Cavalli, asini e buoi: d’accordo, sono quasi banali. Se poi si parla di cani che trainano qualcosa, il canone vuole mute di husky che trascinano slitte tra i ghiacci delle inospitali regioni del circolo polare. Situazioni fuori dal comune, e ai limiti del mondo. Ma nelle pagine di “Il cane e l’uomo”, Pietro Gaietto ricorda che in occidente “l’uso del cane come animale da tiro era assai diffuso nel XIX secolo, soprattutto da parte di venditori ambulanti, spedizionieri, postini, e anche per il trasporto di persone anziane e infermi”. Le immagini di carri trasportati da cani, sono qualcosa che agli occhi contemporanei appare poco scontato. A parti invertite, probabilmente i nostri trisnonni sbigottirebbero a vederci chini a raccogliere gli escrementi dei nostri “migliori amici”.

  

In A cosa serve il cane, John Homans racconta che a New York erano usati anche per far muovere i girarrosti. Dev’essere stato un lavoro sfiancante per le povere bestie, costrette ad annusare per ore l’aroma di carne grigliata. Chissà che faccia farebbero i più fissati tra i padroncini di oggi, quelli che si fanno infinocchiare da venditori di abitini a misura di carlino e da scaltri ristoranti di lusso per cani. Insomma quelli a cui si è costretti a spiegare che gli animali non sono persone. Ma a dirla tutta, già nel 1900 in Gran Bretagna la Protezione Animali aveva vietato l’uso di carretti tirati dai cani. E fino al XVII secolo i regolamenti di polizia di Versailles e di Parigi ne proibivano il transito – che fu “liberalizzato” nel 1897 in 59 dipartimenti francesi. 

     

A Berlino adunque, ogni mattina, appaiono alla periferia della città lattivendoli dei due sessi, che portano il latte sopra un carretto tirato da un cane, generalmente grosso, di razza mista, ma, un po’ più un po’ meno, sullo stampo di quello che i piemontesi chiamano cane da pagliaio, e più generalmente viene chiamato cane da casa o da guardia.

Due grossi cani da pagliaio in sul principio di questo secolo diedero molte emozioni ai torinesi. Essi tiravano correndo una leggerissima carrozzella, sulla quale stava il loro padrone, un signore che si compiaceva di eccentricità, cosa rara allora, il quale dimorava a Druent, paesello discosto pochi chilometri dalla città. Quei due cani non facevano altra strada che quella tra Druent e Torino, ma la faceva di buona voglia, solo avendo bisogno di fermarsi di tratto in tratto per bere, cosa facilissima colà dove dalle sovrastanti montagne scendono abbondanti le limpide acque che irrigano i prati e i campi, muovono le macine, e scorrono nei fossi lungo le strade.”

Michele Lessona – I cani (1870) 

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