Sabato notte, presso l’area di servizio Montefeltro est, una pattuglia di Guardie Ecozoofile di Fare Ambiente, in servizio per il controllo sul traffico di animali, si è imbattuta in un furgone che trasporta cani e gatti dalle regioni del Sud fino alle persone, ai rifugi o canili che nel Nord Italia si sono resi disponibili agli affidi.

L’intervento di Guardie Ecozoofile e Polizia Autostradale di Forlì arriva dopo diverse segnalazioni relative a scambi anomali di animali, specialmente all’interno delle aree di servizio o nei pressi dei caselli autostradali.

Verso la mezzanotte del 1 settembre, infatti, è stato intercettato un mezzo al cui interno erano presenti oltre quaranta animali tra cani e gatti. Le pattuglie hanno verificato la regolarità della documentazione, l’idoneità del mezzo e lo stato di salute degli animali. Al momento sono al vaglio eventuali sanzioni in merito ai documenti che accompagnavano gli animali durante il trasporto e le autorizzazioni sanitarie circa l’omologazione del mezzo.

Tale controllo si è reso necessario dopo che si è verificato un caso di morte di un animale appartenente a un altro carico. Nei primi giorni di agosto, infatti, un cucciolo di cane proveniente dal Sud è morto poiché affetto da “parvovirosi”.

La nota delle guardie Ecoozofile sull’operazione

Paola (nome di fantasia), scorrendo gli annunci sui social network che riguardano le adozioni di cani e gatti, viene colpita dall’immagine di un cane tanto da decidere di voler salvare quel cucciolo da quello che potrebbe sembrare un destino già segnato. Così contatta l’Associazione che si occupa dell’adozione e, dopo una breve intervista telefonica, seguita da un modulo da compilare per l’intestazione, il cane le viene “spedito”. Dopo qualche giorno, in tarda serata, l’animale che, da subito, manifesta un evidente stato di malessere arriva all’area di servizio concordata. Il cucciolo è sporco di vomito, feci, e di conseguenza risulta maleodorante. Purtroppo, come può capitare in questi casi, il giorno dopo il cane muore. Gli esami effettuati dalla clinica veterinaria che si è occupata del povero animale quando ancora era in vita, parlano di “….animale abbattuto, disidratato, con temperatura di 40º, vomito, inappetenza, diarrea con sangue”. Successivi esami riportano che il cane è “…fortemente positivo al parvo virus”, che, in alta percentuale, porta alla morte ed è altamente contagioso. Non si può escludere, infatti, che altri cani, venuti in contatto col cucciolo, abbiano subito la stessa fine.

“Diverse Associazioni con pochi scrupoli – dice Matteo Fangarezzi, responsabile Guardie Ecozoofile della provincia di Rimini – approfittano della buona fede di migliaia di persone che, senza saperlo, alimentano invece un traffico che, anziché risolvere il problema del randagismo al sud, lo sposta semplicemente al nord. Inoltre, per consegnare i cani, vengono chieste “offerte” che si aggirano intorno ai 100 euro. Per non parlare dei mezzi spesso inadeguati, e del fatto che alcuni cani e, praticamente, tutti i gatti viaggiano senza microchip e copertura vaccinale”.

Gli spostamenti spesso riguardano animali facilmente affidabili, ovvero i cuccioli, mettendo così in difficoltà i comuni e i canili virtuosi perché sponsorizzando l’adozione  di cuccioli penalizzano  gli esemplari non più giovanissimi presenti nei canili del nord che in questo modo più difficilmente trovano una famiglia, i canili si riempiono e i comuni continuano a pagare per la permanenza dei cani all’interno degli stessi.

Abbandoni – “Altra eventualità che è capitata a noi circa due anni fa – continuano le Guardie – riguarda il rinvenimento di cuccioli “abbandonati” in zone in cui è facile il ritrovamento. Sono ovviamente cani sprovvisti di microchip, spesso con difficoltà caratteriali, in quanto provenienti da “branchi” di randagi, che vengono presi in carico dal comune nel quale il “ritrovamento” è avvenuto”.

E’ ormai assodato che qualcuno utilizzi questa prassi per spostare, anche in questo caso, i cani da sud a nord, “distribuendoli” in modo organizzato.

Le Associazioni serie, che per fortuna ci sono, si occupano dell’adozione dalla a alla z, sul proprio territorio. Questo vuol dire incontrare il possibile affidatario, verificare se è pronto a prendere un cane in affido, se la casa in cui abita è adatta, ecc. A ciò segue l’affido vero e proprio, al quale succedono le visite post affido per verificare che tutto vada bene, sia per la famiglia adottante che per l’adottato. Non è certo sufficiente una telefonata o uno scambio di foto su whatsapp a portare a termine un affido nel migliore dei modi.

Tra l’altro esiste da ben ventisette anni la legge quadro 281, del 1991 appunto, che prevede, al comma 2 “Il controllo della popolazione dei cani e dei gatti mediante la limitazione delle nascite” a carico di Comuni per mezzo delle AUSL competenti per territorio. Anche in questo caso, a disattendere quello che dovrebbe essere un obbligo di legge, sono più spesso i comuni del sud.

Oltretutto, durante la XVII legislatura, con atto ispettivo n. 3/02545 del 2016, numerosi parlamentari hanno dichiarato che: “negli ultimi anni, il randagismo fuori controllo è in aumento esponenziale, con aggravamento dei costi per i contribuenti, a causa delle mancate sterilizzazioni degli animali vaganti […] Nel Sud Italia sono stimati in circa 700.000 i cani randagi presenti sul territorio e 750.000 sono i cani in attesa di adozione costretti a vivere in canili; negli anni, attorno al randagismo si è creato un vero e proprio giro di affari: nonostante la legge n. 281 del 1991 indichi nelle associazioni di protezione animali i soggetti prioritari cui concedere le convenzioni per la gestione dei canili, in tutta Italia sono sorte strutture esclusivamente private, nelle quali gli animali devono fare numero e rimanere il più a lungo possibile: i gestori dei canili percepiscono, infatti, un contributo che va da 2 a 7 euro al giorno per ogni cane, che, moltiplicato per il numero dei cani detenuti, rappresenta un’ingente cifra”.

Si tratta, spesso, di strutture fatiscenti, dove i cani vivono ammassati in gabbie piccole e in condizioni igienico sanitarie pessime.

Se da un lato dobbiamo prendere in considerazione le condizioni fisiche cui questi animali sono sottoposti, non di meno dobbiamo trascurare quelle psicologiche ed etologiche. Il cane, soprattutto, ha necessità di interazione interspecifiche ed intraspecifiche, ovvero sia con i propri simili che con gli esseri umani, e non possono, come in qualche caso succede, essere lasciati per mesi o anni in box, con poche possibilità di sgambare e avere relazioni. Senza contare che, in alcuni casi, la mortalità nei così detti “canili lager”, purtroppo tristemente diffusi nella nostra penisola, la mortalità può arrivare al 60%. Dove non arriva la morte all’interno dei canili, svariati cani la trovano poiché sono coinvolti in incidenti stradali, con conseguenze tragiche spesso anche per le persone. A proposito di incidenti causati da animali, giova sottolineare che quelli che vedono coinvolti gli animali selvatici, ai quali viene data particolare enfasi, sono infinitamente meno rispetto a quanti vengono provocati dai cani randagi. La classifica delle regioni col maggior numero di animali randagi vede al primo posto la Puglia, seguita da Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. La Puglia e la Campania, da sole, contano quasi 300 tra canili e rifugi, su un totale nazionale di 1051 strutture. ( Fonte Ministero della Salute).

Lo stesso Ministero con la circolare n. 33 del 12 agosto 1993 dichiara fra l’altro: “Continuano a pervenire segnalazioni di affidamento di cani randagi da parte di canili comunali o intercomunali o privati convenzionati a persone che spesso si presentano sotto l’egida di associazioni protezionistiche e che invece fungerebbero da intermediari con organizzazioni straniere che nulla hanno a che vedere con la protezione animali. Cani e gatti che prelevati a cifre irrisorie in Italia verrebbero dirottati e rivenduti a cifre elevate per essere destinati alla sperimentazione. Si raccomanda pertanto di attenersi scrupolosamente alla normativa vigente affinché distrazione o buona fede nell’affido di animali non favoriscano il traffico in argomento”.

A solo scopo esemplificativo prendiamo il Comune di Ragusa che, con determinazione dirigenziale n. 151 di febbraio 2014 approva un protocollo d’intesa della durata di un anno e dell’importo di euro 10.000 per la “gestione” di 100 cani, ovvero “l’incentivazione delle pratiche di adozione anche attraverso il trasferimento dei cani dei canili verso zone del Nord Italia o anche estere” in quanto “il mantenimento in canile dei randagi catturati risulta un grosso onere per l’amministrazione comunale rispetto al numero veramente esiguo di adozioni o affidamenti a privati cittadini”.

In mezzo, tra i canili e gli adottanti, troviamo le “staffette”, ovvero furgoni più o meno omologati, stipati di cani e gatti in cerca di adozioni. Adozioni “del cuore” e, spesso, del portafoglio, poiché tutti i trasporti vengono pagati un tanto ad animale.

Ci sono ovviamente anche Associazioni che agiscono in buona fede e hanno a cuore il problema (che come abbiamo visto non si risolve certo cercando adozioni spesso improvvisate), ma in un business da diverse centinaia di milioni di euro l’anno non possiamo certo pensare che non si inserisca la criminalità organizzata. La LAV, Lega Anti Vivisezione, nel suo rapporto sulle Zoomafie, sostiene che il “mercato”, afferente al randagismo, frutterebbe circa 500 milioni di euro.

Questi trafficanti fanno parte di associazioni, spesso create ad hoc, con pochi scrupoli, che trafficano con animali che vengono reperiti in vari modi: rubandoli, prelevandoli da canili compiacenti, che si affidano ad appelli strappalacrime, o da persone che non sono più in grado di occuparsene e che si fidano di questi criminali che promettono di dare agli animali una migliore condizione di vita.

Potrebbero benissimo prendersi cura degli animali presenti sul loro territorio e occuparsene lì, ma questo non porterebbe loro alcun guadagno. Meglio, molto meglio, spostarli e dar vita ad un circolo vizioso, che porta congrui profitti e fa diventare lo “staffettista” un “lavoro” vero e proprio, anziché servizio di volontariato.

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