Questa volta parliamo di dracunculiasi (conosciuta anche come “verme di Guinea”), patologia parassitaria fortemente invalidante che da decenni si tenta di debellare in tutto il mondo. Nonostante si sia davvero ad un passo dal raggiungimento dell’obiettivo, un pericoloso ostacolo si frappone, rappresentato dall’infezione nei cani. Oggi la no-profit più attiva per la campagna d’eradicazione è certamente il Carter Center, fondato dall’ex presidente statunitense Jimmy Carter; gli ultimi dati diramati dalla fondazione sono certamente positivi, poiché vedono ridotti a solo 25 i casi registrati nel 2015, tutti limitati a quattro Paesi (Ciad, Etiopia, Sud del Sudan e Mali). Il problema è che, al momento, le infezioni canine sono in aumento in Ciad, dove sono stati segnalati oltre 450 casi di infezione in cani domestici. Il pericolo, per i ricercatori, è che proprio la trasmissione del parassita dal cane all’uomo possa minare gli sforzi fatti per sconfiggere globalmente la malattia. Esperti della commissione apposita dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno ribadito che finché l’infezione canina non sarà debellata, non sarà possibile dichiarare eradicata la dracunculiasi.

Quando la Fondazione Carter avviò la propria campagna, nel 1986, i casi di malattia stimati al mondo erano circa 3,5 milioni l’anno, essenzialmente a causa di carenti condizioni igieniche e impossibilità di accedere all’acqua corrente. La trasmissione del parassita avviene infatti ingerendo, con acqua non filtrata, minuscoli crostacei (i copepodi), infettati dalle larve del parassita. Nell’intestino le larve liberate maturano e si accoppiano; il parassita maschile muore, mentre quello femminile si accresce (raggiunge gli 80 centimetri circa) e nel corso di un anno migra a diversi settori cutanei (soprattutto gambe e piedi), che perfora per poter fuoriuscire. Il dolore contemporaneo alla fuoriuscita del verme spinge molti pazienti a trovare conforto nell’acqua, continuando così il ciclo che vede la larva ritornare nell’ambiente acquatico per poter infettare altri crostacei. La malattia raramente è letale, ma è profondamente debilitante (soprattutto nei bambini, che si ritrovano costretti ad abbandonare la scuola anche per mesi).

Oggi non esiste alcun vaccino contro il parassita così come alcun trattamento efficace. Per tale motivo gli sforzi per l’eradicazione hanno puntato sul cambiamento delle abitudini, soprattutto invitando a filtrare l’acqua ed evitare la ricontaminazione. Agli inizi del 2000 la situazione per il Ciad era rosea: il Paese era davvero ad un passo dall’eradicazione totale. Ad un certo punto del 2010, però, la situazione tornò a peggiorare ed in poco tempo furono oltre 60 i casi registrati. Casi isolati, che però spinsero ad indagare fino a ricondurre la causa alle infezioni canine, oggi considerate responsabili della maggior parte delle trasmissioni (il nematode responsabile è stato dichiarato identico a quello che colpisce gli umani, fra l’altro). Dal momento che è improbabile che i cani riescano ad ingurgitare i crostacei bevendo, il ciclo potrebbe iniziare con l’assunzione di pesce contaminato dai copepodi. Ciò spiegherebbe anche perché i picchi infettivi sono maggiori durante l’estante, quando il prodotto pescato incrementa notevolmente.

In attesa di dati scientifici che confermino totalmente l’ipotesi di trasmissione, i dipartimenti di salute pubblica nel Ciad hanno già intrapreso una campagna semplice ma efficace. Oggi sono offerti 20 dollari a chi denuncia infezioni canine e collabora isolando i cani ed impedendo dunque che contaminino bacini d’acqua. I pescatori sono invitati a tenere il pescato potenzialmente ricco di crostacei lontano dagli animali. Nel frattempo è in corso un trial che sta sperimentando un farmaco attualmente usato per trattare la filariosi canina, ma i risultati arriveranno solo alla fine di questo anno.

La medicina umana, dunque, chiede aiuto a quella veterinaria. Aggiungere l’ennesima malattia al prezioso elenco delle patologie eradicate è infatti un traguardo importante, ma solo la collaborazione sinergica ed un’efficace campagna di prevenzione possono permettere di raggiungere lo scopo in poco tempo.

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Nato a Gallipoli nel 1991, appassionato di scienza e tecnologia sin dalla tenera età. Diploma di maturità scientifica, attualmente studia Medicina e Chirurgia al sesto anno presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore ed è borsista presso il Collegio Universitario “Lamaro-Pozzani” della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro.

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