Che il cinema sia sempre stato pieno di cani attori (Lassie, Rin Tin Tin, Beethoven) e di attori cani lo si sapeva. La notizia che arriva da Londra è che adesso i cani sono passati dall’altra parte dello schermo, insomma dal lato del pubblico. L’esperimento, informa «The Times», è iniziato in agosto e sta andando benissimo, tanto che ogni sei settimane i cinema del circuito Picturehouse organizzano delle proiezioni per umani accompagnati da cani anzi, secondo un ordine d’importanza tipicamente anglosassone, per cani accompagnati da umani. Ultima proposta, un festival dedicato al regista Wes Anderson (geniale, per inciso, uno dei migliori amici del cinofilo) con un cartellone che si apre appropriatamente con «Isle of Dogs» e prosegue con «Grand Budapest Hotel» e «Fantastic Mr. Fox». I film troppo violenti o rumorosi sono banditi e l’allestimento delle sale prevede ciotole d’acqua nei corridoi, volume abbassato e coperte sui sedili. 

L’aspetto più interessante dell’iniziativa è il perfetto aplomb dei cani, che al cinema imitano perfettamente gli umani: i più infatti si addormentano. Ma anche i meno la cui palpebra regge sono molto composti. I gestori delle sale sono unanimi nel lodarli. Le bestie a quattro zampe si comportano in generale molto meglio di quelle a due: non schiamazzano, non ridono sgangheratamente, non fanno commenti idioti, non masticano popcorn, non spiegano la trama alla nonna e soprattutto non smanettano sui cellulari. «Durante la proiezione, si sarebbe potuto sentire uno spillo cadere», assicura una cinefila cinofila. 

Pare che l’opera finora più amata dal pubblico quadrupede sia stata «God’s Own Country», toccante storia d’amore omosex fra un contadino inglese e un immigrato romeno sullo sfondo di una fattoria nello Yorkshire. Però ai cani non interessa tanto la love story, quanto il fatto che il film sia ovviamente pieno di cani e di pecore. E qui scatta forse l’invidia del Fido di città per il Fido di campagna, che fa una vita sicuramente più divertente (e, in mancanza di cinema, senza che al padrone demente venga la tentazione di portarcelo). 

Insomma, la notizia è buona. Però fa scattare subito l’indignazione per una doppia disparità di trattamento. Prima discriminazione: noi gattolici credenti e praticanti non ci capacitiamo che non si possano portare al cinema anche i nostri figli baffuti: già adorano dormire di loro, un’eventuale rassegna con le ultime Palme e Leoni e Orsi d’oro potrebbe regalare loro autentiche orge di sonno.  Seconda discriminazione: non si capisce proprio perché l’entertainment animale sia limitato al cinema. Perché non il teatro, quello parlato ma, meglio ancora, anche quello «cantato»? Tanto più che all’opera già salgono in palcoscenico anche cavalli, cani, asini, orsi, rane, draghi e, nei casi di «Aide» particolarmente kolossal, anche giraffe e perfino elefanti. Fermo restando che le bestie più bestie rimangono naturalmente i cantanti in generale e i tenori in particolare. 

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