Pubblichiamo l’articolo di Margherita Pittalis, tratto da Famiglia e diritto (n. 12/2016), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>


Le condizioni relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura del cane rivestono un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, né contrastano con alcuna norma cogente, talché nulla quaestio circa il loro inserimento nella presente sede e conseguente omologa; quanto alle condizioni relative agli altri aspetti del rapporto con l’animale, esse (ricalcando impropriamente sul piano terminologico le clausole generalmente adottate in tema di affidamento, collocazione e protocollo di visita dei figli minori, il che a questo giudice pare una caduta di stile sul piano culturale) di fatto si preoccupano di assicurare a ciascuno dei comproprietari la frequentazione con l’animale (in via alternata) e la responsabilità sullo stesso. 

In caso di contrasto tra le parti il giudice della separazione non è tenuto ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi; per contro, in presenza di accordi liberamente assunti dai coniugi, non vi è luogo a provvedere circa il merito di dette questioni ma solo a verificare la sussistenza dei presupposti della omologazione; a tal fine, pur invitandosi le parti, per il futuro (per es. in caso di divorzio o modifica delle condizioni di separazione) a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico, devesi rilevare che i presenti accordi, anche nella parte in cui concernono interessi a contenuto non economico, non urtano con alcuna norma cogente, né con principi di ordine pubblico.

(Orientamenti giurisprudenziali – Conforme: Trib. Milano 2 marzo 2011 – Difforme: Trib. Pescara 9 maggio 2002; Trib. Cremona 11 giugno 2008; Trib. Milano 13 marzo 2013)

Il provvedimento del Tribunale di Como omologa le condizioni economiche di separazione consensuale aventi ad oggetto il mantenimento dell’animale domestico, sul rilievo che si tratterebbe di un “bene di interesse familiare”. Quanto alle condizioni di separazione relative alla frequentazione alternata con lo stesso, procede altresì all’omologa, peraltro sul mero riscontro della loro non contrarietà con alcuna norma cogente né con l’ordine pubblico, suggerendo tuttavia ai coniugi, per il futuro, di regolare con impegni stragiudiziali tali aspetti che gli stessi, ad avviso del Tribunale con una “caduta di stile sul piano culturale”, avevano concordemente regolato utilizzando la stessa terminologia adottata in tema di affidamento dei minori. L’Autrice, dopo aver evidenziato l’evoluzione normativa internazionale e nazionale, nonché giurisprudenziale, circa il rilievo degli animali quali “esseri senzienti”, svolge rilievi critici avverso il provvedimento del Tribunale e giunge a promuovere il riconoscimento, in capo agli animali in genere, dello status di soggetti anziché di cose.

Il caso

La fattispecie in esame riguarda la sottoposizione alla omologa del Tribunale di Como di un accordo di separazione consensuale fra coniugi che, privi di prole e di beni in comune, nonché entrambi autosufficienti sul piano economico, avevano unicamente disposto concordemente in merito alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura di un animale domestico, nella specie un cane, nonché alle modalità di frequentazione dello stesso.

In particolare, come si legge nell’accordo poi omologato, che la scrivente è riuscita a farsi trasmettere in forma anonima dal Tribunale, i coniugi avevano disposto, al riguardo, nel senso che:

  • il cane, ancorché intestato al marito all’anagrafe canina ASL di Como, era in realtà di “proprietà” di entrambi i coniugi e pertanto tutte le decisioni allo stesso relative sarebbero state assunte dagli stessi di comune accordo;
  • il cane avrebbe “abitato” vita natural durante presso l’abitazione della moglie, fatte salve le modalità di frequentazione anch’esse previste oltre nell’accordo;
  • il marito avrebbe versato alla moglie per il mantenimento del cane “la somma mensile di euro 250, quale contributo per la dog-sitter, somma che verserà entro il giorno 5 di ogni mese e verrà rivalutata secondo gli indici ISTAT – operai e famiglia – con decorrenza 1.1.2017 sulla base 1.1.2016-1.1.2017; inoltre provvederà all’acquisto delle crocchette necessarie per l’alimentazione”. Quanto alle spese veterinarie, l’accordo prevedeva che in ragione dell’80% le stesse facessero carico al marito, e che per il restante 20% facessero carico alla moglie;
  • il marito avrebbe tenuto con sé il cane, presso la propria abitazione, per il fine settimana “alternativamente con la moglie, dalle ore 18 del venerdì fino alle ore 20 della domenica”; inoltre avevano disposto che “durante la settimana i coniugi concorderanno altri eventuali incontri compatibilmente con gli orari di lavoro delle parti”; e che “i coniugi divideranno tra loro i periodi di vacanza estiva che trascorreranno con … concordando la suddivisione tra loro entro il 28.2. di ogni anno e divideranno anche tra loro i giorni di vacanza per festività e/o altri periodi di vacanza durante l’anno”.

A fronte di detto accordo, il Tribunale di Como, osservato che le condizioni di separazione di cui al ricorso concernevano unicamente la “gestione di un animale domestico della coppia (cane…) sotto il profilo sia economico sia relazionale”, e premesse alcune notazioni circa la natura negoziale dell’atto in cui si realizza il consenso circa la separazione, nonché circa la funzione del decreto di omologa, che il Tribunale stesso dà correttamente atto essere quella di “controllare la compatibilità della convenzione pattizia rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico, nonché, in presenza di figli minori, di compiere ex art. 158, comma 2 c.c. la più pregnante indagine circa la conformità delle condizioni relative ad affidamento e mantenimento allo interesse degli stessi…”, ha distinto, agli effetti della rilevanza del loro inserimento nel ricorso per separazione consensuale e conseguente omologa, le condizioni relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e cura del cane da quelle relative alla frequentazione con l’animale (in via alternata) e alla responsabilità sullo stesso.

In particolare, il Tribunale ha rilevato che le condizioni di separazione “relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura del cane rivestono un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, né contrastano con alcuna norma cogente”, di tal che non ha ravvisato alcun ostacolo alla relativa omologa.

Quanto alle condizioni relative agli “aspetti del rapporto con l’animale”, e cioè la frequentazione in via alternata e la responsabilità sullo stesso, il giudice, agli effetti di affermarne la rilevanza o meno in sede di omologa, nel far leva ancora una volta sulla natura negoziale dell’accordo di separazione, ha fatto richiamo all’art. 1174 c.c., affermando la meritevolezza, ai sensi di tale articolo, anche di interessi di natura non patrimoniale, quale nella specie quello, che certamente rivestiva particolare rilievo per i coniugi, alla frequentazione col cane.

Che la frequentazione col cane rivestisse una così notevole importanza per i coniugi appariva manifesto, ad implicito giudizio del Tribunale, e comunque a tutta evidenza, per il fatto che gli stessi, nel formulare le condizioni relative agli aspetti del rapporto con l’animale, avevano (impropriamente, ad avviso del giudice) mutuato la medesima terminologia usualmente adottata con riferimento alla relazione genitoriale, e cioè le clausole che normalmente si utilizzano in tema di “affidamento, collocazione e protocollo di visita dei figli minori”; così testualmente il Tribunale, che a ciò dedica una apposita notazione formulata fra parentesi, in cui addirittura si spinge ad un apprezzamento circa la “caduta di stile sul piano culturale” che l’utilizzo di detta terminologia configurerebbe.

Sempre con specifico riferimento alle sole condizioni aventi ad oggetto il rapporto di ciascun coniuge col cane, il decreto in commento distingue fra separazione giudiziale e separazione consensuale, affermando che nel primo caso, caratterizzato dal contrasto fra i coniugi circa le condizioni di frequentazione con l’animale, “il giudice della separazione non è tenuto ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi”; nell’affermare ciò, peraltro, il giudice richiama una inedita ordinanza del Tribunale di Milano del 2 marzo 2011 e precisa che la descritta situazione è quanto attualmente risulta de iure condito, e che è comunque sempre “possibile” che – ironicamente, come è dato di cogliere – “data la fantasia del legislatore”, possa essere disposta una estensione del possibile contenuto dei provvedimenti in tema di separazione giudiziale nel senso di ricomprendere anche detti aspetti. E proprio per corroborare l’ipotesi di un, non auspicato, ma – come si è rilevato – “possibile” – intervento del Legislatore, il decreto richiama il disegno di L. n. 3231 della XVI legislatura, che prevede l’introduzione dell’art. 455 ter c.c., rubricato “affido di animali familiari in caso di separazione dei coniugi”, con l’eventuale audizione di esperti del comportamento animale.

Quanto invece alla separazione consensuale, oggetto appunto del procedimento di cui al decreto che si annota, il Tribunale, in presenza di condizioni di separazione concordate fra i coniugi, ritiene che, come normativamente previsto, vi sia unicamente la necessità di verificare la sussistenza dei presupposti della omologazione, e cioè – in mancanza, come nella specie, di prole – quella di controllare la compatibilità della convenzione pattizia rispetto alle norme cogenti ed ai principi di ordine pubblico; compatibilità che il Tribunale, al termine del proprio argomentare, afferma, non soltanto per la parte degli accordi avente ad oggetto questioni di natura economica (mantenimento e cura del cane), ma anche per la parte delle condizioni di separazione aventi ad oggetto il rapporto di frequentazione con lo stesso, e ciò, “pur invitandosi le parti, per il futuro (per es. in caso di divorzio o modifica delle condizioni di separazione) a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico”.

Si preferisce sin qui per il momento dare atto di tutti i passaggi che si sono ritenuti più significativi del decreto e, come riportate testualmente nel virgolettato, delle notazioni del Tribunale che daranno più oltre spunto a chi scrive per proprie riflessioni critiche.

La rilevanza degli animali domestici nei provvedimenti dei giudici italiani

La S.C. si è occupata significativamente della rilevanza degli animali, ed in particolare di quelli dalla stessa definiti “da affezione” o “da compagnia”, con ciò intendendo quindi porre l’attenzione sugli animali, non in quanto “esseri” in se stessi, ma solo se ed in quanto posti in relazione con l’essere umano, che dalla loro vicinanza ricavi benessere affettivo e/o compagnia.

Si registra in tale ambito, innanzitutto, la sentenza di Cass., Sez. III, 27 luglio 2007, n. 14846[2], che nel decidere sulla domanda di risarcimento del danno esistenziale asseritamente derivante dalla morte di un animale cui il padrone era affettivamente legato (un cavallo), affermò che “la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta”. Di qui la negazione della risarcibilità del danno non patrimoniale da uccisione/perdita dell’animale da affezione.

Successivamente, anche le Sezioni Unite della S.C., nella sequenza di decisioni dell’11 novembre 2008, n. 26972, n. 26973, n. 26974, n. 26975[3], definite “di San Martino”, dopo aver accomunato fra loro situazioni del tutto eterogenee, quali, da un lato, il danno da “morte dell’animale da affezione” o da “maltrattamento di animali”, e dall’altro, il danno derivante dalla rottura del tacco della sposa o dal mancato godimento della partita di calcio in televisione; e dopo aver etichettato in maniera onnicomprensiva dette situazioni come “fantasiose ed a volte risibili”, hanno affermato, richiamando in senso confermativo la appena menzionata Cass. n. 14846/2007, che il rapporto fra l’uomo e l’animale è “privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale”, cosicché non sarebbe dovuto alcun risarcimento del danno da morte dell’animale d’affezione.

Come si può notare, nei casi riferiti, si è sempre deciso o comunque ci si è riferiti a domande risarcitorie di proprietari di animali da compagnia per la perdita, cagionata dal fatto lesivo altrui, della relazione affettiva con l’animale. Ciò che quindi veniva in questione era l’animale quale elemento o per meglio dire quale “oggetto” della sua relazione con l’uomo, una relazione per di più sprovvista di alcuna valenza meritevole di protezione a livello costituzionale, tanto da non dar neppure luogo, ove perduta dall’uomo, al risarcimento del relativo danno. Si può quindi affermare che dette pronunce hanno tutte negato la sussistenza di un “diritto all’animale d’affezione” meritevole di tutela risarcitoria.

L’animale domestico si sarebbe infatti potuto considerare meritevole di un qualche rilievo soltanto se ed in quanto fosse stato considerato degno di tutela giuridica di rango costituzionale il rapporto fra la persona umana e l’animale ucciso dal terzo danneggiante, e ciò, eventualmente anche per le implicazioni che tale mancanza affettiva avrebbe potuto comportare in termini di mutamento di vita del “proprietario” dell’animale; ma tale effetto veniva del tutto negato dalla giurisprudenza di legittimità, che affermava la natura “bagatellare” del danno da perdita dell’animale da compagnia[4].

Proseguendo nella disamina della giurisprudenza, si rinvengono, in epoca successiva alle decisioni di legittimità sopra richiamate, alcune decisioni di corti di merito molto significative[5].

La prima che si annovera è quella del Trib. Varese 7 dicembre 2011, decr.[6], per il quale “Il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia; diritto che, quindi, va riconosciuto anche in capo all’anziano soggetto vulnerabile dove, ad esempio, tale soggetto esprima, fortemente, la voglia e il desiderio di continuare a poter frequentare il proprio cane anche dopo il ricovero in struttura sanitaria assistenziale. Il giudice tutelare deve garantire la tutela e il riconoscimento del rapporto tra l’anziano e l’animale”.

In particolare, il decreto afferma che “deve oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un valore e un interesse a copertura costituzionale: secondo gli scritti della manualistica penale classica, solo gli interessi a copertura costituzionale giustificano la tutela penale (quale extrema ratio) e, nel caso di specie, proprio a tutela del sentimento per gli animali, il Legislatore, nel 2004, ha introdotto i delitti di cui agli artt. 544 bis-544 sexies c.p., così dovendosi ritenere che, in base all’evoluzione della coscienza sociale e dei costumi, il Parlamento abbia ritenuto che un tale sentimento costituisse oramai un interesse da trarsi dal tessuto connettivo della Charta Chartarum, in particolare dalla previsione sempre-viva dell’art. 2, aperto al soggiorno dei valori man mano riconosciuti, nel tempo, dalla Società, come diritti inviolabili (anche se ‘inespressi’)”.

Tale decisione è molto rilevante, poiché, contrariamente alle decisioni della Suprema Corte poc’anzi ricordate, afferma un vero e proprio “diritto soggettivo all’animale da compagnia”, nella specie, in capo ad un anziano ricoverato in una struttura sanitaria assistenziale, che aveva fortemente manifestato il bisogno di continuare a frequentare il proprio cane nonostante il ricovero.

Per la prima volta infatti, è il citato Tribunale di Varese che afferma questo concetto: esiste ed è meritevole di tutela l’interesse alla frequentazione dell’animale domestico, quale interesse meritevole di tutela costituzionale che diventa “diritto soggettivo all’animale da compagnia”. Questo passaggio è assolutamente essenziale e del tutto in contrasto con quanto affermato dalle precedenti pronunce di legittimità.

Ciò, naturalmente, sempre sul piano della relazione fra la persona e l’animale, laddove quindi si protegge l’interesse della prima a conservare detta relazione, in cui l’animale è pur sempre l’“oggetto” di un bisogno dell’essere umano.

Vari sono poi i provvedimenti che si sono occupati della situazione di cui al decreto oggetto del presente commento, e cioè della sorte dell’animale da affezione in caso di separazione coniugale.

Si richiama, al riguardo, il caso – inedito – di cui all’ordinanza del Presidente del Tribunale di Foggia sopra richiamata, per la quale “Il giudice della separazione può ben disporre, in sede di provvedimenti interinali, che l’animale d’affezione, già convivente con la coppia, sia affidato ad uno dei coniugi con l’obbligo di averne cura, e statuire a favore dell’altro coniuge il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giorno”. Nella specie, come si è accennato nel paragrafo precedente, il cane è stato affidato “al coniuge ritenuto maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale”[7].

La decisione, pur in assenza di una normativa sul tema, avrebbe risolto nel senso precisato – invero molto simile a quanto si riscontra in caso di affidamento di minori – un caso di separazione giudiziale, in cui quindi non sussisteva accordo fra i coniugi circa la frequentazione con l’animale; e ciò, in contrasto con i rilievi contenuti nel decreto del Tribunale di Como, che si commenta, e che infatti ha affermato che in caso di contrasto fra i coniugi sul punto, il giudice della separazione non è tenuto, almeno sulla base dell’attuale diritto positivo, “ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi”.

In un successivo caso di separazione consensuale, il Trib. Cremona 11 giugno 2008[8], ha garantito ad entrambi i coniugi la gestione condivisa dell’animale, dividendo al 50% le spese per il mantenimento.

La decisione, peraltro, non sembra dunque essersi limitata, come invece il decreto che si commenta, ad affermare, data la consensualità della separazione, la non contrarietà degli accordi dei coniugi a norme cogenti ed a principi di ordine pubblico, e ad invitare i coniugi, per il futuro, “a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico”, bensì ha omologato nel merito le condizioni divisate in maniera paritetica dai coniugi, anche questa volta in maniera simile a quanto si verifica in tema di rapporti di filiazione, e ritenendone quindi implicitamente la meritevolezza di tutela di per sé, e non quindi unicamente in relazione al disposto dell’art. 1174 c.c. concepito e collocato nell’ambito delle norme sulle obbligazioni in generale, e che sancisce semplicemente la compatibilità della intrinseca patrimonialità del vincolo obbligatorio con l’interesse in ipotesi non patrimoniale che vi sia eventualmente sotteso.

Per contro, il Tribunale di Milano, con l’inedita ordinanza in data 2 marzo 2011, ricordata e presa come spunto dal Tribunale di Como nel provvedimento che si annota, ha dichiarato inammissibile, in sede di separazione giudiziale, la domanda volta all’assegnazione di animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, per il fatto che l’ordinamento italiano non prevede ancora nulla circa la possibilità di affidare gli animali domestici, “né essendo compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa”.

Ed infine, prima del decreto oggetto del presente commento, si registra l’evoluto decreto – peraltro non richiamato dal Trib. Como – del Trib. Milano 13 marzo 2013[9], che, in un analogo caso di separazione consensuale fra coniugi, dopo aver preso le mosse dal rilievo che “nell’attuale ordinamento – anche in conseguenza dell’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 201, di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987 – il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia (Trib. Varese 7 dicembre 2011, decreto)”, ha affermato che “una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, impone di ritenere che l’animale non possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose”, … ma debba essere riconosciuto come “essere senziente” (v. Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007). Non essendo l’animale una “cosa” (v., ad. es., artt. 923 c.c.), bensì un essere senziente, è legittima facoltà dei coniugi quella di regolarne la permanenza presso l’una o l’altra abitazione e le modalità che ciascuno dei proprietari deve seguire per il mantenimento dello stesso”. Nella specie, trattavasi di collocare i gatti della famiglia di una minore, i cui coniugi avevano stabilito in una clausola dell’accordo di separazione che i gatti restassero a vivere nell’ambiente domestico della madre, dove era collocata la minore, e che la madre provvedesse alle spese ordinarie, mentre quelle straordinarie restassero a carico in pari misura fra i coniugi.

Si può quindi notare che il provvedimento da ultimo menzionato del Tribunale di Milano pone a base della omologa delle condizioni di separazione consensuale, nel merito delle quali scende decisamente, optando per l’affermativa, una radicalmente mutata concezione dell’animale, che riferisce come il portato della evoluzione registratasi a livello di normazione europea, e che fa leva sulla natura di “essere senziente” dello stesso, e cioè – secondo quella che sembra l’accezione filosofico/etica attualmente accreditata[10] – di creatura capace di “provare emozioni”, e in particolar modo – per quanto qui maggiormente interessa, ad avviso di chi scrive – di avvertire “sofferenza”, non solo fisica ma anche psichica.

Ecco che quindi, anche solo per tale profilo, la decisione del Tribunale di Como che si sta commentando si pone del tutto in controtendenza, non soltanto relativamente alla stessa giurisprudenza di merito, ma soprattutto rispetto alle Convenzioni internazionali che considerano gli animali come “esseri senzienti” ed alla considerazione degli stessi vieppiù affermatasi nella società italiana, fra le prime appassionate degli animali domestici e degli animali in generale, tanto da ispirare sempre più l’attenzione del Legislatore nazionale, tradottasi già in interventi normativi a tutela – plausibilmente – degli animali in se’ stessi e non solo nella loro relazione con l’essere umano e col suo “sentimento” nei loro confronti, oltre che in disegni di legge in tema di affidamento degli animali domestici in caso di separazione, ultimo dei quali quello n. 795, d’iniziativa dei deputati del Pdl Maria Vittoria Brambilla e Giuseppina Castiello, presentato nella XVII Legislatura il 18 aprile 2013, successivo rispetto al progetto di legge menzionato dal Tribunale di Como (n. 3231 della XVI Legislatura).

È peraltro interessante notare come nessun giudice dia rilievo alla iscrizione dell’animale domestico all’anagrafe canina, e quindi come l’animale da compagnia non debba intendersi, neppure per le decisioni che lo parificano ad una “cosa”, quale “bene mobile registrato”, poiché infatti, sebbene intestato ad un membro della famiglia, ben potrebbe aver sviluppato una relazione affettiva particolare con un altro familiare. Inoltre, l’anagrafe canina non dispone alcun controllo sulla veridicità di quanto affermato dal richiedente la iscrizione del cane: normalmente infatti, accade che ci si presenti da un veterinario autorizzato, si fa il microchip per il cane e questo determina l’immediata intestazione; ratio del microchip è quella di poter risalire all’identità del “padrone”, da intendersi tuttavia in senso lato quando un cane vive all’interno di un nucleo familiare. La qual cosa fa riflettere sulla natura che oramai la sensibilità generale attribuisce agli animali, specie quelli c.d. di affezione, come esseri capaci di interagire con la realtà che li circonda e in special modo con tutti i componenti del nucleo di cui formano parte integrante.

Analisi critica del provvedimento del Tribunale di Como

È possibile a questo punto, alla luce sia dei supporti normativi anche ultranazionali richiamati, che delle decisioni susseguitesi, di cui si è detto, procedere ad una disamina critica del decreto del Tribunale di Como in commento, di cui si sono già inizialmente evidenziati alcuni passaggi salienti.

Una prima notazione critica che si ritiene di formulare riguarda quanto ha motivato il giudicante circa la ritenuta omologabilità delle condizioni di separazione relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e cura del cane, in quanto le stesse rivestirebbero un indubbio contenuto economico “al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare”, né contrasterebbero con alcuna norma cogente.

Ebbene, già questa prima argomentazione presta, ad avviso di chi scrive, il fianco a critiche, in quanto, trascurando completamente le previsioni normative di cui sopra si è detto, oltre che i precedenti giurisprudenziali richiamati sul punto, equipara gli animali da compagnia a “beni di interesse familiare” che richiedono spese di mantenimento.

Gli animali da compagnia sarebbero ancora quindi, sotto il profilo degli assetti economici fra le parti, da considerare quali “beni”, e quindi, come “oggetto” di diritti dell’essere umano sugli stessi, secondo la definizione di bene giuridico dettata dall’art. 810 c.c. Concezione oltremodo riduttiva che la scrivente, oltretutto sulla base delle fonti e delle decisioni sopra richiamate, ma anche a prescindere dalle stesse, non condivide minimamente, valorizzando per contro l’orientamento più evoluto, che sta affermandosi sempre più, per il quale l’animale sarebbe da considerarsi non oggetto ma quale vero e proprio “soggetto” di molteplici diritti.

Quanto alle condizioni concernenti la frequentazione con il cane, a quanto sembra di poter capire, il Tribunale di Como provvede alla loro omologa per due ragioni, e cioè innanzitutto per il fatto che trattasi di condizioni sulle quali sussiste pieno accordo fra i coniugi, ed inoltre, perché “non urtano con alcuna norma cogente, né con principi di ordine pubblico”.

Peraltro, se certamente sotto il profilo del decisum il provvedimento potrebbe sembrare appagante, avendo il Tribunale disposto l’omologa, non appare invece convincente la motivazione, avuto riguardo al fatto che il giudice, sul presupposto della natura negoziale degli accordi di separazione consensuale, ricava la meritevolezza di tutela delle condizioni relative alla frequentazione con il cane ed alle responsabilità sullo stesso, dal particolare interesse che le stesse nel caso di specie rivestono per i coniugi, interesse di natura certamente non patrimoniale, che sarebbe ad avviso del Tribunale rilevante ai sensi dell’art. 1174 c.c., in tema di “obbligazioni in generale”.

Argomentare da cui traspare ancora una volta la riduttiva concezione del Tribunale circa l’animale quale semplice oggetto di diritti, rilevante unicamente e pur sempre in un contesto di relazione – per di più, di natura “obbligatoria” – con l’uomo, nonostante il rilevato interesse non patrimoniale di quest’ultimo a mantenere, nel caso di specie, il rapporto affettivo con il cane.

Discutibile, in quanto logicamente non consequenziale a quanto appena evidenziato dal giudicante circa l’affermata rilevanza degli “aspetti del rapporto con l’animale” pur sempre in collegamento con l’art. 1174 c.c., appare altresì il passaggio in cui il Tribunale invita le parti, per il futuro (per es. in caso di divorzio o modifica delle condizioni di separazione) “a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico”: se infatti le condizioni circa la frequentazione del cane appaiono al Tribunale meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1174 c.c., non si vede perché non si possano legittimamente omologare quali condizioni della separazione consensuale e si debba invece, su suggerimento del Tribunale stesso, regolarli nell’ambito di impegni stragiudiziali (di natura – fra l’altro – imprecisata)[11].

Ma la decisa contrarietà del decreto che si annota ad una concezione degli animali, in particolare quelli di affezione, quali entità diverse dalle cose, la si avverte in varie altre notazioni e coloriture, quali l’ironico richiamo alla “fantasia” del Legislatore nell’introdurre, quale intervento normativo non certamente auspicato dal Tribunale di Como ma definito solo “possibile”, un articolo nel codice civile (art. 455 ter c.c. del Disegno di L. n. 3231 della XVI Legislatura, peraltro attualmente superato da quello n. 795 della XVII Legislatura) che espressamente tratti dell’affido degli animali di affezione in caso di separazione coniugale; ed ancora, l’avverbio “impropriamente”, utilizzato per stigmatizzare l’utilizzo da parte dei coniugi separandi della medesima terminologia utilizzata con riferimento ai rapporti genitoriali e di filiazione, e da ultimo, la esplicitata opinione personale del giudice circa la “caduta di stile sul piano culturale” che ciò rappresenterebbe, osservazione del tutto ultronea rispetto a quanto richiestogli in sede di omologa, e che comunque evidenzia una concezione del tutto superata circa il rilievo degli animali, alla luce dei riconoscimenti che gli stessi hanno ricevuto e ricevono quali “esseri senzienti” in sede internazionale e nazionale, come sopra si è dato ampiamente atto e come mostra di essere per taluni aspetti edotto lo stesso giudice del provvedimento che si annota.

Senza contare che, come sopra si è ricordato, sussistono precedenti che si occupano del profilo dell’affido degli animali da compagnia in caso di separazione giudiziale, e quindi in ipotesi di disaccordo dei coniugi su tale punto; precedenti che decidono su tale aspetto presupponendone quindi l’ammissibilità, mutuando la disciplina prevista dal codice civile in tema di affidamento dei minori[12] e precedenti, come quello del Trib. Milano 2 marzo 2011 richiamato dal decreto che si annota, che – in sede di separazione giudiziale – ne motivano l’inammissibilità semplicemente con l’attuale mancanza di una normativa ad hoc, senza prendere posizione in merito alla meritevolezza o meno di tutela della questione.

In ogni caso, mancando ad oggi una disposizione normativa in merito all’affido dell’animale da compagnia in caso di separazione personale fra i coniugi, e non rilevando l’iscrizione dell’animale all’anagrafe canina, è evidente che tale profilo è per il momento rimesso all’apprezzamento ed alle valutazioni del singolo giudicante.

Per uno status dell’animale da cosa a soggetto di diritti

Si è avuto modo di vedere ripercorrendo le decisioni dei nostri giudici di legittimità e di merito come in tema di animali domestici si registri una sensibile evoluzione della concezione sia della relazione fra persona e animale di affezione, che dell’animale in sé.

Ed infatti, dalla originaria negazione, da parte della S.C., della esistenza e della meritevolezza di tutela di un diritto della persona alla relazione con l’animale domestico, tale da non dar luogo, in quanto costituzionalmente non protetto, ad alcun risarcimento del danno non patrimoniale da perdita – ad opera di terzi – dell’animale domestico[13], si è passati, ad opera della giurisprudenza di merito, dapprima dal riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo della persona, costituzionalmente tutelato ai sensi dell’art. 2 Cost., all’animale da compagnia[14], e da ultimo, al riconoscimento anche dell’animale come “essere senziente”, non più collocabile nell’area semantica concettuale delle cose[15], e addirittura, secondo una inedita decisione[16], alla affermazione della necessità di “assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale”.

Ed è proprio il richiamo, da un lato, alla tutela della “identità dell’animale” domestico, e dall’altro, da parte dei più sopra richiamati dati normativi, nazionali e non, alla esistenza ed alla protezione dei “diritti degli animali” (non solo da compagnia, quindi)[17], ed al “benessere” dell’animale da compagnia[18], quale “essere senziente[19], che depone – apprezzabilmente, ad avviso della scrivente – nel senso di una sempre più sentita esigenza di inquadrare l’animale come vero e proprio soggetto di diritti e non semplicemente come “cosa”, ovvero come “bene” in senso giuridico, se si ha riguardo allo sfruttamento e quindi alla valenza economica degli animali da allevamento rispetto a quelli di compagnia.

Di qui l’auspicabile cambiamento di prospettiva, sia da parte del Legislatore italiano, chiamato a disciplinare nell’esclusivo interesse dell’animale da compagnia – e non dei suoi “padroni/proprietari” – l’ipotesi del suo affidamento in caso di crisi del nucleo familiare[20], che della S.C., nel senso di accordare il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di perdita dell’animale di affezione a causa del fatto illecito del terzo, da interpretarsi quale vulnus al diritto della persona umana, tutelato dall’art. 2 Cost., alla relazione con l’animale stesso.

E nel caso in cui si pervenga concettualmente ad accordare lo status di soggetto di diritti all’animale da compagnia, debbono al contempo tenersi a mente i numerosi passaggi normativi, di fonte nazionale e non, in cui gli animali in genere – e non soltanto quelli domestici – vengono fatti oggetto di protezione e di riconoscimento di diritti, tanto che ben si potrebbe giungere a riconoscere lo status di soggetto a tutti gli animali per se stessi, e quindi anche a prescindere dalla loro attitudine a relazionarsi affettivamente con la persona umana[21]; con inimmaginabili implicazioni di natura economica[22] oltre che etica e giuridica.

(Articolo di Margherita Pittalis, tratto da Famiglia e diritto (n. 12/2016), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>)

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[1] Per riferimenti alla decisione, si v. http://www.laleggepertutti.it/2778in-caso-di-separazione-a-chi-viene-affidato-lanimale-domestico.

[2] In Danno e resp., 2008, 1, 36, con nota di Foffa; nonché in Resp. civ., 2008, 8-9, 709, con nota di Villani; ed in Nuova giur. civ., 2008, 2, 1, 211, con nota di Cricenti.

[3] In Resp. civ. e prev., 2009, 56 ss., con note di Monateri – Navarretta – Poletti – Ziviz; in Giur. it., 2009, 317, con nota di Tomarchio; in Dir. fam. pers., 2009, 73, con nota di Gazzoni; in Riv. dir. civ., con nota di Busnelli; in Rass. dir. civ., 2009, 499, con nota di Tescione; in Danno e resp., 2009, 19 ss., con note di Procida Mirabelli Di Lauro – Landini – Sganga – Gazzara.

[4] Per un caso particolare, riguardo al quale ci si chiede se rappresenti una conferma della scarsa considerazione riservata agli animali da compagnia, si richiama la decisione della prima sezione del Tribunale penale di Roma, commentata su http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/25/roma-donna-ruba-il-gatto-dei-vicini-e-viene-assolta, che ha deciso per l’assoluzione “per tenuità del fatto” di una donna che aveva rubato il gatto del vicino che, a causa di un’allergia sviluppata dalla moglie, era stato costretto a lasciarlo nel cortile condominiale recintato, dove continuava peraltro ad alimentarlo. A tal riguardo, si riporta quanto previsto dall’art. 1, comma 5, della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, sopra menzionata, che definisce l’animale di compagnia “randagio”, come “ogni animale da compagnia senza alloggio domestico o che si trova all’esterno dei limiti dell’alloggio domestico del suo proprietario o custode e che non è sotto il controllo o la diretta sorveglianza di alcun proprietario o custode”.

[5] Oltre ad una decisione del 2007 della S.C. – che non si è riusciti a reperire e che viene invero richiamata unicamente dalla relazione al progetto di legge Brambilla sopra menzionato – che avrebbe equiparato la necessaria tutela dell’animale di affezione a quella che si deve ad un minore, “riconoscendo il cambiamento della natura del rapporto tra proprietario e animale di affezione, non più riconducibile alla mera proprietà di un oggetto di cui il detentore avrebbe la completa disponibilità”.

[7] Analogamente, Trib. Pescara 9 maggio 2002, in P.Q.M., 2002, 2, 51, con nota di Sabatini.

[8] Per riferimenti alla decisione, si v. http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2016/03/30/separazione-consensuale-visita-e-mantenimento-del-cane-rientrano-nell-accordo.

[10] Per tutti, Castignone, Psicologia della relazione affettiva tra l’uomo e gli animali, in La questione animale, a cura di Castignone – Lombardi – Vallauri, nel Trattato di biodiritto, diretto da Rodotà – Zatti, Milano, 2012, 113 ss.

[11] Si è già visto infatti come vi siano precedenti di merito che hanno omologato condizioni di separazione aventi ad oggetto la frequentazione oltre che il mantenimento economico dell’animale da compagnia: Trib. Cremona 11 giugno 2008, cit.; e, da ultimo, Trib. Milano 13 marzo 2013, cit., che in particolare, come sopra evidenziato, ha fatto propria la concezione della natura di “essere senziente” dell’animale (nella specie, gatti affidati al genitore collocatario di una minore).

[12] Per le decisioni edite, si v. nuovamente, in tema di separazione giudiziale, Trib. Pescara 9 maggio 2002, cit., nonché l’inedita decisione del Tribunale di Foggia richiamata nel progetto di L. n. 795 del 18 aprile 2013, a firma Brambilla – Castiello. Quanto alla separazione consensuale, si richiama nuovamente Trib. Cremona 11 giugno 2008, cit., nonché Trib. Milano 13 marzo 2013, cit.

[13] Cass. 27 luglio 2007, n. 14846, cit.; nonché Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, cit.

[14] Trib. Varese 7 dicembre 2011, cit.

[15] Trib. Milano 13 marzo 2013, cit.

[16] Si richiama sul punto, nuovamente, l’inedita decisione del Tribunale di Foggia, menzionata nella relazione al disegno di legge Brambilla-Castiello, di cui sopra.

[17] Si riveda la “Dichiarazione universale dei diritti dell’animale”, sopra parzialmente riportata.

[18] Come appunto la “Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia”, ed il “Trattato di Lisbona”, più sopra ricordati, nonché gli stessi disegni di legge di cui pure sopra. Al riguardo, Gavinelli, Il benessere animale: una scelta europea, in La questione animale, cit., 817 ss.

[19] Così, in particolare, il “Trattato di Lisbona”.

[20] Intendendosi ricomprendere anche le unioni civili e le convivenze di fatto, di cui alla recentissima L. 20 maggio 2016, n. 76. Sulla stessa linea, Donadoni, Animali e relazioni famigliari, in La questione animale, cit., 579 ss., spec. 586 ss.

[21] Nel senso della “testimonianza del diritto a favore della soggettività animale”, Lombardi – Vallauri, Testimonianze, tendenze, tensioni del diritto animale vigente, in La questione animale, cit., 249 ss., spec. 255 e 259 ss., per il quale la terminologia adottata dall’intero sistema normativo, nazionale e non, evidenzia che detto sistema “non ha dubbi sulla soggettività di esseri dei quali pure conosce e consente la schiavizzazione, la riduzione a oggetti anonimi, la funzionalizzazione integrale al macello, con qualche punta prossima all’orrore”. Auspica una modifica normativa che introduca la tutela degli animali nella Costituzione, F. Rescigno, L’inserimento della dignità animale in costituzione: uno scenario di “fantadiritto”?, in La questione animale, cit., 267 ss., spec. 276 ss., che dopo aver ripercorso le tappe normative della protezione degli animali nel diritto italiano, afferma del tutto apprezzabilmente che “dovere del giurista è quello di affiancare alla soggettività giuridica umana la soggettività giuridica animale”, e che “il mancato riconoscimento della soggettività animale non può più essere giustificato riferendosi all’assenza della capacità di linguaggio o all’inabilità di percepire ed utilizzare i propri diritti, perché così ragionando dovrebbero risultare esclusi dal novero dei soggetti di diritto tutti gli esseri umani non propriamente paradigmatici come i bambini o i disabili…, esclusione paradossale in quanto proprio l’intrinseca debolezza di questi soggetti li rende ancor più meritevoli di tutela”. Nello stesso senso, Mazzoni, La questione dei diritti degli animali, in La questione animale, cit., 281 ss., spec. 291, laddove si afferma che “tutte le leggi di protezione degli animali volte alla protezione contro la sofferenza e la morte prematura dimostrerebbero l’esistenza di un “interesse proprio” [dell’animale] che è giuridicamente protetto”, nonché 290, laddove si dà atto di autori che propugnano una personalità giuridica ad hoc per l’animale, cosicché, accanto alle già esistenti persone fisiche e persone giuridiche dovrebbe riconoscersi la persona-animale; l’Autore tuttavia ipotizza la possibilità di “estendere l’imputabilità dell’interesse meritevole di tutela ad esseri viventi diversi dai soggetti di diritto”, e ciò a motivo della riconducibilità del rapporto uomo-animale ai doveri inderogabili di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., nonché in ragione del dato di fatto che gli animali sono destinatari di doveri da parte dell’uomo, al quale soltanto “incombono precisi obblighi di comportamento, cui non necessariamente corrispondono diritti”.

[22] Al riguardo, F. Rescigno, L’inserimento della dignità animale in costituzione: uno scenario di “fantadiritto”?, in La questione animale, cit., 278, che ben evidenzia come l’ostacolo al riconoscimento della soggettività animale sia rappresentato dall’uso degli animali per la macellazione. 

Articolo di Margherita Pittalis, tratto da Famiglia e diritto (n. 12/2016), Ipsoa. Per maggiori informazioni >>

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