Parliamo di uno dei reati che suscita nell’opinione pubblica un particolare senso di ribrezzo: il maltrattamento di animali.  Siamo certi che colui che si macchia di tale intollerabile comportamento sia sempre punibile?

 I mezzi di informazione ci travolgono quotidianamente di notizie che provocano in noi reazioni spesso di assoluto disgusto e totale rifiuto. È ciò che, ad esempio, accade quando si sente parlare di maltrattamento di animali, siano essi domestici o anche d’allevamento e più in generale di ogni essere vivente appartenente al genere animale senza esclusione alcuna tra animali d’affezione e animali che non lo siano.

Il nostro legislatore, al fine di tutelare proprio queste condotte illecite, con la legge 189 del 2004 ha introdotto nel codice penale l’articolo 544 ter che punisce in generale proprio chi pone in essere il maltrattamento di animali procurando loro lesioni ovvero sottoponendo gli stessi a trattamenti crudeli o lavori insopportabili in relazione alle caratteristiche proprie di quel tipo di animale.

Tale condotta viene punita proprio dall’articolo poc’anzi menzionato con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. Se poi da tali comportamenti crudeli deriva la morte dell’animale, le pene appena descritte sarebbero addirittura aumentate della metà. Ma di questo parleremo più avanti.

Reato di maltrattamento di animali: quando si realizza?

Oltre un terzo degli italiani tiene in casa un animale domestico, indice questo di un connubio sempre più importante tra l’essere umano e gli amici a quattro zampe. Ma cosa accadrebbe se, ad esempio, il nostro vicino di casa maltrattasse il nostro cane o gatto e che scenari si aprirebbero a seguito di tali comportamenti?

Occorre fare preliminarmente chiarezza sulle condotte che configurano il reato di maltrattamento di animali.

Risponde sicuramente di tale reato colui che procura lesioni agli animali, li tortura con atti crudeli o anche li sottopone a lavori incompatibili con le caratteristiche comportamentali degli stessi. Ma non solo. Si realizzerebbe il reato di maltrattamento di animali anche se, ad esempio, somministrassi a quest’ultimi sostanze stupefacenti o comunque vietate (si tratta del classico caso di utilizzo di animali per scommesse clandestine in competizioni o combattimenti tra gli stessi) o se sottoponessi l’animale a trattamenti che gli procurerebbero danni alla salute.

E’ stato altresì chiarito dalla giurisprudenza (da ultimo con la sentenza numero 10009/2017 della Suprema Corte di Cassazione) che, per integrare il reato, non è necessario che via siano lesioni fisiche essendo sufficiente che si realizzi una sofferenza per l’animale, poiché essi vanno tutelati come esseri viventi dotati di una propria sensibilità psico-fisica e pertanto in grado di percepire il dolore. In tale ottica, per fare un esempio, si realizzerebbe il reato di maltrattamento di animali se, pur non procurando lesioni fisiche all’animale, lo facessi vivere in un ambiente troppo piccolo per le sue esigenze vitali oppure in un ambiente non riparato.

Morte dell’animale a seguito di maltrattamenti. Quali conseguenze?

Cosa succede se dai comportamenti illeciti descritti nel primo paragrafo deriva la morte dell’animale?

La norma che punisce espressamente tale evenienza, ovvero l’articolo 544 ter del codice penale, ricollega a tale nefasta circostanza un notevole aumento della pena (precisamente della metà) stabilita dal primo comma dello stesso articolo.

Tale ipotesi però si discosta dall’uccisione di animali, reato quest’ultimo ancor più grave rispetto a quello di maltrattamento di animali ma che presuppone la volontà di chi agisce di voler porre fine alla vita del piccolo animale.

Nel caso di maltrattamento di animali invece l’evento della morte deve derivare da colpa, ossia da una negligenza o da un comportamento imprudente, in cui incorre chi commette il reato e pertanto deve consistere in una conseguenza non voluta da parte dell’agente.

Chi commette il reato di maltrattamenti di animali può essere considerato non punibile?

 La risposta a tale domanda è purtroppo affermativa e di certo non troverà concordi coloro che tengono in casa “amici a quattro zampe” e che hanno a cuore il loro benessere.

Purtroppo è ciò che accade, nella realtà dei fatti, con la recente applicazione dell’articolo 131 bis del codice penale, il quale esclude la punibilità nei reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore a cinque anni sola a congiunta a pena pecuniaria.

Affinché si possa dichiarare la non punibilità occorre però la sussistenza di due requisiti:

  • la particolare tenuità dell’offesa;
  • la non abitualità del comportamento.

La particolare tenuità o scarsa consistenza dell’offesa si desume dalle modalità con le quali il soggetto ha agito ovvero dal suo comportamento ed altresì dal danno o dal pericolo procurato alla salute degli animali, i quali devono essere esigui ovvero di assoluta inconsistenza.

Occorre, inoltre, che il comportamento dell’autore del reato non sia abituale. In pratica la punibilità non sarebbe esclusa per coloro che hanno già commesso fatti della stessa specie o natura oppure per chi sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Tuttavia, così come stabilisce il secondo comma dell’articolo 131 bis del codice penale, nel caso in cui l’autore del reato di maltrattamenti di animali abbia agito per motivi futili ovvero di scarsissima importanza o abbia commesso atti di tortura, l’offesa non potrebbe essere ritenuta di particolare tenuità e pertanto si potrebbe bene arrivare ad una sentenza di condanna emessa del Giudice.

Siamo, dunque, in presenza di una fattispecie di reato molto delicata che necessita di una valutazione attenta ed approfondita, caso per caso, al fine di non etichettare quali “soggetti non punibili” coloro che compiono atti crudeli e violenti nei confronti di animali il più delle volte inermi dinanzi a tali barbarie.

Se è pur vero che chi commette tali maltrattamenti potrebbe evitare una condanna proprio grazie all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ciò non pregiudica il fatto che la persona che detiene un animale domestico potrebbe certamente attivare un’azione civile per il risarcimento non solo del danno psico-fisico subito dall’animale a seguito di violenze e/o lesioni ma anche del danno morale arrecato proprio a colui che materialmente cura e governa l’animale.

di Avv. Antonio Lamonica Miraglio

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