Il proprio cane accucciato sotto la scrivania. Un sogno per tanti che è diventato realtà negli uffici del dipartimento Cultura del Comune di Genova. L’assessore Elisa Serafini ha consentito ai suoi dipendenti di portare il cane al lavoro, a Palazzo Ducale.
Va da sé che per prendere una decisione del genere bisogna amare gli animali e vivere i problemi di chi li ama. Non a caso la Serafini porta in assessorato Benji, il suo adorato barboncino che lì trova gli amici Pixel, Amelia, Simpson e Gioia, i cani di alcuni dipendenti.
Una lodevole iniziativa, quella presa dall’assessore genovese che consente di fare, anche in Italia, qualche passo in avanti verso la più ampia accettazione degli animali di compagnia che, in veste «pubblica», nel nostro Paese hanno sempre avuto e hanno ancora innumerevoli restrizioni. Se è infatti vastissima la platea di persone che hanno in famiglia un animale, spesso anzi più d’uno, molti sono invece i problemi quando si tratta di portarlo fuori di casa.

Non da molto le bestiole hanno il via libera in alcuni negozi, supermercati, bar, ristoranti, alberghi, uffici. Ma sono ancora numerosi i locali dove non vengono accettati o sono mal tollerati.
Tornando all’assessore genovese, la Serafini spiega in modo articolato la decisione che ha preso: «Portare il proprio cane nel posto di lavoro migliora il clima tra colleghi e induce le persone a non correre a casa per portar fuori il cane.
Ma se esistono i diritti degli animalisti ci sono anche quelli di chi per una sua qualche ragione non lo è: «Il cane non deve creare disagio: se c’è qualcuno che ha paura o è allergico, il cane non entra». «La presenza delle bestie in ufficio testimonia un nuovo approccio – spiega l’assessore – una nuova declinazione del vivere con il cane, una sperimentazione che a primavera arriverà anche nei musei genovesi». L’assessore punta l’accento anche sulla funzione sociale derivante dalla possibilità di portare il cane in ufficio: «Rende più semplice la vita di chi adotta gli animali portando maggiore motivazione all’adozione e riducendo anche le spese del Comune». E non c’è solo questo da tener presente, perché talvolta l’aggressività di alcuni animali nasce proprio dal fatto che sono prevalentemente reclusi in casa o in giardino. Poterli portare in giro quasi ovunque non può infatti che migliorare la loro capacità di socializzazione rendendoli più docili e affettuosi anche nel rapporto con gli estranei. Il proibizionismo diffuso costringe invece a lasciarli a casa da soli e questo certo non aiuta la capacità delle bestie di relazionarsi con le persone.

Una rondine non fa primavera. Ma l’iniziativa dell’assessore comunale genovese potrebbe spingere altri amministratori a seguirne l’esempio e a favorire una sempre più ampia integrazione fra uomini e bestie, rendendo i primi meno diffidenti e i secondi sempre più abituati al contatto con gli sconosciuti, aiutandoli quindi a ridurre le difficoltà di convivenza.
Dedicarsi alle bestie può solo far bene, non a caso si diffonde sempre più la «pet therapy», la terapia che prevede la compagnia degli animali domestici per gli ammalati e per le persone che hanno problemi comportamentali. Le bestie, molto più degli uomini, sanno donare affetto e serenità senza chiedere nulla in cambio. Provare per credere. Per tanto, ben vengano tutte le iniziative che inducano a estendere la possibilità di poter dividere con loro sempre più tempo. Con una avvertenza però: niente estremismi animalisti e nessuno sfruttamento politico. Perché purtroppo anche questo accade: fingere affetto per gli animali giusto per raccattare qualche voto. Se qualche assessore, sindaco, o chissacché deciderà di seguire l’esempio ligure badi bene a non sfruttare politicamente l’iniziativa. I cani potrebbero non gradire e mordere. Questa volta a ragione.

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