Il colloquio telefonico è concitato. Davide Acito, il giovane attivista che per il secondo anno consecutivo è volato in Cina per comprare, e quindi strappare alla morte, quanti più cani e gatti destinati alle macellerie del Festival di Yulin, non nasconde un certo timore. «Siamo controllatissimi. Davanti alla porta delle nostre camere d’albergo c’è sempre qualcuno che segue tutti i nostri movimenti. Di me, ormai, sanno tutto. Devono aver monitorato da tempo i social grazie ai quali è partita anche questa seconda operazione Yulin».

L’ormai tristemente noto Festival di carne di cane, che ogni anno si tiene in questa cittadina cinese, ha infatti portato alla ribalta un fenomeno che da sempre, per tradizione, caratterizza il sud est asiatico e sicuramente non solo la Cina: Thailandia, Laos, Cambogia, Vietnam, Filippine e le due Coree, sono tutti Paesi dove ancora il commercio di carne di cane ( e di gatto) è attivissimo e porta all’uccisione, rituale e crudele, di milioni di animali, in parte allevati in apposite fattorie, in parte rubati ai legittimi proprietari. E i cinesi non sono contenti di questa fama. Non amano che si diffondano video e foto su quanto succede a Yulin. Non vogliono far trapelare la crudeltà dei metodi utilizzati nei mattatoi che, durante il festival, si moltiplicano nella città. Non vogliono che le immagini di migliaia di cani e gatti ammassati in minuscole gabbie in attesa della morte, gli occhi sbarrati e la bava alla bocca, facciano il giro del mondo.

Il festival, che di tradizionale non ha nulla in quanto “inventato” letteralmente qualche anno fa per attirare in zona i cinesi che considerano una prelibatezza nutrirsi di animali uccisi in modi particolarmente efferati e violenti per esaltarne la morbidezza della carne, ormai è però diventato una cartina di tornasole per i tantissimi attivisti che, ogni anno, si danno appuntamento fra le strade di questa città.

Fra questi anche l’italiano Davide, fundraiser che lavora in Svizzera, ma che ha deciso di schierarsi dalla parte degli animali fondando l’Action Project Animal. Ovviamente la prima domanda è: perché?, perché dalla parte dei cani e dei gatti cinesi quando in Italia ci sono migliaia di casi di randagismo, di animali abbandonati in cerca di adozione? «Perché è un crimine contro gli animali e io non accetto questa cosa – mi risponde con franchezza disarmante – credo che abbiano diritto ad una morte dignitosa».

Già, infatti, quello che proprio non va giù a milioni di persone in occidente (parte dei quali non hanno rinunciato a mangiare carne e pesce nella loro alimentazione ma che non riescono ad accettare questo appuntamento annuale) sono proprio le condizioni inumane e terrificanti con cui gli sfortunati cani e gatti del sud est asiatico vengono uccisi. In questo Davide esprime il comune sentire delle tante persone che ogni anno, il 21 giugno, inorridiscono davanti alle immagini cruente e insopportabilmente violente che arrivano da Yulin. «Gli animali subiscono un trasporto di migliaia di chilometri in condizioni spaventose, schiacciati in minuscole gabbie. Stremati e feriti da questi viaggi, arrivano traumatizzati e spesso non sopravvivono neanche al festival. Molti hanno arti fratturati, ferite profonde. Oltre a tutto ciò, che è già insopportabile, li attende una morte orrenda: sgozzati nel migliore dei casi, scuoiati o bolliti vivi nel peggiore. Tutto per l’assurda credenza popolare che se l’animale agonizza in sofferenza, la sua carne sarà più tenera da mangiare».

In tanti ormai stanno facendo pressioni sulle istituzioni cinesi affinché tutto ciò abbia finalmente fine. Prima dell’edizione 2017 del festival sembrava si fosse aperto uno spiraglio verso la sua definitiva abolizione. Ma alla fine, la speranza si è vanificata. E l’inferno, per i cani e i gatti, è ricominciato. «Io sono qui con un amico documentarista dal 17 giugno. Ma in realtà è un anno che lavoro al progetto, esattamente da quando sono tornato da Yulin nel 2016. Quella era stata la prima volta in cui avevo deciso di fare qualcosa contro il festival. Ho girato molti posti in Italia per raccontare quello che succede in questi giorni e ho raccolto le offerte di tutti coloro che volevano dare un contributo per permettermi di acquistate più cani possibile. Sono arrivato a 23 mila euro, interamente destinati a quest’iniziativa: a parte le spese di viaggio e di soggiorno, tutto il resto è interamente dedicato all’acquisto dei cani e dei gatti, al loro trasporto fino al rifugio di madame Yang a Tianijin, alle loro cure e al loro sostentamento».

Ma quanto costa strappare un cane alla morte e permettergli di sopravvivere?
«Soltanto per il loro acquisto e il loro trasporto abbiamo calcolato una media di 56 euro ad animale: il prezzo ovviamente cambia a seconda del peso, perché a loro interessa la carne da rivendere a chilogrammi».

In questo modo non si rischia di alimentare ulteriormente un crimine tanto odioso?
«Certo il pericolo c’è. Basti pensare che il prezzo della carne di cane è lievitato da quando hanno capito che gli attivisti sono disposti a spendere pur di salvarli dalle torture e dalla morte. Ma, ti ripeto, è un crimine inaccettabile, per questo lo facciamo».

E poi c’è il problema del futuro di questi animali. Dove vivranno? Chi pagherà le spese per il loro sostentamento? Basta salvarli se poi non si cerca di dargli un futuro?
«Molti, anche tra gli attivisti e tra le grandi associazioni animaliste che sti stanno battendo in questo momento affinché il festival di Yulin sia abolito dalle autorità cinesi, pensano che senza un’adeguata politica di adozioni, tutto questo impegno nella liberazione dei cani, si riveli alla fine uno sforzo inutile.

Nel frattempo, è tutto pronto per il salvataggio di domani. Mentre parliamo via skype, arriva un messaggio che informa sul luogo dell’appuntamento con l’autista del camion che è stato contattato ed ha accettato di consegnare a Davide la sua “merce”.

«È così che funziona: grazie ai contatti locali che fanno da tramite, individui i camion che arrivano dal Vietnam e trasportano cani e gatti, direttamente dalle farm dove vengono allevati. Dopo una contrattazione sul prezzo, ci si accorda sul luogo dove avverrà lo scambio: per domani abbiamo già pronte le gabbie, fatte costruire apposta per essere meno punitive di quelle in cui affrontano in viaggio di andata, per accogliere altri 300 cani che saranno trasportati immediatamente al rifugio di madame Yang. Lì li ritroveremo, raggiungendoli in aereo, mentre la signora viaggerà con loro: è molto conosciuta e, se il camion incappasse in posti di blocco, saprebbe come intervenire».

Tutto ciò verrà nel frattempo filmato e fotografato, trasformandosi in un futuro documentario.
«Vogliamo che più persone possibile sappiano cosa succede qui. Ma è sempre più difficile. Ieri per entrare e nel market del paese e documentare come avvengono le vendite al pubblico e tutto il resto, abbiamo dovuto usare degli occhiali che nascondono delle invisibili telecamere. Era l’unico modo per non rischiare che ci fermassero e che togliessero tutto: soldi, macchine fotografiche, telecamere e tutto il resto».

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