In Giappone è in corso uno scontro tra governo e attivisti, che vorrebbero salvaguardare i gatti selvatici. Tutto è nato dal tentativo di trasformare l’isola di Amami-Oshima in luogo patrimonio universale dell’Unesco: un modo per farlo, secondo il ministro dell’Ambiente giapponese, però, è eliminare dall’isola tutti i gatti randagi e i gatti selvatici, perché i felini si nutrono di alcune specie di animali protette e influiscono negativamente sull’ecosistema. I numeri sono impressionanti: secondo il governo sull’isola vivono circa 15mila gatti, di cui tra i 600 e i 1200 sono selvatici. 

Il metodo di azione del governo è radicale: catturare tutti i gatti non domestici e provare a collocarli presso famiglie affidatarie. Tutti quelli che non trovano casa vengono invece abbattuti. Chi vorrebbe salvare i felini ha proposto una strada alternativa e meno drastica: gli attivisti hanno aperto un centro veterinario sull’isola, con l’obiettivo di sterilizzare quanti più gatti possibile.  

Il lavoro dei volontari, però, è reso difficile dalla difficoltà di distinguere tra gatti randagi e gatti selvatici. Secondo il ministero, sono da considerarsi randagi i felini che vivono in aree residenziali e ricevono cibo dagli umani, mentre quelli che vivono sulle montagne sono selvatici. Solo quelli con i collari, invece, sono considerati come animali domestici. 

Da metà luglio, il governo ha distribuito trappole sulle montagne per catturare quanti più gatti selvatici possibili, anche perché sono loro a mettere maggiormente in pericolo con le loro abitudini di caccia gli animali considerati in pericolo di estinzione, come il coniglio nero Anami e il topo spinoso Anami, danneggiando il delicato ecosistema dell’isola. Secondo il piano del ministero a cui hanno aderito anche le prefetture, i gatti selvatici vengono catturati e messi in strutture temporanee per l’adozione. Quelli che non vengono adottati sono abbattuti attraverso un’iniezione letale. 

Attualmente, sono state collocate 100 trappole e l’obiettivo è catturare 30 gatti al mese. Per ora, però, ne sono stati presi solo 11 e nessuno di loro è ancora stato abbattuto, grazie agli sforzi dei volontari di trovare loro una casa. La struttura che li ospita, però, può contenere al massimo 50 felini contemporaneamente e per circa una settimana: se gli animali verranno catturati più velocemente, il rischio che vengano abbattuti crescerà esponenzialmente. 

Secondo i contrari all’approccio del governo, l’alternativa è la sterilizzazione. La pratica si chiama TNR, ovvero l’acronimo inglese di cattura-sterilizza-rimetti in libertà, e in questo modo si ridurrebbe in modo significativo la popolazione felina dell’isola senza uccidere gli animali. Nel tentativo di provare questa via, il gruppo Doubutu Kikin ha aperto una clinica veterinaria che sterilizza gratuitamente i gatti e li vaccina, che punta a “mettere in sicurezza” tra i 600 e i 1000 gatti al mese. “Più gatti randagi significa più gatti selvatici, dunque se si riesce a ridurre il randagismo si neutralizza parte del problema”, hanno spiegato. 

Anche il web si è mobilitato, con una petizione che ha raggiunto le 50 mila firme contro la politica di abbattimento del governo. “Abbattono gli animali senza fare il massimo per aiutarli. Dovrebbero cominciare con il proteggerli e catturali”, ha detto uno degli attivisti, un veterinario. 

Chi è contro la linea del TNR, però, ha ribattuto che la procedura di sterilizzazione è troppo lenta e non ottiene risultati apprezzabili, a causa della difficoltà di catturare i gatti selvatici e della loro alta capacità riproduttiva. “L’approccio più sensato è quello di catturarli e non rimetterli in libertà, perché altrimenti torneranno a sterminare le specie in via di estinzione”; ha detto uno studioso dei conigli neri Amani, che conosce l’aggressività dei gatti selvatici. 

Il problema è che sull’isola i gatti sono sempre stati lasciati scorrazzare liberamente, perché considerati dei deterrenti naturali dei serpenti: i serpenti mangiano i topi, ma i gatti eliminano i roditori e così i serpenti non proliferano. Attualmente, una delle strade che i volontari stanno prendendo è anche quella di educare i residenti: tutti i gatti da compagnia devono avere il microchip, così da evitare che alcuni di loro diventino selvatici e distruggano l’ecosistema”. 

Il percorso, però, è ancora lungo e c’è da chiedersi cosa si privilegerà: il diritto di questi felini che seguono solo il loro istinto o la necessità di preservare un’altra parte di ecosistema dell’isola. 

 

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