MOSCA. Prima che Gagarin diventasse il primo uomo a superare i confini dell’atmosfera, furono i cani a volare tra le stelle. Non solo Laika, Belka e Strelka. Cinquanta cani vennero spediti in orbita dall’Unione Sovietica. E 20 morirono in volo, martiri non celebrati – e per anni occultati – della gara tra superpotenze per la conquista dello spazio. Le loro storie emergono per la prima volta nel dettaglio dai diari inediti di Oleg Gazenko, responsabile del “Piano animali spaziali” dell’Urss: nomi, date, dieta, analisi, programma di allenamenti, ma anche annotazioni malinconiche e fiori lasciati a essiccare tra le pagine ingiallite in memoria degli eroi a quattro zampe scomparsi. Rinvenuti casualmente pochi mesi fa da Lada Lekaj nell’archivio dell’Istituto per i problemi medico-biologici dell’Accademia delle scienze russa (Imbp), sono stati pubblicati per la prima volta ieri dalla Novaja Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja.

Scorrendo le pagine dei quaderni di Gazenko, ci si imbatte in diversi nomi mai passati alla storia. Vezzeggiativi: Malyshka, “Piccolina”; Lissichka, “Piccola volpe”. Soprannomi scherzosi: Kussachka, “Una che morde tutti”; Modnitsa, “Modaiola”. O appellativi di battaglia come Otvazhnaka, “Coraggiosa”. Nomi di soldati a loro insaputa arruolati nei vicoli di Mosca. Bastardini non per scelta ideologica, ma perché più docili e resistenti dei loro cugini di razza.

Russia, cani nello spazio: i documenti ineditiI requisiti fisici erano ferrei: meno di 35 centimetri di altezza, non oltre 43 centimetri di lunghezza, dal naso alla coda, meno di 6 chili di peso. Non era molto lo spazio dentro le navicelle. Anche l’aspetto contava. Quando sarebbe venuto il momento di togliere i sigilli alla segretezza degli esperimenti, quei musi sarebbero diventati loro malgrado la bandiera della superiorità socialista sul nemico capitalista.

Assoldata la prima squadra canina, gli allenamenti iniziarono nell’inverno del 1950. C’era fretta. Il cane sovietico doveva superare la scimmia statunitense e raggiungere lo spazio per primo. Le scimmie avevano paura e venivano lanciate nello spazio sotto anestesia. I cani invece si fidavano dell’uomo e non opponevano resistenza. Da perfetti soldati, si sottoponevano a tutti i test. Certo, ci voleva tempo perché si abituassero all’accelerazione gravitazionale e allo scroscio assordante dei motori. Dal luglio 1951 al settembre 1960, 44 cani vennero sparati a bordo di razzi ai limiti dello spazio. I voli furono 29 e otto finirono tragicamente. Ad aprire la strada verso le stelle furono il 22 luglio 1951 Dezik e Tsigan (Vagabonda). Gazenko annota tutto. Battito: 250, quattro volte più della norma. Aumento del peso: 5 volte. E soprattutto la gioia. “”Vivi, vivi!”, gridavano tutti precipitandosi a recuperare la capsula”, scrive. Morto Dezik in un secondo test, a Tsigan ne vennero risparmiati di nuovi. Meritava di vivere. La gente non lo sapeva, ma era l’unica superstite dei “primi due a essere stati lì”.

È la volta poi di Mishka e Cizhik. Che muoiono. Smelyj (Audace), alla vigilia del secondo volo, si dà alla fuga. Lo rimpiazzerà Zib, mai addestrato prima, acronimo di Sostituto dello Scomparso “Bobik”, il nome russo che si dà ai randagi per strada. Siamo al 1954, altri nomi e altri martiri. Nel 1957 e nel 1958 gli esperimenti si fanno più duri: quota 473 chilometri e 10 minuti a zero gravità. È il 1960. Seguono le pagine su Laika, Belka e Strelka, i “musi noti” della corsa allo spazio sovietica. Via il segreto stavolta. Tutto il mondo doveva seguire i voli dei primi esseri viventi mandati a orbitare nello spazio. Dalle note di Oleg traspare l’amarezza per la morte orrenda di Laika, “arsa viva”, e per anni occultata dall’Urss. E, a proposito di Belka e Strelka, confessa: “La verità è che, quando due cani mandati in volo tornavano entrambi illesi, uno dei due veniva sezionato. Per loro abbiamo fatto un’eccezione”.

Tra le ultime pagine spunta un fiore essiccato in memoria di Lissichka, Volpetta, morta in volo insieme a Chaika, Gabbiano, e a cui Gazenko si era molto affezionato. Cani che rincorrevano i gatti e finiti, a loro insaputa, a rincorrere le stelle.

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