Parla il cane Woody nel libro di Federico Baccomo, e racconta una storia, ironica e drammatica la cui morale è chiara e cristallina: gli animali non sono razionali né evoluti come gli esseri umani, ma hanno un’innocenza e una sensibilità che garantisce uno sguardo sul mondo spesso migliore di quello di uomini e donne. Ci conquistano con la loro innocenza e si spiega anche così il profondo legame affettivo che ci lega agli animali domestici. “Regalano un insieme di responsabilità e soddisfazioni”, sottolinea l’autore “e in questo esercizio continuo di dare e ricevere”, può accadere che “con loro non migliori solo la vita, ma anche un po’ il padrone”.

Efficace l’intuizione di far esprimere Woody con un linguaggio originale e tutto suo. Con parole scelte per essere credibili , adeguate a “un immaginario paese in cui ai cani è dato di muovere una penna su un foglio”. E parte il racconto di uno di loro, ingenuo e preso d’amore per quella che chiama “Padrona” (ma solo nel senso dell’affetto e dell’appartenenza), che lo rende “eroe per caso” in una vicenda dove gli animali  si rivelano, come spesso accade, parecchio al di sopra di certi esseri umani.

Woody è un cane di razza bansenji, ha tre anni, è cresciuto con una ragazza adorabile, esile, gentile, bionda e gioiosa ed è beato e soddisfatto. Improvvisamente però tutto cambia e un brutto giorno Woody si sveglia in una gabbia, buia e sporca; non capisce come possa essere finito lì dentro e si dispera. La sua “padrona” non c’è più; né ci sono il suo buon cibo, le coccole, le passeggiate, i giochi; solo l’incubo della promiscuità con cani sconosciuti in un ambiente squallido e minaccioso. Cerca allora di mettere insieme  lampi di memoria “canina”, di capire perché si ritrovi in quella prigione. E ricostruisce, pezzo dopo pezzo, un evento drammatico, legato a un uomo orribile che da un po’ aveva preso a frequentare la casa della sua amata padrona e, attraverso brandelli di ricordi, cerca di distinguere il prima e il dopo, il bene e il male. Fino a che….

Un cane, un gatto, spesso sono compagni insostituibili. Oggi più di ieri. Secondo lei, come si spiega tanto affetto e considerazione per gli animali domestici?
“Forse perché dell’essere compagni, un cane o un gatto incarnano il ruolo nel modo più sincero. A volte, si ha la sensazione che questa maggiore considerazione per gli animali (domestici, ma non solo) sia vista, soprattutto da chi non la condivide, come una regressione, un cedimento un po’ infantile a un amore da peluche. A me sembra di vederci piuttosto una progressione, una piccola conquista: il riconoscimento di un seme di vita condiviso, che non credo possa essere considerato di seconda classe solo perché non è accompagnato da quella razionalità che, si dice, eleva l’uomo sopra ogni altra forma di vita. Naturalmente sarebbe sciocco negare all’uomo i trionfi che ne fanno il miracolo più complesso della natura, basta pensare al linguaggio, che per un narratore resta il primo prodigio con cui misurarsi e meravigliarsi quotidianamente. Ma se diamo all'”umanità” il significato di solidarietà, di comprensione, di pietà, è forte il sospetto che tutto quel trionfo di razionalità non abbia aggiunto molto all’identikit dell’umano. Al contrario, ha finito col sottrarre, portando con sé malizia, crudeltà, secondi fini. E si scopre che la famosa purezza d’animo, l’istinto non mediato che negli esseri umani ci appare come una benedizione, negli animali rappresenta invece la regola. Nel cane, in particolare, è una regola preziosa in modo speciale, assumendo i tratti del sentimento più nobile: la fedeltà. E probabilmente, dopo averla scoperta in una forma tanto autentica, viene difficile farne a meno”.

Il suo racconto ha la voce di Woody e un linguaggio particolare. Come è riuscito a inventarlo?
“Raccontare una storia dal punto di vista di un cane, cercando di restituire un certo modo stupefatto di guardare il mondo, mi sembrava una buona idea a patto che quella prospettiva riuscisse a trovare una voce coerente. Una voce ingenua, spontanea, che fosse l’espressione di uno sguardo basso e acceso da meraviglie continue. La voce, le parole che usiamo, nei libri come nella vita, sono l’aspetto che più di un abito, di un taglio di capelli o di un curriculum, racconta chi siamo, la nostra sensibilità, il nostro posto nel mondo. Nel modo in cui decliniamo la lingua, nei pudori come nelle volgarità, c’è qualcosa di molto simile alle impronte digitali. A Woody, per la sua credibilità e, soprattutto, per la possibilità di un’empatia, mi sembrava importante regalare parole che fossero veramente sue, come una lingua usata in un immaginario paese in cui ai cani è dato di muovere una penna su un foglio. Così mi è venuto da pensare a lui come a uno straniero, una specie di ospite del mondo umano. Quando ci si trova all’estero, con un carico di parole che ha le dimensioni di un bagaglio a mano, si finisce per essere disarmati, non si hanno rifugi verbali sotto cui ripararsi, e ci si trova costretti, con un po’ di imbarazzo e con parecchia fatica, a tirar fuori tutto quel che si può per arrivare il prima possibile al nocciolo del discorso, che sia una richiesta di indicazioni per un ristorante o persino una dichiarazione d’amore. Ecco, la voce di Woody mi sembrava potesse funzionare in un modo simile, con lo stesso grado di urgenza e di smarrimento”.

Un cane migliora la vita?
“Un cane stravolge la vita, la complica, la riempie, la colora, la intralcia, la incasina. E son tanti modi diversi per dire che un cane migliora la vita. Lo fa nel modo semplice in cui certe persone riescono a raddrizzare una giornata storta con una gentilezza inaspettata. Avere un cane è un’esperienza che mette insieme responsabilità e soddisfazioni, e mi viene da dire che in questo esercizio continuo di dare e di ricevere, ci può essere il rischio che non migliori solo la vita, anche un po’ il padrone”.

Federico Baccomo
Woody
Giunti editore
Pagg.96, euro 8,99

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