Petrarca voleva sempre con sé la sua gatta Dulcina. Dante teneva spesso sulle gambe un micio nero. Montaigne annota nei “Saggi”: “Quando gioco con la mia gatta, chi può dire se si diverte più lei a scherzare con me o io a giocare con lei?” Per Dumas “il gatto è veramente aristocratico nelle fattezze e nelle origini”. Nella finca di Cuba, Hemingway non poteva rinunziare alla presenza della sua musa felina, così nella torre che aveva fatto costruire al piano superiore, c’era lo studio e in quello inferiore le cucce per i numerosi gatti: ben trenta perché, “un gatto semplicemente conduce al successivo”.

Il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura, diceva agli amici Flaiano. Ma la letteratura non si è sottratta al fascino ipnotico di quelle feline pupille verticali, “lame sottili, così diverse dalla morbida rotondità della pupilla umana”. ” Chi non ha mai guardato in quegli occhi, scrive Anna Maria Ortese, “non ha mai visto nulla di divino – per significare benevolenza, pace – per quanti possano essere gli altari a cui si sarà inginocchiato”, Da sempre i gatti, pazienti e vigili, che alternano l’impeto alla calma, l’aggressività alla dolcezza, hanno popolato romanzi, racconti, poesie.

Dal “Gatto con gli stivali” che ha allietato tante generazioni di bambini e la cui versione cinematografica è stato recentemente inserito nel catalogo Netflix Italia fino ai protagonisti delle storie di Luis Sepulveda, da poco in libreria con la sua nuova favola di animali. I gatti portano sempre “un che di arcano percepito istintivamente da chiunque li frequenti e sfruttato a piene mani da scrittori e poeti”, sostiene Mauro Bersani nella bela introduzione di “Gatti” (Einaudi 320 pagine 17). Hanno animato con tanta forza come pochi altri impulsi simbolici quel mondo dei sogni che è la letteratura. Una galleria di grandi firme che raccoglie storie dedicate a questo essere impenetrabile, enigmatico, misterioso, elegante, flessuoso e schivo che Borges ha rappresentato in versi famosi; “Tua la solitudine, tuo il segreto. Stai in un altro tempo. Sei il padrone /di uno spazio chiuso come il sogno”.

Una rassegna dei vari punti di vista sul gatto attraverso alcuni racconti di diverse epoche e paesi. Si va dall’inquietante gatto musicale di Roald Dahl al ribelle a quattro zampe di Patricia Highsmith dal randagio molto speciale di Doris Lessing agli affamati felini di Murakami Haruki. Non poteva mancare Il Gatto Nero, protagonista di uno dei racconti gotici di Poe, sepolto vivo inavvertitamente assieme al cadavere della moglie di un vecchio assassino, che “rivela” ai poliziotti la precisa ubicazione della prova del reato commesso, altrimenti impunito. Né poteva mancare “Il gatto che se ne andava per i fatti suoi” di Kipling che definisce il felino “il più selvatico di tutti gli animali selvatici”. Pur discendendo da un antenato sfuggente, spaventato a morte dagli esseri umani, il gatto domestico, quello che vive con noi, ha imparato a creare uno dei più profondi e misteriosi legami tra l’uomo e un animale che si sia mai visto. “Ucciderà i topi e sarà gentile con i bambini che vivono in casa, a patto che non gli tirino troppo violentemente la coda. Ma oltre a tutto questo, e di tanto in tanto, egli è il gatto che cammina da solo e ogni luogo per lui è uguale all’altro, e se guarderete fuori di notte, lo potrete vedere ondeggiare la coda selvaggia e camminare nella sua selvaggia solitudine come da sempre ha fatto”.

Predatore solitario e animale sociale nel rapporto con gli uomini, animaletto indifeso e simulacro di belva feroce “il nostro micio (diceva Giorgio Celli) può essere considerato un animale filosofico, nel senso che fa pensare – oltre a scaldare. Cogito ergo (gatto) sum”. E così pensava Elsa Morante quando scrisse una poesia per la sua gattina. “Ho una bestiola, una gatta, si chiama Minna. (…) Il cielo, per armarla, unghie le ha dato, e denti: / ma lei, tanto è gentile, sol per gioco li adopra. / Pietà mi viene al pensiero che, se pur la uccidessi, / processo io non avrei, né inferno, né prigione”.

Poi, quando le accadrà di morire, lascerà i suoi amati gatti alla sua amica Natalia Ginzburg. E della sua gatta che viveva con lei nel freddo della cascina Molinasso (“se mai è un eremo, perché c’è dentro un’eremita”) ha raccontato la teologa Adriana Zarri, nel suo ultimo libro, “Un eremo non è un guscio di lumaca” (Einaudi), e sulla copertina sorride con il suo gatto Malestro tra le braccia. “Appena vede che m’infilo sotto, sotto anche lei; me la metto sullo stomaco e stiamo così, io purecon la testa sotto le coperte, per riscaldarci con il fiato. Poi io riemergo e lei pure. Quando il letto si è intiepidito, tira fuori la testina e la posa sul guanciale… Al mattino, quando mi sveglio, la trovo ancora lì, ancora con gli occhietti chiusi. E poiché lei non deve scendere in cappella, a cantare il mattutino, ce la lascio finché non risalgo e non rifaccio il letto”. renato minore

0 Comments

Leave a reply

©2024 ForumCani.com