Li aveva nascosti dietro a un muro, l’unico punto dell’allevamento in cui pensava che potessero essere al sicuro. Una mamma Beagle per anni ha vissuto in disperate condizioni di salute in un allevamento senza norme di igiene né di sicurezza nel New South Wales, in Australia. «E quando ha partorito, ha immaginato che in quello piccolo spazio ai suoi quattro cuccioli non potesse succedergli nulla di male», raccontano Debra Tranter e la sua amica, che si sono intrufolate nell’allevamento in una tarda notte di fine gennaio. 

Le due avevano già visitato il posto nel 2015, ma quando sono tornate alcune settimane fa è stato uno choc: l’ambiente era infestato da ratti, non c’erano senza cucce e i pavimenti erano luridi. I cani rosicchiavano il legno e i cavi elettrici in preda alla noia e alla frustrazione, ed erano terrorizzati e sospettosi con tutti. 

Debra, la fondatrice del gruppo australiano anti-puppymill Oscar’s Law, quella notte avrebbe voluto portare in salvo i quattrozampe da quell’allevamento lager, ma non l’ha fatto per paura di essere accusata di furto. «Sono fiduciosa che le mie fotografie e i video possano salvare la vita ai poveri animali – ha detto -. L’allevamento deve essere chiuso. E noi siamo già disponibili a pagare tutte le cure veterinarie dei cani, appena verranno sequestrati dalle autorità». 

In questo momento, ci sono migliaia di puppy mill negli Stati Uniti, che producono oltre due milioni di cuccioli ogni anno. E nel New South Wales sono 200 gli allevamenti intensivi mascherati da aziende agricole, che producono migliaia di cani ogni anno. I cuccioli sono venduti nei negozi di animali e on-line per un valore che arriva fino a 2.000 dollari (1800 euro) a cane. 

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