Siamo tutti canari. E gattari: secondo un’indagine Federchimica-Aisa, in Italia è ritenuto normale che gli animali dividano il letto coi padroni, con picchi di più della metà per quel che concerne i cani e dell’ottanta per cento per i gatti. Impressionante. Considerato che in Italia ci sono tanti animali domestici quanti abitanti, sessanta milioni, e che di questi sette milioni sono cani e altrettanti sono gatti (non voglio sapere cosa siano gli altri quarantasei milioni), si possono dedurre le proporzioni di un fenomeno più che significativo, imponente. Le implicazioni sono due.

  

Anzitutto nulla è più antierotico della promiscuità dell’uomo con le bestie, o quanto meno della necessità di scavalcare animali che mordono e graffiano per poter abbracciare qualcuno o accoppiarsi con lui: sappiate pertanto che in Italia quattro milioni di cani e sei milioni di gatti (nonché, a occhio, un dieci o quindici milioni di animali indefiniti) vegliano nottetempo sulla castità e sull’isolamento dei loro proprietari.

  

  

Inoltre la condivisione del giaciglio con gli animali, da Betlemme in poi, è sempre stata sintomo d’indigenza; quando la casa consisteva di un unico ambiente e l’uomo non poteva permettersi di frapporre una distanza fra il proprio habitat e quello animale, era giocoforza condividerlo.

Ciò che stupisce di questo fenomeno è tuttavia la sua volontarietà: chi dorme col suo cane, col suo gatto o con uno dei restanti quarantasei milioni di esseri non umani non è né Mowgli né l’ultimo dei barboni ma, abitualmente, una persona che potrebbe permettersi di tenere a distanza di sicurezza il can che dorme (o il gatto) e che ambisce magari a un rapporto più intimo con qualche proprio simile. Ciò nonostante, quando cala il buio, accoglie gli animali nel letto. Se ne deduce che, se gli italiani si sentono sempre più poveri e soli, è anche un po’ perché lo desiderano.

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