Sarà in In sala per due giorni questo spin-off di un film scritto da Miyazaki

Arriva per un paio di giorni in sala (9 e 10 febbraio) La ricompensa del gatto, uno dei film mai usciti al cinema in Italia dello studio Ghibli che Lucky Red sta provvedendo a distribuire.

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Realizzato l’anno successivo a La città incantata, sembra una versione più giocosa di quel film. C’è una ragazza dalla vita irrisolta che attraverso un viaggio incredibile in un mondo fantastico (che alla fine non sarà chiaro se vero o immaginato) fa un passo avanti nella propria vita, conquistando una nuova consapevolezza di se stessa. Sebbene non rientri tra le opere imputabili ai due fondatori del Ghibli (Hayao Miyazaki e Isaho Takahata), lo stesso il film trasuda stile dello studio, specialmente nella maniera in cui si compiace delle difficoltà e delle complessità.

Un giorno Haru salva un gatto che sta per essere investito e scopre che questo può parlare. In seguito altri gatti parlanti gli comunicheranno che quello che ha salvato è il principe del regno dei gatti e che suo padre, il re, vuole ricompensarla.

Il premio è di essere ammessa nel suo regno e sposare proprio il principe che ha salvato.

Haru non vuole e così si rivolge al Barone, una figura del nostro universo, lo spirito di una statuetta di un gatto vestito come un dandy primi Novecento che “risolve problemi”. Barone andrà con Haru nel regno dei gatti per aiutarla a scappare e per ricordarle che l’unica maniera di non finire trasformata in gatto anche lei è credere in se stessa, in quello che è sempre stata.

Molto più leggero e meno fiammeggiante delle opere dei due maestri, questo film di Horyuki Morita (che al Ghibli è stato animatore sia prima che dopo aver diretto La ricompensa del gatto ed ha anche lavorato con Satoshi Kon) prende le mosse da I sospiri del mio cuore, altro film Ghibli scritto da Miyazaki. Da quell’opera eredita due dei personaggi centrali, il gatto ciccione e il Barone per poi allargarli, donandogli un carisma e una personalità che sembrano venire dal cinema di Akira Kurosawa (l’alleggerimento comico unito al fascino della grande virilità).

La ricompensa del gatto il suo posto in sala se l’è però guadagnato. Come spesso accade nella storia dell’animazione nipponica infatti all’origine di tutto c’è un progetto commerciale. Era stato un parco giochi a commissionare allo studio “qualcosa sui gatti”, Miyazaki pensò di usare allora questo progetto per testare, magari con un corto, nuovi potenziali registi per lo studio. Il corto basato su tre elementi (i due personaggi di I sospiri del mio cuore e la piccola bottega in un centro da Europa ottocentesca) prendeva sempre più corpo, finendo per diventare un lungometraggio quando ormai il parco giochi si era ritirato e aveva annullato la propria commissione. Alla fine il fu il settimo incasso dell’anno in Giappone.

la ricompensa del gatto ghibli

Non c’è da stupirsi quindi che Miyazaki e lo studio abbiano accettato di fare di quest’esperimento un lungometraggio. Nonostante la presenza di uno dei fondatori del Ghibli si limiti solo a qualche richiesta e all’ispirazione dei personaggi, il film mantiene quel gusto per l’esotismo (visto dal Giappone) che l’animatore ha sempre dimostrato, quel piacere per certe ritualità e per l’estetica europea, lo charme delle figure raffinate e colte, l’umorismo delle grandi scene d’azione e l’immancabile protagonista femminile in contatto con il mondo naturale.

Soprattutto è nel rapporto che l’azione ha con la musica che si riconosce davvero il tocco inconfondibile del Ghibli. Il minimalismo delle armonie contrapposto alla grande furia, le melodie più soffici utilizzate per dare corpo agli attimi più concitati, quelli in cui nel gran correre uno sguardo fa comunque la differenza.

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