Ci sono forse duemila lupi in Italia ma non tutti sono lupi. Anzi: rischiamo seriamente di ritrovarci con degli animali che sembrano ma non sono lupi, e soprattutto non si comportano come un lupo, non svolgendo quindi la funzione di controllo di altre specie tipica dei predatori. Animali ibridi nati dall’accoppiamento tra cani e lupi, accoppiamenti favoriti dalla cattiva gestione dell’uomo del suo rapporto con gli animali e dalla sua sciatteria in tema di rifiuti. Infatti le coppie che non ti aspetti si incontrano spesso nei pressi di allevamenti, dove per risparmiare sullo smaltimento si gettano le carcasse degli animali morti nei campi, anziché portarle dove si dovrebbe, oppure attorno ai resti di un cinghiale del quale i cacciatori lasciano i resti nel bosco. In queste improbabili cene di gruppo nei periodi del calore sbocciano incontri dai quali nascono ibridi cane-lupo.  

Quanto è diffuso il fenomeno? Probabilmente molto più di quel che sembra, visto che i ricercatori del progetto LIFE MIRCO Lupo, finanziato dall’Unione Europea, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga su una popolazione di 80-100 lupi stimano una presenza di circa 20 ibridi: oltre uno su cinque. L’allarme nasce dal fatto che potremmo essere già oltre la possibilità di recupero. I dati sono stati illustrati in un tour per la stampa tra le valli e gli altipiani di un parco unico per ricchezza di biodiversità oltre che per la sua bellezza. 

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Quanti ce ne sono e come sono fatti? “Gli ibridi non li hai finché non li cerchi”, spiega Federico Striglioni, responsabile del Servizio scientifico del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, “abbiamo dei video dai quali risultano ben 11 ibridi potenziali”. Video ottenuti piazzando delle fototrappole che si attivano al passaggio degli animali, quello che mostrano sono animali simili ai lupi che però non lo sono. Si riconoscono innanzitutto dal colore: sono fulvi, molto scuri, al limite del nero, mantello da cane e non da lupo. E’ colpa del gene Cbd che causa il melanismo, si trova solo nei cani ed è stato rilevato nelle tracce genetiche dei sospetti ibridi. C’è anche lo ’sperone’ sulle zampe posteriori che i lupi non hanno, tra le altre caratteristiche dell’ibrido un mantello a macchie bianche su nero o le orecchie basse, da cane appunto. 

Sul territorio del parco “stimiamo 20 ibridi su una popolazione di 80-100 lupi, siamo a oltre il 20% – spiega Striglioni – ma ci scappano sia un po’ di lupi che un po’ di ibridi”. La situazione però è rischiosa perché abbiamo pochi dati a livello nazionale, visto che il parco abruzzese, insieme al Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, è l’unico a impegnarsi nella ricerca dei sanguemisto. “Se si indagasse anche altrove, in altri parchi, chissà che numeri avremmo”, rileva Striglioni segnalando l’urgenza: “per qualcuno siamo già oltre la possibilità di recupero della specie”. Però a livello di opinione pubblica ci si allarma ancora poco, certo non come quando si trova un lupo ucciso. “Il rischio di estinzione genomica è molto meno sentito dell’estinzione demografica- avverte il responsabile scientifico del PNGSL- ma così, se non si interverrà, non ci sembrerà nemmeno di aver perso i lupi ma non li avremo più: avremo animali che sembrano lupi ma non lo sono”. E non è solo una questione di aspetto: “si perderebbe il caratteristico genotipo del lupo che ne determina il comportamento e lo rende capace di regolare e migliorare gli ecosistemi, se perdiamo le caratteristiche del lupo perdiamo il ruolo ecologico, la funzione del lupo”.  

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Ma come succede, e di chi è la colpa? La colpa è dell’uomo, c’è poco da dire. Che in natura occasionalmente le due specie possano accoppiarsi è certamente possibile, ma gli umani creano dei veri e propri ’love park’ che favoriscono gli incontri. “Avere 2mila lupi in Italia è un successo nella tutela ma esiste il rischio devastante di perdita del genotipo”, insiste Striglioni. Infatti a fronte di questo numero di lupi ci sono circa 16 milioni di cani padronali e 700mila cani vaganti, randagi o vaganti. Spesso nelle aziende agricole i ricercatori trovano cani molto simili a lupi, figli di femmine di cane pastore (soprattutto i maremmano-abruzzesi o simili con stazza che regge al confronto, anche amoroso, con il lupo) lasciate libere durante il calore. 

L’incontro tra cane pastore maschio e lupa è possibile quando questa va in calore, e cioè tra febbraio e marzo, periodo nel quale di notte le greggi sono al chiuso e non ci sarebbe bisogno di lasciar liberi i cani come durante l’alpeggio estivo. I problemi quindi sono il randagismo, il mancato controllo e anche i rifiuti. “Abbiamo seguito lupi che andavano a mangiare vicino alle aziende zootecniche perché lì trovavano animali morti non smaltiti correttamente dall’allevatore che per risparmiare anziché portare le carcasse dove si deve le getta nei campi, e lì lupi e cani randagi o dispersi vanno a cenare, e insieme alla cena fanno il dopocena”, dice il responsabile scientifico del PNGSL. “C’è una grande responsabilità di chi getta dove non dovrebbe animali morti per varie ragioni, non solo quelli predati, e anche dei cacciatori che lasciano i resti del cinghiale in sacchi di plastica nei boschi, causando gli stessi incontri. Insomma, si tratta di mancanza di educazione, un banale problema di rifiuti”. Il fatto è che “se non si affronta il problema delle persone che lavorano nell’ambito dell’allevamento non si otterrà nessun risultato, perché non esistono lupi problematici ma allevamenti problematici e una corretta gestione del lupo passa da una corretta gestione dei cani”.  

E adesso che si fa con questi ibridi? I ricercatori e il servizio scientifico del PNGSL si sono attrezzati con trappole che non feriscono l’animale, dei lacci modello Fremont modificati e collegati a catene impiantate a terra ma dotate di molle, così anche se l’animale tira per liberarsi non si ferisce. Le trappole vengono piazzate in aree di passaggio dei lupi e attivate solo di notte, per evitare problemi con gli escursionisti (il solo toccarle oltre a causare qualche rischio per i cani che li accompagnano ne compromette l’efficacia contaminandole con l’odore umano). L’esca che si usa sono escrementi freschi, di non più di 2 o 3 giorni perché mantengano l’odore e raccolti con certosina pazienza dai ricercatori. Il lupo marca il territorio proprio con gli escrementi e se sente l’odore di quelli di un altro lupo si avvicina per capire, e fa scattare il laccio.  

Dalla trappola parte una chiamata al cellulare dei membri della squadra di cattura del Parco, una pronta ogni notte ad intervenire entro 20-30 minuti dalla cattura per evitare che l’animale soffra (“dormiamo con gli scarponi”, spiegano dal Centro ricerche floristiche dell’Appennino di Barisciano dove sono alloggiate le squadre, “a volte al telefono si sente guaire”). Giunti sul posto gli operatori narcotizzano l’esemplare e effettuano un prelievo di sangue, inviato all’Ispra di Bologna in due o tre giorni si sa se si tratta di lupo o ibrido. Nel secondo caso l’animale viene sterilizzato (ma non castrato per non fargli perdere la necessaria aggressività tornando libero) e rimesso in libertà, non costituendo più un rischio genetico. Alcuni ibridi sono stati radiocollarati, ad esempio Gengis cane e suo fratello Dudù ora stanno inviando informazioni ai ricercatori. I prossimi ad essere catturati dovrebbero essere i cuccioli ibridi di un grosso branco che vive in provincia dell’Aquila: se l’operazione riuscirà potrebbe rappresentare un significativo passo avanti nel contrasto dell’ibridazione dando speranze per la conservazione del lupo, concludono dal parco, sperando in una migliore collaborazione tra gli enti che controllano il territorio e in una maggiore coscienza del problema. 

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