Mia bisnonna, che abitava a Castello vicino a San Lorenzo, aveva un gatto bianco e nero che si chiamava Piccinin.

piccinin

Un nome che probabilmente non è mai stato un nome, ma un vezzeggiativo con cui la bisnonna Anna chiamava quel gattino che si era ritrovata in calle e che aveva deciso di adottare. Era piccolo e sporco, ma anche tenero: per questo l’aveva chiamato Piccinin che in veneziano significa “piccolino”.

A dispetto del nome, Piccinin diventò un gran gattone che ebbe una vita lunga, immagino feconda (a quei tempi nessuno si sarebbe mai sognato di sterilizzare un gatto) e soprattutto una vita da cacciatore.

Piccinin era magico a catturare topi. E diventava un super eroe quando di fronte si trovava una pantegana (i topastri di canale).

Leggenda vuole che, ormai vecchio ed esausto, Piccinin venne ucciso da una pantegana più grande di lui. Ma non ne sono così sicura. Forse è una leggenda metropolitana messa in giro dalla bisnonna che aveva un acuto senso dell’ironia e del divertimento.

Piccinin visse negli anni sessanta e settanta ed era uno delle migliaia di gatti che abitavano Venezia. Ce n’erano tantissimi anche all’inizio degli anni Ottanta quando dall’isola del Lido mi trasferii in centro storico.

Ora i gatti, a parte quelli delle colonie (alcuni abitano ancora i chiostri dell’Ospedale civile, la maggior parte sta a Forte Marghera e al Lido), in laguna sono sempre di meno.

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Un vero peccato ripensando che i veneziani hanno sempre rispettato e amato i gatti come ringraziamento per gli indispensabili servizi resi.

Al tempo della Serenissima, nei lunghi viaggi verso l’Oriente, i gatti veneziani viaggiavano per mare assieme ai naviganti con il preciso compito di sbarazzarsi di ogni roditore di bordo. Purtroppo non riuscirono a beccare il  famigerato topo nero, il topo della peste, prima che sbarcasse in laguna. Sembra infatti che i gatti veneziani non fossero abbastanza feroci per combatterlo.

Fu così che si decise di  importare da Palestina e Siria una razza molto combattiva (i mitici soriani…. poi vennero chiamati così tutti i gatti dal manto tigrato) per incrociarla con i veneziani. Ma non fecero in tempo. Il topo della peste ormai era riuscito a contagiare, e a uccidere, gli umani veneziani.

I gatti veneziani, più o meno incrociati con i siriani, non ebbero più gran vita e a metà Novecento i randagi erano migliaia, la maggior parte malridotta.

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Fu necessario attendere due signore inglesi che nel 1964 vennero a Venezia e decisero di aiutarli lanciando una campagna internazionale di tutela.

Grazie alla mobilitazione di Marble Hawkins e Helena Sanders nel 1985 fu fondata Dingo, un’associazione per la protezione degli animali randagi e abbandonati ancora molto attiva.

C’è un bel libro, pubblicato alla fine degli anni Ottanta che racconta la storia di Helena Sanders e delle sue amiche e volontarie. E che spiega come, spesso non in modo facile, le signore inglesi riuscirono a ridurre la popolazione felina della città a 6000 gatti in buona salute. Un bel traguardo pensando a come avevano trovato i randagi: oltre 60mila gatti, la maggior parte non messi bene.

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Sui gatti veneziani segnalo il libro di Laura Simeoni, “I gatti di Venezia” che viene presentato questa sera alla Libreria Toletta all’Accademia. 

p.s. anche la mia Zoe, alla quale questo blog è intitolato, era una gatta  veneziana purosangue.

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