Categoria: TG Vet

  • Terza età: patologie oculari

    Oggi proseguiamo il discorso sulla terza età nel cane e nel gatto iniziando a parlare più nello specifico delle problematiche mediche legate all’invecchiamento. Anche in campo veterinario, così come in medicina umana, le patologie sono affrontabili da un punto di vista specialistico: iniziamo con il parlare di oftalmologia.

    L’avanzare dell’età, tanto negli animali quanto nell’uomo, porta a cambiamenti a livello organico considerabili normali (fisiologici). Oltre ad essi esiste tutta una serie di patologie a cui cane e gatto possono andare più facilmente incontro in quanto “anziani”. Gli occhi, le palpebre e l’apparato lacrimale non fanno eccezione in questo processo di invecchiamento. Patologie oculari e problemi di vista sono situazioni frequenti nei cani e nei gatti anziani e, a volte, possono addirittura portare alla perdita completa della capacità visiva, influenzando sensibilmente sia le abitudini quotidiane del nostro animale che la gestione da parte del proprietario.

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    Esistono malattie oculari evidenti a tal punto da essere notate con facilità dai proprietari stessi che possono così rivolgersi al veterinario con una tempistica veloce rispetto all’insorgenza del problema. Altre volte, invece, i segni di patologia oculare risultano più subdoli e l’animale può arrivare alla cecità senza che il padrone se ne sia accorto. I cani e gatti, infatti, possiedono un’elevata capacità adattativa che li porta a sviluppare maggiormente gli altri sensi (olfatto e udito) per compensare il calo di vista: ecco spiegato il perché molti animali, se pur ciechi o ipovedenti, sono in grado di muoversi con assoluta disinvoltura nel proprio ambiente.

    Per questo motivo è importante abituarsi ad osservare con attenzione il comportamento del proprio amico a quattro zampe, soprattutto quando invecchia, in maniera tale da poter cogliere ogni minimo campanello d’allarme di problematiche oculari. Un ottimo banco di prova è rappresentato dall’esterno o dagli ambienti nuovi: qui l’animale con problemi di vista tende a muoversi in maniera più guardinga, a manifestare disagio o,addirittura, ad andare contro ostacoli imprevisti. Occorre tenere presente inoltre che alcune patologie iniziano con una difficoltà di visione in particolari momenti della giornata: in questi casi si noterà, ad esempio, maggiore difficoltà nella visione durante il crepuscolo o di notte.

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    In altri casi le problematiche oculari sono una conseguenza di una patologia sistemica ovvero che colpisce tutto l’organismo. Un classico esempio è la cataratta diabetica, una patologia indubbiamente di interesse oculistico ma che deve essere affrontato anche e soprattutto da un punto di vista internistico. Per questo motivo il medico veterinario che si occupa di oftalmologia, soprattutto con pazienti anziani, non deve mai limitarsi alla semplice visita oculistica ma ha il dovere di eseguire anche una approfondita visita generale (dalla punta del naso alla punta della coda!), senza tralasciare indizi che possano ricondurre ad una malattia più generalizzata.

    Molte sono le patologie che possono colpire le diverse strutture dell’occhio durante la terza età, elencheremo di seguito le principali e nei prossimi articoli sul Tgvet, verranno trattate in maggior dettaglio:

    • Palpebre: neoformazioni, ectropion senile.

    • Cornea: cheratite superficiale cronica, cheratocongiuntivite secca.

    • Uvea: cisti iridee, neoplasie, uveiti, atrofia iridea.

    • Cristallino: cataratte, lussazione della lente, atrofia senile del cristallino.

    • Retina: atrofia progressiva della retina, emorragie retiniche, processi inifiammatori.

    A cura della Dott.ssa Valentina Declame

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  • Terza età nel cane

    Ogni volta che si fa riferimento all’età anagrafica del proprio cane viene subito da pensare a quanto corrisponda in termini umani e, spesso, si parte col conto alla rovescia per capire quanto tempo ancora il proprio amico a quattro zampe resterà con noi.
    Capita frequentemente di sentire frasi del tipo: “Come vorrei che il mio cane vivesse più a lungo!” oppure “Non c’è niente che si può fare per farlo vivere di più?”. La risposta è sì..qualcosa si può fare!

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    L’aspettativa di vita dei nostri animali domestici negli ultimi anni è notevolmente aumentata grazie ai progressi della medicina veterinaria e, soprattutto, alla migliore capacità di gestione da parte del proprietario. Molti, infatti, hanno raggiunto una consapevolezza ed un livello di informazione tale da riuscire ad adattare le attenzioni quotidiane alla fase di vita del proprio cane: cucciolo, adulto, anziano.
    Un sondaggio recente, però, ha messo in evidenza che un terzo della popolazione statunitense non sa quando il proprio cane diventerà anziano. Questo significa che negli Stati Uniti milioni di famiglie non sanno quale sia il momento reale per iniziare a considerare e, quindi, a gestire il cane come un “anziano”.
    Sapere quando il proprio amico a quattro zampe entrerà a tutti gli effetti nella terza età è un aiuto fondamentale per il proprietario perché lo mette nelle condizioni di adattare lo stile di vita del cane al suo naturale invecchiamento. Talvolta basta semplicemente un cambio di alimentazione, variare l’esercizio fisico e, soprattutto, la frequenza delle visite mediche per assicurargli una vita lunga e sana.

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    Come regola generale un cane si considera anziano quando supera i sette anni di età. Agli estremi della media si trovano, da un lato, le razze grandi-giganti definibili vecchie dopo i 5 anni; dall’altro le razze piccole-toy, senior a partire dai 9 anni. Da ciò si può capire che non esiste una precisa linea di demarcazione tra l’età adulta e quella senile : ecco quindi l’utilità di imparare a cogliere piccoli “segnali” nel comportamento del nostro cane che rappresentano un vero e proprio campanello d’allarme di invecchiamento.
    Uno dei primi segni dell’avanzamento di età è la maggior tendenza all’affaticamento e la riluttanza al movimento. Spesso i proprietari sono convinti che questo sia un atteggiamento del tutto naturale, privo di complicanze. In realtà, frequentemente, nasconde patologie ossee particolarmente dolorose e debilitanti (osteoartrite) oppure problematiche cardiache piuttosto serie. Tutto questo è ovviamente dovuto all’età che avanza ma dev’essere diagnosticato in tempi brevi se le si vuole tenere sotto controllo e garantire al cane una qualità di vita dignitosa.

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    Un altro segno da non sottovalutare è la variazione di peso. E’ pensiero diffuso che invecchiando un cane possa diventare obeso o, all’opposto, dimagrire semplicemente per età. L’aumento o la diminuzione del peso, in realtà, possono essere campanelli d’allarme di condizioni patologiche quali: disturbi alla bocca o ai denti, malattie endocrine ( diabete, ipotiroidismo, morbo di Cushing), patologie epatiche croniche, neoplasie. Quindi un controllo costante del peso aiuta anche a monitorare lo stato di salute.

    E’ inoltre importante fare attenzione a qualsiasi variazione nelle abitudini del nostro cane: un aumento o una diminuzione della sete, ad esempio, può essere sinonimo di patologie renali, endocrine, riproduttive

    In alcuni casi il cane anziano sembra “cambiare carattere”. Si apparta, appare confuso, non risponde più ai comandi, è apatico, a volte emette delle strane vocalizzazioni. Attenzione a non sottovalutare questi segni poiché spesso sono indice di insorgenza di problemi di vista, mancanza di udito, demenza senile o altre patologie che, se riconosciute in tempo, possono essere affrontate con protocolli terapeutici adeguati.

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    Non dimentichiamoci infine delle volte in cui il nostro cane appare debole o spossato: esistono infatti forme infettive acquisite dovute proprio ad un indebolimento progressivo del sistema immunitario. Questo fattore comporta un aumento della sensibilità alle malattie virali e giustifica la vaccinazione annuale degli animali anziani fino alla fine della loro vita.

    Quanto detto ci fa capire che, benché la senescenza sia una fase naturale della vita di un cane, può diventare problematica laddove non si agisce in termini di prevenzione. Un’alimentazione adeguata, un buon esercizio fisico, uno stile di vita consono e la diagnosi ed il trattamento precoce di alcune malattie possono garantire al nostro amico il dovuto benessere anche in tarda età e, talvolta, allungargli la vita.

    Il modo più indicato per pianificare le sue nuove esigenze prevede l’aiuto del veterinario di fiducia, colui che da sempre è stato vicino al nostro pet e che ha condiviso con noi l’avventura di un cucciolo che è diventato adulto e che si prepara ad affrontare al meglio una tappa fondamentale della vita: la terza età.

    A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni della Clinica Veterinaria Borgarello.

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  • Terza età nel gatto

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    La terza età nel gatto, proprio come nel nostro caso, è indubbiamente un momento delicato che richiede un’attenzione particolare.

    Il gatto nel corso del tempo ha conquistato a tutti gli effetti il ruolo di membro della famiglia, diventando addirittura l’animale domestico più diffuso in molti paesi quali gli Stati Uniti, il Canada e il Nord Europa. A dispetto della popolarità raggiunta, c’è ancora poca consapevolezza sull’importanza della medicina preventiva in ambito felino, anche perché la straordinarietà di questo animale fa davvero pensare che abbia “più di una vita” a disposizione e, pertanto, che non gli serva il nostro aiuto!.

    La visione del gatto come indipendente e autosufficiente è avvalorata dalla sua capacità di mascherare il dolore e la malattia a tal punto da sembrare sempre in buona salute: i segni clinici di molte patologie anche gravi, infatti, risultano spesso talmente impercettibili o sottili da passare inosservati agli occhi dei proprietari.

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    Un altro fattore che tendiamo a trascurare è la differente longevità degli animali domestici rispetto alla nostra. Al di là degli ingannevoli e diffusi luoghi comuni, esistono vere e proprie linee guida medico scientifiche che indicano i vari stadi di vita dei nostri amici a quattro zampe e a cui corrispondono differenti esigenze e problematiche.

    Nel caso del gatto, la classificazione più recente definisce: gattino (dalla nascita ai 6 mesi), giovane (dai 7 mesi ai tre anni), adulto (dai 3 ai 6 anni), maturo (dai 6 ai 10), vecchio (dai 10 ai 15 anni) e geriatrico (dai 15 anni in avanti). Detto ciò, esattamente come in ambito umano, anche in medicina veterinaria ogni stagione della vita richiede un differente approccio, soprattutto in un’ottica di prevenzione.

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    I primi segnali di invecchiamento sono solitamente di tipo comportamentale, situazione che spesso rispecchia un problema medico sottostante. Aspetti tipici sono: vocalizzazioni anomale, minor tempo dedicato alla propria toelettatura (pelo annodato o opaco, unghie molto lunghe), episodi di urinazione o defecazione al di fuori della lettiera, riduzione dell’attività fisica, minor propensione alla manipolazione e/o tendenza a reagire malamente o addirittura a rifuggire ogni forma di contatto sociale. E’ importante non cadere nell’errore di liquidare il fatto pensando semplicemente che il nostro animale invecchiando sia diventato “più pigro” o che gli sia venuto un “caratteraccio”. Esistono infatti, oltre al cosiddetto invecchiamento cerebrale, altri problemi medici molto dequalificanti per la vita del gatto come: l’osteoartrite, la cistite, l’ipertensione, le patologie cardiache o la riduzione della vista e dell’udito che rendono l’animale più guardingo rispetto agli stimoli esterni e, quindi, più stressato.

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    Un altro aspetto da non trascurare è l’aumento o la perdita di peso insieme ad eventuali cambiamenti nelle abitudini alimentari (appetito e/o sete aumentati o diminuiti, fame altalenante, vomito e/o diarrea frequenti) ed eliminatorie (alterata quantità e frequenza di urinazione e defecazione). Va innanzitutto detto, a tal proposito, che bisognerebbe adattare la dieta all’età e all’attività dell’animale: spesso da errori alimentari scaturiscono problemi di salute, magari trascurabili ai nostri occhi, ma decisamente poco piacevoli per il gatto. A questo si possono aggiungere patologie molto serie a livello di bocca e denti oltre all’insufficienza renale, il diabete e l’ipertiroidismo, tutte patologie tipiche dell’invecchiamento.

    Non bisogna infine trascurare la questione delle vaccinazioni considerate troppo spesso inutili, soprattutto in tarda età, e che in realtà risultano un’arma in più non solo nel prevenire malattie talvolta mortali, ma anche nel mantenere attivo il sistema immunitario (difensivo) del gatto che, purtroppo, tende anch’esso a diventare deficitario con l’età.

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    Ecco quindi che, per quanto indipendente e autosufficiente, il gatto merita una certa attenzione da parte nostra perché non è “indistruttibile”. Sei mesi nella vita di un gatto anziano sono 4-5 anni della nostra e, in questo lasso di tempo, molti sono i cambiamenti che possono intercorrere soprattutto dal punto di vista della salute.

    Anche i gatti hanno diritto ad invecchiare serenamente ed un valido alleato per aiutare l’animale ad affrontare la sua terza età ed il proprietario a gestire questa delicata fase della vita è proprio il medico curante ovvero il veterinario.

    Articolo a cura della Dr.ssa Martina Chiapasco, Clinica Veterinaria Dr.Borgarello

     

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  • La malattia parodontale

    La malattia parodontale è il risultato di una risposta infiammatoria alla placca dentale, cioè ai batteri del cavo orale, ed è confinata al parodonto, ovvero allo spazio che si trova intorno al dente. Si tratta con ogni probabilità della patologia di più comune riscontro in clinica dei piccoli animali. La gengivite è l’infiammazione delle gengive e rappresenta il segno più precoce della malattia.

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    I soggetti con gengivite non trattata possono sviluppare una parodontite, nella quale la reazione infiammatoria provoca la distruzione del legamento parodontale e dell’osso alveolare. Alla fine una parodontite non trattata porta all’esfoliazione del dente colpito. L’infezione del parodonto può essere fnte di disturbi per l’animale. Sussiste anche una forte evidenza che un focolaio infettivo a livello di cavità orale possa favorire lo sviluppo di un processo patologico a carico di un organo distante. Di conseguenza, la prevenzione e il trattamento delle malattie parodontali, al contrario di quanto generalmente ritenuto, non sono questioni relative all’estetica, ma attengono alla salute generale e al benessere del nostr4o amico a quattro zampe.

    La causa primaria di gengivite e di parodontite è l’accumulo di placca dentale sulla superficie del dente. Il tartaro rappresenta solamente un fattore eziologico secondario. Vari esperimenti hanno dimostrato che l’accumulo di placca sulla superficie dentale induce una risposta infiammatoria a carico dei tessuti gengivali e che la sua rimozione ha come effetto la scomparsa dei segni clinici dell’infiammazione.

    I meccanismi patogenetici implicati nella malattia parodontale includono le lesioni dirette da parte dei microrganismi della placca e le lesioni indirette da parte dei microrganismi che si instaurano a seguito del processo infiammatorio.

    Nella gengivite, la flogosi indotta dalla placca è limitata al tessuto molle. La profondità del solco tra gengiva e dente è normale. Quando si instaura la parodontite invece, la distruzione infiammatoria del legamento parodontale consente la formazione patologica di una tasca. Se il processo infiammatorio riesce ad evolvere, la cresta del processo alveolare comincia a riassorbirsi e inizia un processo di distruzione dell’osso alveolare.

    L’accumulo continuo di placca esita in gengivite. Non tutti gli individui affetti da gengivite non trattata sviluppano una parodontite, ma solo alcuni e questa evenienza non può essere predetta. Tuttavia è certo che la gengivite non si sviluppa in animali con gengive clinicamente sane. Quindi la finalità della prevenzione e trattamento della malattia paradontale è quella di mantenere le gengive in condizioni di salute atte a prevenire eventuali complicazioni.

    Continua a seguirci o se hai necessità di maggiori informazioni contattaci
    sul sito www.clinicaborgarello.it
    o per telefono alla 011-6471100

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  • Cardiomiopatia restrittiva del gatto

    La cardiomiopatia restrittiva rappresenta la seconda forma più comune di cardiomiopatia del gatto.

    Nella cardiomiopatia restrittiva non si osserva ipertrofia del setto o della parete posteriore del miocardio, ma include un insieme di condizioni patologiche differenti accomunate dalla presenza di un impedimento al riempimento ventricolare diastolico. La dilatazione atriale è più drammatica di quella osservata nella cardiomiopatia ipertrofica.

    Nei primi stadi la funzionalità sistolica è normale, quando la malattia è estensiva , la cavità ventricolare sinistra diviene ridotta nelle dimensioni determinando una fase “obliterativa” della cardiomiopatia restrittiva.

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    SEGNALAMENTO E SEGNI CLINICI

    Vengono colpiti prevalentemente i soggetti adulti e di sesso maschile.
    La dispnea da edema polmonare o da versamento pleurico e la paresi da tromboembolia sono i più comuni segni clinici. La maggior parte degli animali presenta soffi cardiaci sistolici lievi.

    DIAGNOSI
    Nei gatti affetti da cardiomiopatia restrittiva si possono osservare anomalie della conduzione ventricolare e ritmi di galoppo.
    Con la radiografia si evidenzia un ingrandimento atriale sinistro e la presenza di vene polmonari ingrandite e tortuose.
    L’esame ecografico rileva una marcata dilatazione atriale sinistra o biatriale in assenza di una concomitante ipertrofia miocardica o anomalie valvolari. Aree iperecogene a livello endocardico sono caratteristiche e rappresentano lesioni fibrotiche tipiche della cardiomiopatia restrittiva. Le lesioni fibrotiche, a volte, sono impercettibili; altre volte, invece, sono talmente imponenti da formare ponti di tessuto che collegano aree diverse del miocardio o che attraversano addirittura il lume del ventricolo sinistro. Queste lesioni endocardiche possono talvolta causare obliterazione parziale o totale dell’apice ventricolare.

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    TERAPIA

    Non è ancora disponibile una terapia specifica per il controllo della reazione fibrosa del tessuto. L’utilizzo di β-bloccanti o dei calcio-antagonisti non rappresenta una soluzione efficace per migliorare la funzionalità diastolica conseguente alla fibrosi.

    PROGNOSI

    La prognosi si basa sugli aspetti clinici e sulla risposta alla terapia.
    Per questo un buona valutazione clinica e diagnostica permettono una risposta alla terapia migliore ma soprattutto una prognosi a lungo termine favorevole.

    Articolo a cura della Dott.ssa Daniela Ferrari, Clinica Veterinaria Borgarello

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  • L’apparato lacrimale

    L’apparato lacrimale fa parte, insieme alle palpebre e la congiuntiva, dell’apparato di protezione dell’occhio. L’apparato lacrimale è costituito da due parti con funzioni diverse: una deputata alla produzione delle lacrime, l’altra destinata al loro drenaggio.

    Le lacrime hanno un’attività antibatterica, contengono ossigeno e metaboliti per nutrire la cornea, lubrificano e permettono il movimento delle palpebre sulla cornea e sulla congiuntiva, mantengono umida la superficie oculare e provvedono alla pulizia di detriti e corpi estranei.

    Il film lacrimale è costituito da tre diverse componenti, disposte in tre strati: una parte mucosa, a contatto con la cornea, uno strato acquoso intermedio ed uno strato lipidico esterno. Il film lacrimale ha uno spessore di 7-10 µm. Lo strato lipidico esterno è secreto dalle ghiandole di Meibomio: esso ricopre lo strato acquoso ritardandone l’evaporazione e migliorandone la diffusione sopra la cornea e la congiuntiva. Lo strato acquoso intermedio è secreto dalle ghiandole lacrimali: la ghiandola lacrimale principale (responsabile della maggior parte della produzione di lacrime), la ghiandola lacrimale della terza palpebra, e le ghiandole accessorie di Zeiss e Moll. La prima e la seconda sono ghiandole tubulo-acinose mentre le ultime sono ghiandole sebacee e sudoripare modificate. Lo strato acquoso contiene acqua e molecole come il glucosio, l’urea e glicoproteine. Fornisce metaboliti, lubrifica e rimuove prodotti di degradazione come acido lattico e anidride carbonica. Lo strato mucoso,il più interno ed aderente alla cornea, è prodotto dalle goblet cells, cellule mucipare apocrine presenti nello strato epiteliale congiuntivale. Provvede a lubrificare, migliora l’aderenza tra la porzione acquosa e la cornea, inibisce l’aderenza batterica e previene l’essicazione della superficie oculare. Lo strato mucoso contiene mucine, immunoglobuline, urea, sali, glucosio, leucociti, enzimi e detriti cellulari.

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    Le lacrime, che si versano continuamente nel sacco congiuntivale, si raccolgono nell’angolo mediale dell’occhio, nella regione del lago lacrimale, dove trova inizio la loro via di escrezione, rappresentata dai dotti lacrimali, che si aprono nel sacco della congiuntiva per mezzo dei punti lacrimali e che sboccano nel sacco lacrimale. Le vie lacrimali sono quindi costituite da un canalicolo superiore ed uno inferiore che si uniscono a livello del sacco lacrimale. La parte inferiore del sacco si continua inferiormente con il dotto naso lacrimale che termina a livello del meato nasale inferiore. Circa il 50% dei cani presenta anche un’apertura accessoria del dotto naso lacrimale a livello della radice del canino superiore.

    A cura della Dott.ssa Valentina Declame

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  • La pseudogravidanza nella cagna

    La psudogravidanza nella cagna (conosciuta anche come gravidanza isterica) è una condizione che caratterizza la cagna alla fine del diestro (circa due mesi dopo il calore) dove si verifica uno sviluppo anomalo delle ghiandole mammarie con produzione di secreto da sieroso a latteo. Nei casi più eclatanti si hanno anche modificazioni del comportamento dove la cagna assume l’atteggiamento di una femmina gravida: si apparta, cerca il contatto con il proprietario, scava e protegge piccoli di altri animali o persino peluche o oggetti inanimati.
    Dal punto di vista ormonale tale situazione si verifica nel momento in cui si ha un drastico abbassamento del tasso di progesterone ematico. A questo fa seguito un incremento del tasso ematico di estrogeni e prolattina. Il progesterone induce uno sviluppo del tessuto mammario, mentre la prolattina induce la produzione lattea.

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    La prolattina nella cagna e nella gatta svolge importanti funzioni, quali mantenere il corpo luteo durante la seconda metà di gravidanza, produzione lattea, regolazione dell’interestro nella cagna, effetti benefici sulla ghiandola mammaria prima e dopo il parto nella gatta.
    Qualsiasi riduzione improvvisa dei tassi di progesterone durante il diestro può indurre lattazione. In particolare gli eventi che possono determinare l’insorgenza di tale disturbo sono ovariectomia effettuata in fase diestrale, somministrazione di prostaglandine, trattamenti con antiprogestinici o trattamento progestinico prolungato.
    Anche alcune condizioni patologiche possono favorire la comparsa di questa condizione, come ad esempio l’ipotiroidismo, tumori e cisti secernenti dell’ovaio.
    La diagnosi si basa sull’osservazione dei sintomi clinici.
    Nei casi di lieve entità può essere sufficiente allontanare i peluche dalla cagna e far indossare un collare elisabettiano per evitare il continuo lambimento delle mammelle.
    Nei casi più difficili è necessario intervenire farmacologicamente per evitare l’insorgenza di una grave mastite.

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    Esistono delle sostanze in grado di modificare i tassi ematici di prolattina (ormone responsabile dell’insorgenza di psudogravidanza). Queste sono la dopamina che inibisce in modo diretto la secrezione di prolattina da parte dell’ipofisi e la serotonina che ha invece un’azione stimolante. Se si desidera diminuire il tasso ematico di prolattina si hanno quindi due possibilità farmacologiche:
    -farmaci con azione dopaminergica;
    -farmaci con azione anti-serotoninergica.
    FARMACI AD AZIONE DOPAMINERGICA
    Sono i più efficaci e i principi utilizzati sono Cabergolina (5 µg/kg SID per OS per 5-10 gg) e Bromocriptina (10-30 µg/kg/die da dividere in due somministrazioni per 10-14 gg).
    La Cabergolina è la molecola che possiede maggior specificità per i recettori D2 dopaminergici. Inoltre passando pochissimo la barriera emato-encefalica induce raramente vomito. Si è notato che trattamenti prolungati con questa sostanza inducono schiarimento revrsibile del mantello fulvo a causa dell’azione inibitoria sull’ormone melanocita-stimolante.
    La Bromocriptina è una molecola umana più economica ma meno efficacie. Passa agevolmente la barriera emato-encefalica, quindi è maggiormente responsabile dell’effetto collaterale del vomito. Per minimizzare questo effetto si può ricorrere a somministrazioni progressive nell’alimento (primo giorno: 1/4 dose, secondo giorno: ½ dose, terzo giorno: dose normale).
    FARMACI AD AZIONE ANTI-SEROTONINERGICA
    L’unico farmaco riportato è la Metergolina (0,1 mg/kg BID per OS per 7-10 gg). Agisce per blocco post-sinaptico dei recettori della serotonina. Determina un calo veloce dei tassi di prolattina e viene considerato un principio attivo molto sicuro, ma si sconsiglia l’utilizzo nelle cagne nervose e agitate.
    Per quanto riguarda la prognosi si consiglia l’ovariectomia come trattamento definitivo.
    E’ importante verificare che la cagna abbia terminato la lattazione prima di effettuare il trattamento chirurgico, poiché si rischia di prolungarla. Dati recenti sembrano dimostrare che episodi prolungati e frequenti di pseudogravidanza possano aumentare il rischio di insorgenza di tumori mammari a causa della distensione esagerata degli acini mammari, l’ipossia cellulare, l’aumento dei radicali liberi ossidativi.
    Questo aumento del rischio diventa significativo dopo tre episodi di psudogravidanza.
    Pertanto si consiglia come trattamento di elezione l’ovariectomia.

    A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni della Clinica Veterinaria Borgarello.

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  • Toxoplasmosi e gravidanza

    Torniamo a parlare di toxoplasmosi: valuteremo insieme come si contagia l’uomo, quanto è resistente l’oociste e le precauzioni per la donna in gravidanza.

    Modalità di trasmissione

    Attraverso i cibi

    • Ingestione di carne cruda o cotta solo in parte, specialmente di suino, ovino o selvaggina. Il ruolo della carne bovina sembra essere minore. Toccarsi la bocca dopo aver manipolato carne cruda contaminata o assaggiare le preparazioni prima o durante la cottura

    • Contaminazione di coltelli, utensili, taglieri o alimenti che sono stati in contatto con della carne cruda contaminata

    • Il latte crudo (non pastorizzato) di capra o pecora può contenere tachizoiti. E se anche i tachizoiti mal sopportano l’acidità gastrica alcune infezioni sono state descritte. Con la carne noi veniamo in contatto con i bradizoiti che sono molto più resistenti ai succhi gastrici e trasmettono l’infezione.

    Attraverso l’acqua

    • Bevendo acqua contaminata contenenti le oocisti.

    TOXOPLASMOSI

    Altre modalità

    • Ingestione accidentale di feci di gatto. Questo può accadere se ci si tocca accidentalmente la bocca dopo aver fatto giardinaggio, pulito la lettiera del gatto, o toccato qualunque cosa sia venuta in contatto con con le oocisti sporulate.

    • Ingestione di terra contaminata.

    • Dalla madre al feto, se la donna viene in contatto con il parassita per la prima volta durante la gravidanza

    • L’inalazione di oocisti sporulate è rara ma descritta.

    • Sebbene sia molto raro, il toxoplasma si può trasmettere attraverso trasfusioni o trapianti di organi

    • In uno studio multicentrico in Norvegia ed Europa del 2000 su infestazioni in gravidanza non ne ha evidenziate per contatto diretto con il gatto.

    Resistenza

    Cisti tissutali:

    Sono quelle forme che ingeriamo con la carne, e anche se sono meno resistenti delle oocisti ambientali non è così facile eliminarle.

    • resistenti ai succhi gastrici

    • resistenti a 1 grado per più di 3 settimane

    • Non tutte vengono distrutte a – 12 °C dipende dai ceppi di toxoplasma (dati non chiari sul congelamento/surgelamento)

    • Vengono uccise dalla salatura e affumicamento degli insaccati stagionati, non di quelli freschi o fatti in casa

    • Vengono uccise subito a 67 °C, resistono 4 minuti a 60°C (generalmente le cotture della carne durano di più)

    • Vengono uccise dai detergenti e, quindi, le mani e tutti gli utensili utilizzati per la
      preparazione di carne cruda o altri alimenti da animali devono essere puliti a fondo con acqua calda e detergente

    • La cottura a microonde non garantisce l’uccisione

    Oocisti: sono quelle eliminate nelle feci dai felini, ma che non sono subito sporulate e quindi non immediatamente infettive. Servono almeno 24 ore nelle condizioni ideali.

    • Terreni umidi e sabbia per 18 mesi

    • In laboratorio: in frigorifero a 4° gradi per 54 mesi e al congelamento a – 10°C per 106 giorni

    • Cottura a 55-60 gradi resistono solo 1 – 2 minuti

    • Molto resistenti ai disinfettanti

    Precauzioni

    Queste misure preventive devono essere osservate principalmente dalle donne in gravidanza e da persone con il sistema immunitario indebolito.

    Di interesse alimentare
    • Lavarsi bene le mani con acqua e sapone dopo qualunque attività all’aperto, specialmente prima di mangiare e di cucinare

    • Quando si prepara della carne cruda, lavare bene con sapone e acqua calda i taglieri, i lavandini, i coltelli e altri utensili che possono essere venuti in contatto con essa per evitare la contaminazione crociata con altri cibi

    • Lavarsi bene le mani con il sapone dopo aver manipolato carne cruda

    • Cuocere tutta la carne completamente. Non assaggiare la carne prima che sia completamente cotta.

    • Preferire le verdure cotte, il lavaggio abbondante o con disinfettanti non garantisce assolutamente l’eliminazione delle oocisti.

    • Evitare i latti crudi non pastorizzati

    • Evitare gli insaccati freschi (salami e salsiccie) e quelli casalinghi

    • Bere solamente acqua potabile, in casi dubbi preferire quella confezionata (viaggi)

    In altri ambiti
    • Indossare i guanti quando si fa giardinaggio o qualunque altra attività che richiede di toccare la terra. I gatti, che di solito possono trasmettere i parassiti attraverso le feci, usano spesso i giardini per i loro bisogni o le aree gioco dei bambini.

    • Se si possiede un gatto, evitare che contragga la malattia: tenerlo in casa e nutrirlo con cibi industriali. I gatti si infettano mangiando prede infette o se gli viene data carne contaminata, cruda o poco cotta

    • Non portare un gatto nuovo in casa se può avere trascorso del tempo all’aperto o aver mangiato carne cruda. Evitare in particolare gatti randagi o gattini che hanno le loro abitudini

    • Assicurarsi che ci sia qualcuno in buona salute e non in gravidanza che si occupi di svuotare la lettiera del gatto. Se questo non è possibile, indossare i guanti e pulire la lettiera ogni giorno (il parassita che si trova nelle feci di gatto, impiega almeno un giorno prima di diventare infetto), lavarsi le mani e la lettiera con acqua calda e sapone una volta finito. La lettiera del gatto dovrebbe rimanere coperta quando non è usata

    L’epidemia più grandi e meglio documentata della toxoplasmosi acuta nell’uomo fino ad oggi si è verificata in 110 individui a Vancouver, in Canada, nel 1995. Gli studi epidemiologici hanno chiaramente che l’epidemia era stata causata dalla contaminazione delle acque potabili con oocisti.

    A cura del Dott. Borgarello.

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  • Esami del sangue: magnesio e cloro

     

    piscina

    Oggi concludiamo il percorso dedicato agli elettroliti parlando di: magnesio (Mg2+ ) e cloro (Cl).

    Il magnesio rappresenta, dopo il potassio, l’elemento minerale maggiormente presente nei tessuti molli e a livello intracellulare. Soltanto l’1% della sua quantità totale è presente nel siero e, come il calcio, la forma fisiologicamente attiva è quella ionizzata. I normali esami biochimici,però, valutano la concentrazione nel sangue soprattutto nella forma totale, non ionizzata: questo tipo di rappresentazione del magnesio non riflette, purtroppo, in modo accurato il suo reale stato in relazione a certe manifestazioni cliniche. Al di là delle variazioni tra i vari laboratori, mediamente il range fisiologico del Mg2+ è: 0,59-0.86 mmol/l nel cane e 0,74-1,20 mmol/l nel gatto.

    magnesio

    Il magnesio viene introdotto nell’organismo con la dieta e immagazzinato soprattutto nelle ossa ma, a differenza del calcio, negli stati carenziali non subisce una rapida mobilitazione. Nella sua forma extracellulare crea complessi con anioni(fosfato, citrato, solfato). I meccanismi che regolano la sua omeostasi non sono ancora stati chiariti del tutto: il suo assorbimento avviene a livello intestinale e la sua escrezione è renale.

    Il magnesio è un importante co-fattore per il funzionamento della pompa sodio-potassio il che lo rende cruciale nella corretta distribuzione dei due cationi tra sede intra ed extracellulare. Esso è inoltre implicato nella contrazione muscolare, nella stabilità delle membrane cellulari mitocondriali e nella fosforilazione ossidativa. I sintomi clinici più frequenti legati ad un alterazione della concentrazione di magnesio Mg2+sono soprattutto di tipo cardiocircolatorio (soprattutto aritmie) e neuromuscolare (debolezza muscolare, fascicolazioni, atassia, convulsioni). La condizione di elevata concentrazione di magnesio ovvero l’ipermagnesemia è piuttosto rara; i segni clinici sopra descritti, infatti, si riferiscono ad una situazione di ipomagniesemia cioè il suo abbassamento.

    cloro

    Il cloro rappresenta l’anione più abbondante del plasma e del liquido extra-cellulare ed è anche quello maggiormente filtrato e riassorbito dai glomeruli renali. Esso è in grado di bilanciare due terzi del sodio totale in esso presente: insieme Cle Na+ costituiscono il 90% dei soluti presenti nell’ECF. La sua concentrazione plasmatica media è di 100mEq/l nel cane e 120mEq/l nel gatto.

    Le sedi che ne contengono di più, oltre ai reni, sono lo stomaco e l’intestino. La sua presenza a livello intracellulare,invece, è decisamente ridotta e ciò è dovuto al potenziale di membrana a riposo delle cellule: l’unica eccezione sono gli eritrociti che, a causa proprio del loro particolare potenziale di membrana, permettono agevolmente l’entrata e l’uscita degli ioni Cl-.

    Il cloro svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio acido-base nell’organismo pertanto le variazioni di tale anione risultano fondamentali in corso di patologie quali l’alcalosi metabolica (in cui ha una relazione inversa coi bicarbonati), acidosi metabolica e acidosi respiratoria cronica.

    sali-di-magnesio

    L’aumento della concentrazione plasmatica di Clviene definito ipercloremia e può verificarsi per eccessiva perdita d’acqua in seguito a diarrea con conseguente perdita di sodio e bicarbonati, per acidosi renale tubulare, per ritenzione renale di Cle ancora in corso di insufficienza renale, diabete mellito, ipoadrenocorticismo, alcalosi respiratoria cronica, eccessivo apporto dall’esterno o a causa di alcuni farmaci (ad esempio lo spironolattone). Non esistono segni clinici “specifici” da ipercloremia.

    La condizione opposta viene definita ipocloremia ed è dovuta o a perdita effettiva di ioni Cla livello gastro-enterico (vomito, diarrea), renale (uso di diuretici), in corso di acidosi respiratoria cronica, iperadrenocorticismo, terapie con glucocorticoidi o, ancora, per eccessiva assunzione di sostanza contenenti sodio.

    Articolo a cura della Dr.ssa Martina Chiapasco, Clinica Veterinaria Dr.Borgarello

     

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  • L’occlusione dei denti

    Occlusione è il termine impiegato per descrivere il modo in cui i denti combaciano reciprocamente. La malocclusione è un’anomalia della posizione dei denti e può derivare da discrepanze della lunghezza o larghezza della mandibola, dall’errato posizionamento dei denti o da una combinazione di entrambi i fattori. La malocclusione è comune nel cane ma si verifica anche nel gatto, e dal punto di vista clinico può essere l’origine di un disturbo o anche di una sintomatologia algica.

    In alcuni casi essa rappresenta la causa diretta di una grave patologia orale; di conseguenza è importante la diagnosi precoce di malocclusione, al fine di porre in atto tempestive misure preventive.

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    Le fasi di sviluppo dell’occlusione sono regolate da fattori genetici e ambientali, ed è risaputo che le seguenti conformazioni sono ereditarie:

    • lunghezza della mandibola

    • posizione della gemma dentale (nonostante diversi eventi nel corso dello sviluppo e della crescita possono influenzarne la collocazione definitiva)

    • dimensione del dente.

    La malocclusione scheletrica può anche derivare da disordini ormonali, da traumi o da modifiche funzionali.

    In caso di occlusione normale è la forma della testa a influenzare la posizione dei denti. Tra i nostri animali domestici esistono le seguenti conformazioni:

    • CANI e GATTI MESOCEFALICI: in cui la mandibola risulta più corta e meno ampia rispetto la mascella; per cui gli incisivi superiori sono posti più rostralmente rispetto a quelli inferiori. La diversità nel gatto sta nel fatto che non presenta denti con superfici masticatorie.

    • CANI e GATTI BRACHICEFILICI: presentano una mascella più corta del normale.

    • CANI e GATTI DOLICOCEFALICI: presentano una mascella più lunga del normale

    Entrambe queste ultime due classi morfologiche mostrano un certo grado di malocclusione rispetto gli animali mesocefalici.

    Le informazioni sull’occlusione si possono ottenere con l’esame obiettivo con il paziente vigile, così come evidenti anomalie macroscopiche. Si esamina dapprima la bocca mantenendo la mandibola chiusa con delicatezza e retraendo le labbra al fine di osservare i tessuti molli e la superficie buccale dei denti. In questo modo si possono osservare la simmetria della testa, la correzione degli incisivi, l’occlusione dei canini, l’allineamento dei premolari, l’occlusione dei premolari e dei molari distali, e infine la posizione di ciascun dente. Per un esame orale risolutivo è invece sempre necessario ricorrere all’anestesia generale.

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    sul sito www.clinicaborgarello.it
    o per telefono alla 011-6471100

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