Kerim e l’epilessia: il nostro inizio

Non furono proprio all’improvviso quelle 4 zampine tricolori. Anzi, furono proprio volute, cercate in canile. Di certo, per lei, io fui invece all’improvviso, così come tutto quello che da quel marzo di anni fa, ci è capitato e continua ad accaderci.
Kerim, a sua insaputa, aprì le porte di una nuova vita. Per entrambe, così come sempre accade a chi decide di vivere con un cane. Nel mio caso, da quel momento, non avrei mai immaginato che i cani sarebbero poi diventati tre…ma questa è un’altra storia e sarà raccontata un’altra volta.
Accogliere un cane nella propria casa e vita, significa accettare di mettersi a nudo, di vedere negli occhi di un altro essere, se stessi. Se si decide di adottare da un canile, l’intensità di tutto questo è moltiplicata poi all’infinito.
Oggi sono un istruttore cinofilo, devo molto ai miei cani e tutto ciò che riesco a trasmettere alle famiglie che seguo nelle loro storie, per la maggior parte è merito dei miei cuccioloni.
Ed è proprio quello che, insieme, io e i miei tre setter, faremo in queste righe. Racconteremo storie: storie vere, di cani che abbiamo incontrato e aiutato nei loro percorsi educativi. Di famiglie che hanno potuto imparare a comunicare con i loro angeli con la coda. E scriveremo di tutto ciò che può aiutare nella vita a 4 zampe.
Ci sarà una sola storia più lunga e articolata e che sarà ripercorsa nelle sue fasi diverse e alterne. Quella di Kerim, la cagnolina che in canile si diceva avesse lo sguardo umano. La setterina che più di tutti era desiderata per le adozioni…quella che nella prima notte, mi fece conoscere il dramma e la particolarità di vivere con un cane epilettico.
La prima sera che portai Kerim a casa non fu, come sognavo, la più bella e felice della nostra vita. Un mondo nuovo si apriva alla sua vita, fatto di cose belle, cuccia, calore umano, casa calda, libertà e cibo. Io e lei da sole avremmo dovuto conquistare il mondo…sì, ma quello per lei era un mondo sconosciuto. E ciò che non si conosce fa paura. Kerim passò la serata nella sua nuova cuccia, ma voltandomi le spalle. Ogni volta che mi avvicinavo, lei si spostava e fissava il vetro, cercando nel buio forse qualosa di riconoscibile. Tentai con del cibo, ma non mangiava. Tentai con una passeggiata in tranquillità, ma era agitata fino a bloccarsi nel bel mezzo di un incrocio. La riportai a casa in braccio, chiedendomi cosa potessi fare e a chi rivolgermi. All’epoca la mia esperienza era limitata a cani diversi, la mia volontà si fermava all’amore; non avevo le competenze di oggi e non conoscevo, ancora, persone in grado di aiutarmi.
Capii presto, quella sera, che Kerim aveva bisgno dei suoi tempi. La lasciai riposare, immaginando che il giorno dopo avremmo potuto ricominiciare in altro modo.
La notte stava passando senza alcun rumore o altro, ogni tanto cercavo di ascoltare il suo respiro. Fino a quando sentii la sua presenza e il suo cercarmi in camera da letto.
Non feci in tempo ad accendere la luce, che la ritrovai ai miei piedi rigida in preda a convulsioni continue. Non dimenticherò mai il suo sguardo pietrificato, gli occhi sbarrati che mi fissavano, la bava alla bocca, il corpo che a scatti si contorceva.
Pensai subito ad un avvelenamento, chiedendomi cosa fosse potuto accadere in casa o cosa avesse leccato semmai in giro. Nulla, la riposta non arrivava, mentre il tempo passava e lei non si riprendeva.
Fu terribile: per quanto nella vita avessi visto e accudito cani in condizioni ben peggiori, lì, in casa mia accanto al mio letto, ero impotente.
Ci vollero diversi minuti (ovviamente per me interminabili), perché si riprendesse. Tornò ad avere conoscenza, ma non si muoveva, mi fissava, capivo dallo sguardo che era vigile, ma spaesata. Con delicatezza la portai nell’altra parte della casa, per metterla in tranquillità e toglierla dello spazio angusto in cui si era rifugiata per cercarmi poco prima della crisi. Lei invece cercò disperatamente di dirigersi verso la porta d’ingresso, in maniera insistente e goffa, ma io non capivo. Ero, in fondo, spaventata quanto lei: l’avevo appena salvata da una vita infernale e la vedevo in quelle condizioni.

Quei pochi momenti furono fatali per entrambe: lei negli strascichi della crisi epilettica fece tutti i suoi bisogni lì accanto alla porta…e io agitata, vomitai.
Iniziò così la nostra vita insieme.

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