«T he cats will know, I gatti lo sapranno». Ha scritto Cesare Pavese in una delle sue più belle e malinconiche poesie. Una delle molte che sono state dedicate a questi straordinari animali. E a volte, per chi ha il piacere e l’onore di averli in famiglia, pare proprio che sia così. Che questi splendidi felini, piccole tigri addomesticate (anche se non del tutto), abbiano un sesto senso. Questa «prossimità» con l’indefinito e il misterioso è ciò che, nel corso della storia, li ha anche fatti amare. O odiare.

Venerati dagli Egizi e dai Babilonesi, sono stati perseguitati nel Medioevo, perché considerati «satanici», «demoniaci». Così il gatto che gioca col topo prima di ucciderlo, veniva paragonato al diavolo che gioca con l’anima umana. «I gatti sono da sempre stati percepiti come legati al mondo del magico – spiega l’etologo Roberto Marchesini, autore de L’identità del gatto (Safarà editore). – Per numerosi motivi. Pensiamo al modo silenziosissimo con cui si muovono, come compaiono e scompaiono all’improvviso. Come lo Stregatto di Alice nel mondo delle meraviglie . E poi pensiamo ai loro occhi, globosi, che sembrano cristalli. Una caratteristica comune a molti altri animali considerati in qualche modo magici: dalla civetta alla mantide religiosa, ai serpenti. Senza contare che il gatto è l’animale notturno per antonomasia e che la sua frenesia, anche amorosa, lo fa sembrare quasi un indemoniato. Per questo nelle culture affascinate dal tellurico, dal magico, il gatto è sempre stato venerato, considerato un mediatore con questo mondo, mentre nelle culture che hanno respinto questo lato dell’esistenza, il gatto è stato bandito e perseguitato».

Il destino del gatto sembra dunque segnato. Suscita emozioni forti. Nessuna mezza misura. Odio totale o amore incondizionato. Molti pregiudizi e qualche verità. Il gatto viene definito autarchico, seduttore, egoista. In un gioco di luci e ombre, di presenza e assenza. Il paragone con i loro antagonisti per eccellenza, i cani, è quasi obbligato. In tutti i campi. Uno per tutti: la notorietà. Dai tempi di Lassie fino a Uggie (il trovatello che ha recitato nel film premio Oscar «The Artist», morto due anni fa) i cosiddetti «migliori amici dell’uomo», sono spesso diventati famosi grazie a cinema e tv. Sono considerati degli eroi: per fedeltà, amore, simpatia, coraggio. I gatti invece (dopo fumetti e cartoni animati) hanno riscoperto un loro ruolo da star soprattutto con i social network. Anche grazie – ammettiamolo – alla loro straordinaria capacità di stare davanti a una macchina fotografica. Ed ecco Tardar Sauce, alias Grumpy Cat, diventata famosa per la sua espressione facciale «imbronciata». Risultato: oltre 10 milioni di followers su Facebook e Instagram e profitti milionari per la sua proprietaria, Tabatha Bundesen.

La contemporaneità è tornata dunque ad amare e venerare i gatti? «Sì. Assistiamo a un grande ritorno di questi animali nelle nostre vite – sottolinea ancora Roberto Marchesini -. Grazie ad alcuni aspetti del loro stile e soprattutto del loro modo di interpretare la casa, che è la loro dimensione di riferimento. I gatti mappano il luogo in cui vivono, e in cui noi viviamo con loro: la cucina dove mangiano, il divano dove si rilassano, il soggiorno dove giocano. Non a caso la relazione tra uomo e gatto è una relazione post neolitica e stanziale, a differenza di quella del cane, nata quando l’uomo era ancora cacciatore-raccoglitore e quindi nomade».

Certo è che osservarli è divertente e magnetico. Potresti passarci le giornate guardandoli mentre «fanno cose», fingendo di non vederti mentre li ammiri: sono degli acrobati, dei giocolieri, degli artisti e dei gran pagliacci. Ma non solo. I gatti sanno conquistarci con la loro personalità, indipendente ma affettuosa (quando vogliono, ovviamente). «Il gatto non è una calamita che vuole tutto di te – conclude Marchesini – ma ti cerca in una relazione conviviale, di relax, un po’ come quando noi andiamo al bar. Però non dobbiamo mai pensare di portare in casa un gatto lasciando fuori dalla porta la sua natura, la sua felinità e animalità. Amarli significa, prima di tutto, rispettarli. Per quello che sono».

29 marzo 2018 (modifica il 29 marzo 2018 | 18:17)

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