosciuta.
Ecco che cosa ci ha raccontato.

Che effetto le ha fatto leggere la sua storia?

«Veramente all’inizio non volevo proprio farlo, per mesi mi sono rifiutata. Anche se, poco alla volta, ero riuscita a gestire i miei sentimenti e il mio rapporto con Fire era ormai recuperato, ritrovare la mia storia scritta davanti agli occhi era troppo. Poi, quando sono riuscita a trovare il coraggio, mi sono emozionata tantissimo. E ho pianto, naturalmente».

Quali sviluppi ci sono stati nel suo rapporto con Fire?

«Dal punto di vista dei sentimenti, lui è e sarà sempre il mio cucciolo rosso. Da un punto di vista pratico, devo usare qualche cautela: lui è fortissimo e io sono fragile. Anche solo uno strappo al guinzaglio potrebbe essere un problema».

Con quali conseguenze fisiche deve ancora fare i conti?

«Non recupererò più totalmente l’uso della mano destra, che non posso più ruotare completamente perché mi manca un pezzetto di osso, e anche il braccio non si estende più del tutto, e alcuni movimenti restano limitati. Da allora, porto sempre maniche lunghe, per nascondere le cicatrici».

C’è stato un momento in cui ha davvero preso in considerazione l’ipotesi di far sopprimere il cane?

«Un’idea del genere non mi sarebbe mai venuta in mente spontaneamente. La proposta arrivò dai servizi della Asl e dai veterinari. Io mi sono rifiutata. È strano, ma anche dopo, ma non avevo paura di Fire. Lo guardavo negli occhi, e i suoi occhi erano limpidi, e capivo che lui non ce l’aveva con me, né io con lui. Non c’era bisogno di perdonarlo, né lui doveva perdonare me».

Ci sono momenti in cui ha paura che possa succedere di nuovo? Se sì, come li supera?

«Ho imparato che tutti i cani sono predatori, non peluche, e che in circostanze particolari possono essere davvero pericolosi. Ho imparato la prudenza, ma non a essere paurosa. E mi sforzo di capire meglio il loro linguaggio, i segnali che mandano e che, a volte, noi umani non percepiamo».

Mi racconta una giornata tipo con Fire?

«C’è ben poco da raccontare: è il solito tran tran di sveglia-coccole-pappa-pulizia-passeggiata-coccole-altra pappa e così via. Come con tutti i cani».

Come descriverebbe Fire?

«Immagini un grande lupo rosso, alto e forte, una quarantina di chili, che si scioglie per le coccole e si gira a pancia all’aria mugolando quando mi avvicino a lui. Un cane adulto nel pieno della sua forza. Però sempre cucciolo nell’animo, pronto a fare marachelle, come far sparire dal tavolo qualche bocconcino con destrezza e fingendo indifferenza, per poi comprarti con un atteggiamento da pentito. Quello che ama di più è l’attività fisica: correre, saltare, arrampicarsi. Ama un po’ meno i campi di addestramento, perché ha avuto esperienze negative, mentre altri cani ne vanno matti».

Che consigli darebbe a chi cerca un addestratore per evitare che si ripetano gli stessi errori e le stesse conseguenze che ha dovuto affrontare lei?

«È davvero difficile. Non esiste una formula magica. Il problema è che gli errori si scoprono dopo e, a volte, è troppo tardi. Il fatto è che esistono tantissimi educatori e addestratori e molte “scuole” diverse, che usano metodi a volte opposti e che sono “in lotta” fra di loro. A me pare che alcuni riescano a ottenere buoni risultati con certi tipi di cani e certi tipi di padroni, altri con cani e padroni diversi. Forse il consiglio che posso dare è di avvicinarli e sceglierli esercitando sempre il buon senso. Evitando soprattutto, quelli che hanno atteggiamenti estremi, esagerati. E che parlano male dei concorrenti».

Che cosa le ha insegnato questa storia? In che modo le ha cambiato la vita?

«La prima, ed è stata una sorpresa, ed è che ho scoperto di essere in grado di sopportare e superare molto, molto di più, di quanto avessi mai immaginato, e questo ha aumentato la fiducia in me stessa. La seconda è che anche nei momenti peggiori dai nostri animali possiamo imparare l’assenza di malizia. Un’esplosione di furore può non essere accompagnata da cattiveria. È consolante. E, per questo, non si pone il problema di perdonare».

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