«Stiamo studiando un piano per rendere obbligatorio il microchip nei gatti di colonia e anche in quelli di proprietà – dice l’assessore all’ambiente di Torino, Alberto Unia -: in questo modo si disincentiverebbero gli abbandoni, e si monitorerebbe meglio la loro presenza sul territorio». I gatti potrebbero poi essere inseriti nella piattaforma regionale piemontese già esistente «Arvet»: una banca dati dove oggi i privati possono registrare il proprio micio con il microchip ma solo a titolo facoltativo. Per i felini di colonia vale la stessa regola: non esiste l’obbligo di un inserimento all’anagrafe, ad eccezione dei gatti che vengono prima sterilizzati con i finanziamenti del comune. I felini in questo modo verrebbero equiparati ai cani: per Fido dal 2001 esiste infatti l’obbligo del microchip, e negli anni questa è stata senza dubbio una normativa decisiva nella lotta al randagismo in Italia.  

La presenza delle colonie feline in città, comunque, sta diminuendo: se l’anno scorso nella banca dati dell’ufficio tutela animali torinese erano state registrate 1540 colonie, oggi sono 1200. I motivi sono due: il primo dipende dal piano di sterilizzazioni che negli anni ha contenuto notevolmente il numero delle nascite. Il secondo da un errore di registrazione: delle 1540 colonie, alcune erano state inserite in maniera non corretta, o era stato ripetuto per due volte lo stesso gruppo di mici. Ma il randagismo felino è un fenomeno che non va di certo sottovalutato: negli ultimi anni gli abbandoni sono stati sempre più frequenti, e la situazione è ben più preoccupante di quella di città come Milano, dove la presenza di gatti randagi è pari a un terzo rispetto a quella del territorio torinese.  

E se da qualche giorno sette associazioni hanno dato il via alle sterilizzazioni dei gatti di colonia nei vari quartieri della città – con i 30mila euro stanziati dal Comune tramite il bando di dicembre – altre associazioni stanno provvedendo a farlo privatamente. È il caso della Lida Felini, che quest’anno prevede di sterilizzare una cinquantina di mici, ma senza microchip: «sarebbe un costo ulteriore – spiega Federico Belloli, presidente dell’associazione di via Carmagnola – che non riusciamo a sostenere». 

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