«Credo il nuovo regolamento varato dalla giunta regionale del Veneto che autorizza la sepoltura degli animali d’affezione nel proprio giardino sostanzialmente recepisca una tendenza già in atto di suo da parecchio tempo. Ma non è che dopo aver promulgato questo, possa menar chissà quale vanto». Parla così Sandro Campana, veneziano di Marghera, portavoce regionale di “Centopercentoanimalisti”, un movimento noto per le sue prese di posizione anche eclatanti a favore degli animali.

La giunta del governatore leghista Luca Zaia a metà settimana ha regolamentato ciò che in «altre Regioni accade già da diversi anni». Ma in Veneto gli animali alla fine non vengono trattati così bene: «basti pensare le innumerevoli deroghe alla legge sulla caccia» da maggioranza di centrodestra nel quale è presente una componente, quella di Fdi, «che si occupa spesso in modo monotematico a favore della caccia».

«Il Veneto – continua Campana – è anche una delle regioni con il maggior numero di allevamenti intensivi, nei quali la zootecnia viene praticata in modo doloroso e alienante per gli animali. I veneti continuano ancora a mangiare troppa carne con tutto ciò che la cosa comporta anche in termini ambientali ma sembrano non rendersene conto».

E se da una parte la Regione permette la sepoltura di cani e gatti nei giardini, dall’altra «c’è ancora un certo mondo rurale in cui gli animali vengono considerati cose alla stregua della proprietà pura e semplice, per cui non è per nulla raro imbattersi in proprietari che uccidono il cane che ha qualche malattia o la cagna o la gatta che magari sono rimaste gravide perché non sono state sterilizzate». Il che secondo l’attivista veneziano è in qualche modo il retaggio «di una certa civiltà contadina in cui per ragioni di sussistenza l’animale veniva considerato un qualcosa di cui servirsi alla bisogna. Oggi, fermo restando quanto avviene con la macellazione industriale che meriterebbe un discorso a parte e che noi condanniamo comunque, viviamo in un tempo in cui le condizioni generali ci permettono, se vogliamo, di sopprimere un animale che non è necessario al nostro sostentamento». Il riferimento è alla pesca e soprattutto alla caccia in cui l’aspetto ludico è oggigiorno in buona parte svincolato da quello alimentare.

Il tema del maltrattamento è ovviamento sentito da tutta la galassia animalista. Basti ricordare quando sui social network si è diffusa la notizia che il sospettato della uccisione di un cane da caccia ormai non più utile al suo scopo potesse essere un cacciatore, la rete si è infiammata trasformandosi in una arena in cui sono i cacciatori ad essere presi di mira: il cane che si presume sia stato ucciso a fucilate a Caltrano nel Vicentino è un esempio. Come lo è quello più recente, stavolta di un ferimento, di un altro cane: in questo caso la denuncia all’opinione pubblica è stata fatta dagli operatori del canile di Arzignano con un breve post su Facebook.

Il rischio é di umanizzare troppo gli animali in qualche maniera svilendoli. «Bisogna fare alcune distinzioni: – spiega il portavoce – una cosa sono i maltrattamenti, che sono odiosi e vanno puniti con la legge. Altra cosa sono le sepolture, come quelle umane, ovvero i funerali. Al cadavere o alla carcassa non servono a nulla. Servono invece ai vivi per elaborare il lutto. Cosa ancora diversa invece è la pretesa che molti hanno di vedere negli animali i comportamenti degli umani. Matrimoni per cani, collier di diamanti per gatti e altre amenità simili sono la pretesa di attribuire caratteri tipici della nostra specie. Invece gli animali vanno trattati con rispetto: però i cani sono cani; i gatti gatti, i cavalli cavalli. Ciò non toglie, e l’etologia lo dimostra, che provino un qualcosa per un certo verso assimilabile ai nostri sentimenti».

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