ROMA «Sono molto soddisfatta, perché dopo la mia battaglia anche altre persone potranno assistere i propri animali per gravi motivi senza dover prendere le ferie». Anna, 53 anni, bibliotecaria alla Sapienza di Roma è protagonista di una storia che può diventare esemplare. Comincia nel febbraio scorso quando chiede un giorno di permesso retribuito per motivi gravi di famiglia per assistere Cucciola, un setter inglese di dodici anni, dopo un intervento per carcinoma mammario. Scrive all’amministrazione motivando la richiesta.

A maggio, chiede un nuovo permesso perché Cucciola deve subire un altro intervento, stavolta molto delicato, per restringimento della laringe. «È stato allora che mi sono accorta che non mi era stato concesso il primo permesso e che mi avevano computato un giorno di ferie – racconta -. Anche a maggio, mi dissero che non era possibile ottenere il permesso per assistere un cane. Che il cane non è nello stato di famiglia. Ma Cucciola è la mia famiglia, sono sola, non c’era nessuno che poteva starle accanto. E ho anche un altro cane, un beagle di 17 anni, Duca».
Anna chiede consiglio ad un’amica animalista che la mette in contatto con il presidente della Lav, Gianluigi Felicetti. «È stato gentilissimo. Mi ha consigliato di inviare una raccomandata allegando alcune sentenze della Cassazione. Se non curi un animale puoi essere perseguito penalmente per abbandono o maltrattamenti. Questa volta la mia richiesta è stata accolta». L’Università La Sapienza ha chiesto ad Anna una certificazione medico-veterinaria, ovviamente, e una volta ottenuta, il direttore generale ha firmato la decisione retroattiva, cancellando i due giorni di ferie, quello di febbraio e quello di maggio, e concedendo i due giorni di permesso.

Anna ama i cani da quando era ragazzina. Racconta: «Avevo anche un altro cane, Miki, una trovatella di 14 anni, morta un mese dopo la scomparsa di mia madre. Seguivo mamma in lungodegenza e Miki si ammalò, quando me ne resi conto era tardi. È stato un grande dolore per me. Ho voluto essere più presente e attenta con Cucciola». Da piccola i suoi non potevano tenere cani in casa, «ma a me piacevano tanto. Decisi che appena avessi avuto una casa mia, ne avrei preso uno».
La storia di Cucciola è lunga. «Avevo già Duca e Miki quando, passeggiando per villa Pamphili, la vidi, abbandonata, ferita. Qualcuno aveva avvisato la polizia, i poliziotti avevano chiamato i vigili che avrebbero dovuto portarla al canile ma non lo fecero. Io non mi mossi da lì, lasciarla lì era impensabile. Lei l’ha trovata e lei se la tiene, mi dissero». Anna firmò il verbale e prese Cucciola, la portò al canile che gliela consegnò in affido per tre mesi. «E dopo, che potevo fare? Anche i miei si erano affezionati. Cucciola era già un figlio. L’ho adottata».

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