di Alberto Toso Fei

VENEZIA – Degni rappresentanti del leone alato, il felino veneziano per antonomasia, i gatti veneziani percorrono da secoli le calli della città; sostano sulle vere da pozzo, ammiccano pigramente dai balconi, ogni tanto – sempre meno – miagolano innamorati nel corso delle notti d’estate. Nel corso della storia alcuni sono nati e morti randagi: raccolti dalle navi veneziane nei porti di mezzo Mediterraneo, dall’Egitto a Costantinopoli, una volta assolto il loro compito di cacciatori di bordo trovavano ospitalità in città in colonie del tutto improvvisate. Ad un certo punto se ne importarono di più aggressivi, per cacciare i ratti (quando ancora nemmeno si sospettava però che la peste potesse trasmettersi dalle loro pulci): vivevano selvatici in Sòria la Siria e per questo furono chiamati soriani. Alcuni di loro, nel corso della storia, sono stati fortunati: come Ninni, per esempio, che nell’ultimo scorcio di Ottocento era il vanto di Antonio Borgato, che assieme alle figlie gestiva il Caffè Toppo o dei Frari, un locale a due piani che assolve ancora la sua funzione. Ninni doveva essere un micio davvero interessante (un soriano, comunque, stanti alle poche illustrazioni dell’epoca), visto che la sua fama si era estesa al punto da divenire una attrazione turistica della zona. Nel Caffè esisteva addirittura un libro d’onore utilizzato per raccogliere le firme di quanti si recavano a vederlo; tra gli autografi spiccava quello dello zar Alessandro III, che durante una visita veneziana, uscendo dal vicino Archivio di Stato si recò nel locale per un rinfresco. Ninni morì nel febbraio del 1894; il mese successivo alcuni buontemponi ne onorarono la memoria (come riferisce Giuseppe Tassini) l’8 marzo, celebrando nel caffè una sorta di rievocazione, e coniando un medaglione ricordo nel quale assieme all’effige del felino e all’anno stava scritto A Ninni di Antonio il secolo dei monumenti. Tra le poesie dedicategli in quella giornata, è giunto fino ai giorni nostri un sonetto intitolato Il gatto del Caffè dei Frari.

Curiosamente, quasi un paio di secoli esatti prima, Venezia aveva già conosciuto un soriano di nome Nini. Era il gatto (o la gatta: le fonti sono a volte discordanti rispetto a questo particolare) del doge Francesco Morosini, eletto il 3 aprile 1688 e conosciuto come il Peloponnesiaco per la sua incalzante vittoriosa campagna di riconquista dei territori della Grecia caduti in mano dell’Impero ottomano, tra il 1683 e il 1687.

La notizia dell’elezione al dogado gli giunse durante un assedio e l’incoronazione avvenne tra i suoi soldati entusiasti. Tornò infatti a Venezia solo due anni dopo, per ripartire nel 1694 e morire l’anno successivo a Nauplia, proprio nel Peloponneso. Il suo gatto, al quale era legato visceralmente e dal quale non si separava mai nemmeno ingaggiando le battaglie più cruente al momento della morte fu imbalsamato con un topo tra le zampe ed è tutt’ora conservato al Fondaco dei Turchi, in una sala del Museo di Storia Naturale. 

Tra i soriani assurti alle cronache veneziane nei secoli passati vi è anche quello che appartenne al custode del campanile di San Marco, che in qualche versione dei racconti successivi al crollo del 1902 compare come unica vittima del Paron de Casa.

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