Troppo tardi: una volta che l’hai spremuto, hai voglia a far rientrare il dentifricio nel tubetto. Lo stesso in politica: non è che dopo il “dai e dai” contro la Casta dalle colonne del Corriere della Sera uno se ne passa al giornale concorrente e da lì, come se niente fosse, si mette ad almanaccare che una cosa è la Casta e un’altra è l’élite e che se la prima è da scacciare la seconda è da lisciare. Chi glielo spiega ora ai nuovi mostri del governo gialloverde che non tutti gli abitanti del Palazzo puzzano di potere, corruzione e malaffare e che senza la loro competenza anche i ministri più volenterosi finiscono per girare a vuoto? Un temerario per la verità c’è, e persino insospettabile: Sergio Rizzo, uno che con Giannantonio Stella la “Casta” l’ha coniata e svergognata svelandone vizi, vezzi e vitalizi. Insieme hanno condotto un’autentica crociata contro il potere impotente di un Parlamento riempitosi nel frattempo di nominati distinti e distanti da cittadini e territori. Nella denuncia di questa distanza sta il segreto del loro successo: chi ha votato i nominati? Nessuno, ovviamente. Apposta sono la Casta. Non fa una piega. Peccato solo che da lì in poi vi sia stato iscritto d’ufficio chiunque – magistrato, dirigente, maestro, commis d’etat – ricopra un ruolo grazie ad un meccanismo di selezione diverso da quello popolare. È l’eterogenesi dei fini, bellezza. Rizzo, Stella e il Corsera si erano fiondati lancia in resta contro la Casta per disarcionare il Cavaliere e mettere in sella al suo posto l’unico biondo che non fa impazzire il mondo: Luca Cordero di Montezemolo. Ma sul bianco cavallo della moralizzazione non è montato il capo del mai nato “partito dei carini” bensì l’annoiato comico del Vaffa, cioè non proprio uno che sta lì a distinguere la Casta dalle élite. In pratica, «è stato ucciso il porco sbagliato», come ammise Churchill quando si accorse che per molti europei dell’Est liberarsi di Hitlter per ritrovarsi Stalin non era stato esattamente un buon affare. La storia si ripete solo in grottesco, ma ora come allora è tardi per recriminare.   

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