I tedeschi non vogliono castrarli e crescono a dismisura

  di da Berlino Roberto Giardina 

Invasione dei gatti in Baviera: il Land ha un problema con i felini, l’animale più amato dei tedeschi. Nel 38% delle famiglie vive almeno un animale, cani, canarini, pesci rossi, e anche pitoni e coccodrilli, ma i gatti sono in netta maggioranza: undici milioni e mezzo, pari al 19%, contro i 6,9 milioni di cani, il 14%.

Hanno meno esigenze di pechinesi e barboncini, non devono essere condotti a spasso alla mattina e alla sera, si possono lasciare soli a casa per un paio di giorni, sanno dosare il cibo per il tempo che occorre.

Ma sono troppo prolifici: un gatto può generare già a cinque mesi, e in media può mettere al mondo quattro gattini due volte all’anno. E si moltiplicano. I tedeschi, scrive Die Welt, tentano invano di regalare i gattini ad amici, parenti, e vicini, e alla fine «all’italiana» li abbandonano per strada. Oggi, 300 mila gatti ex domestici e inselvatichiti vagano per la Baviera, per le città e i paesi, dove sono abituati a vivere. Non sanno procurarsi il cibo da soli, non danno la caccia ai topi e non riescono a catturare i passeri, e quindi non osano avventurarsi nei parchi e nelle foreste.

Sono malati e smagriti, e non vivono a lungo, ma fanno in tempo a mettere al mondo altre migliaia di gattini. L’Associazione per la protezione degli animali consiglia ai proprietari di sterilizzare i mici di casa, ma la maggioranza si rifiuta: per motivi umanitari, sostengono, i loro gatti hanno diritto a una vita sessuale: «lasciamoli un po’ di piacere». Non è vero, rispondono i responsabili comunali: si tratta di avarizia, una castrazione costa da 80 a 120 euro. Il Finanzamt, l’ufficio imposte, si rifiuta di dedurre dalle imposte la spesa, e i comuni non intendono castrare l’esercito di felini a spese delle casse pubbliche. Frau Elke Stehle, della protezione animali, contraddice anche i gattari buonisti: «I gatti si accoppiano solo per la procreazione e non per piacere, nonostante quanto si vuole credere. E per le gatte è uno stress».

L’associazione interviene per non far morire di fame i gatti selvatici e distribuisce cibo alla sera, in posti prestabiliti, con un costo di 80-90 mila euro all’anno, comunque del tutto insufficiente. Ma nutrirli prolunga la sopravvivenza e dunque incentiva la proliferazione, che sta diventando un’autentica piaga. Che fare? Potrebbero intervenire i cacciatori. Secondo la legge bavarese, un gatto può essere abbattuto come qualunque altro tipo di selvaggina, se si aggira a 300 metri dal centro abitato. I cacciatori avrebbero abbattuto l’anno scorso circa 100 mila gatti, ma la Federazione della caccia nega: non è vero, ai nostri iscritti non piace abbattere i gatti.

Una vita difficile per i felini in Germania. I loro padroni vegetariani e vegani non vogliono che i loro gatti mangino carne, e hanno cominciato a offrir loro solo cibi vegetali, a base di soia. Una sorte condivisa con i cani, per la verità. I fabbricanti di cibi per animali domestici hanno reagito prontamente mettendo sul mercato scatolette vegetariane, però non riescono a accontentare i fondamentalisti vegani, almeno per il momento. La loro Bibbia è il saggio di James Peden, uscito in America, una ventina d’anni fa: Vegetarian Cats and Dogs. Secondo lui cani e gatti non hanno il diritto di nutrirsi di altri animali. «Una sciocchezza», commenta l’esperto animalista Jürgen Zentek, «se si lascia libero un cane o un gatto di nutrirsi come gli pare, preferirà sempre la carne. Obbligarlo a diventare vegetariano è dannoso per la salute». Quanti gatti in Baviera hanno deciso di evadere dai loro padroni vegetariani, preferendo il vagabondaggio alle scatolette a base di soia?

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