I sapiens sono animali unici, si sentono sempre padroni del mondo, anche degli ambienti che, per natura, non gli competono, come l’aria e l’acqua.  

Durante l’estate poi, la colonizzazione di spiagge e coste assume proporzioni tali che in Italia solo il 29% degli ottomila chilometri di costa è intatto: tutto il resto è compromesso. Così gli altri viventi soccombono o si spostano verso lidi più ospitali: l’ultima foca monaca avvistata dalle nostre parti (una coppia all’isola del Giglio nel 2009) non si è più fatta vedere e probabilmente ha fatto rotta verso le isole Sporadi, dove c’è un’intera macchina economica (ecosostenibile) che campa su quegli avvistamenti (per inciso, da noi si è gridato al fotomontaggio pur di non proteggere quel tratto di mare e poterle eventualmente invitare a tornare e restare). Altri, invece, resistono e provano ad adattarsi, come sta accadendo a Marina di Campo (isola d’Elba), una delle spiagge maggiormente antropizzate del Mediterraneo.  

Qualche giorno fa una grande tartaruga marina di un centinaio di kg (Caretta caretta) ha depositato per la prima volta le uova, proprio sulla spiaggia, nel sito più settentrionale di cui si abbia notizia, forse spinta dal riscaldamento anomalo delle acque del Mediterraneo. Facendosi strada tra sdraio e ombrelloni, il rettile si è accampato sulla spiaggia e presidia il suo nido, ora protetto da una’intelaiatura metallica e sorvegliato giorno e notte da volontari e ambientalisti.  

Una sorveglianza necessaria, perché qualcuno ha già cercato di scavare il nido di tartaruga rischiando di danneggiare irreparabilmente questo evento eccezionale, di cui gli elbani e tutti gli italiani dovrebbero essere fieri. 

In un paio di mesi il grosso rettile dovrebbe vedere le sue uova schiudersi e le tartarughine prendere la via del mare: pochissime sopravviveranno, ma quelle che ce la faranno probabilmente torneranno su quella stessa spiaggia, magari fra trent’anni. Intanto centinaia di turisti vanno a vedere la tartaruga grazie anche alla sensibilità dei gestori dello stabilimento balneare, una sensibilità che è merce rara oggi, se vediamo come sono trattate le stesse tartarughe marine in Adriatico in questo periodo. 

Tra Chioggia e Comacchio, nell’area (protetta?) del Parco Regionale Delta del Po continuano gli spiaggiamenti di tartarughe marine morte: quattro solo negli ultimi giorni. Secondo il Wwf le cause potrebbero essere legate alla pesca a strascico, o, più in generale, alla cattura accidentale di specie non bersaglio. Le tartarughe sono rettili marini, e muoiono perché non riescono a tornare a galla per respirare. Oppure perché ingeriscono buste di plastica scambiandole per meduse. Ogni anno sono circa 150mila le tartarughe marine che muoiono vittime degli attrezzi da pesca. 

A questa si aggiungono gli esemplari che si sono insediate nelle lagune costiere, dove trovano abbondanza di cibo. Qui incappano nelle reti fisse, arrecando danni alla pesca e non si può escludere che qualcuno possa pensare di «farsi giustizia» da solo, non considerando il valore di quegli animali e le possibilità di cercare una convivenza. Per esempio con il Progetto Life “Euroturtles”, di cui Wwf Italia è partner, per sperimentare l’uso di speciali luci al led per permettere alle tartarughe marine di individuare in anticipo le reti e poterle così evitare.  

In passato le tartarughe marine venivano usate come cibo fresco sulle navi e nelle marine: le si poteva tranquillamente mutilare e tenerle in vita per lunghi periodi approviggionandosi di proteine. Nelle banchine di Portoferraio (all’isola d’Elba) ci sono ancora bitte costruite appositamente per tenerle imprigionate lì, a disposizione dei sapiens che se ne cibavano. Oggi costituiscono uno dei migliori obiettivi per chi pratica immersioni, anche in apnea, perché vederle in mare è uno spettacolo fantastico, favorito anche dal loro buon carattere. Nei mari tropicali, però, perché quando arrivano sulle nostre spiagge vengono viste come un fastidio per gli appetiti speculativi o un danno per la pesca. Invece di correre immediatamente a tutelare il tratto di mare e la spiaggia che le ospita con un’area marina protetta che ne incoraggi la riproduzione e la possibilità di godimento da parte dei visitatori. 

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