Uguccione da Lodi, morto nel 1250, già allora notava come “veltres e segus, levrer encadenadhi” (veltri e segugi, levrieri al guinzaglio) fossero indicatori di sfarzo e agiatezza. Uno status symbol, si direbbe oggi. Mentre Bonvesin de la Riva (1240-1315), pochi anni dopo, ricordava tra le cinquanta regole da osservare a tavola di non toccare con le mani “ni gatorin ni can” (nè gatto nè cane) “tanfin tu mangi al desco” (mentre si mangia a tavola). Ma tutta la produzione letteraria medievale, da Jacopone da Todi a Cecco Angiolieri al Tristano Veneto, fa riferimento al principe degli animali domestici: ausilio e compagno della vita quotidiana, protagonista assoluto delle avventure di caccia, il cane è, nello spazio realistico e immaginario che la letteratura ha ereditato dal passato, il più fedele complice dell’esistenza terrena dell’uomo. Il libro di Marco Iuffrida, “Cani e uomini nella letteratura italiana del Medioevo”, offre su questa relazione una chiave di lettura esclusiva e unica, per comprendere come gli italiani abbiano concepito il mondo degli animali, e la società, ai tempi di Dante Alighieri. “Nelle varie espressioni di poesia didattica, giullaresca, realistica e menzognera, ma anche nella forma di racconto di viaggiatori, da Nord a Sud della penisola scrittori e poeti si fanno interpreti del desiderio di dipingere in versi e prosa il ruolo del cane”, spiega una nota dell’autore, ricercatore in Storia Medievale. “Sullo sfondo di una quotidianità fatta di caccia, politica, guerra e amore, attraverso il binomio uomo-cane questo libro torna alle origini della lingua italiana seguendo le tracce di ciò che la unisce e la diversifica, valorizzandone l’identità e il suo affascinante patrimonio di valori”. Il libro è stato presentato durante il Festival#Animali di Enpa a Roma, al Macro Testaccio, il 13 ottobre scorso.

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