In uno dei suoi meravigliosi “Sessanta racconti”, intitolato “Il cane che ha visto Dio”, Dino Buzzati, scrittore veneto-milanese tra i più grandi del ventesimo secolo, ha rappresentato un animale il cui fascino è dato, essenzialmente, dal suo silenzio. Si sa che, nella sua permanenza su questa terra, il cane ha visto Dio. Ma anche quando, morto, diventerà “gracile e bianco come una filigrana”, continuerà a essere un mistero. Ecco: è proprio per il fatto che, pur tacendo, il cane è eloquente (con i suoi sguardi, la luce degli occhi, un movimento, così falsamente decifrabile, delle orecchie o del naso), che il riferimento all’anima, all’anemos, al soffio vitale che, da Dio, investe tutte le creature, viene spontaneo.

Il bellissimo libro “L’anima del cane”, di quel Leonardo De Angeli che, con tutte le sue origini marchigiane, è viterbese d’adozione, gira appunto attorno, come un satellite al suo corpo celeste, a questo fondamentale problema: carpire segni, decifrare il “movimento interno” della vita del cane che, a un certo punto, ci “spiattella” la verità: sì, ho un’anima, pare dire il cane. E, all’udito di ogni uomo acuto, sensibile, tutto questo risuona, una volta di più, convincente e quasi sacro.

Il libro, che costa dieci euro e conta 118 pagine, contiene, oltre a cenni storici e religiosi – compreso uno scambio epistolare con un parroco -, anche delle poesie altrui. Non tutte di uguale valore: ma, tutte, animate da una sorta di mistica, quasi assiderata devozione per il cane. De Angeli, che si definisce “animalista esagerato”, ha portato la sua cultura – quella del non-abbandono, della tutela strenua dell’animale – anche nelle scuole. E, sul piano pratico, cerca (e trova) fondi per gli animali a quattro zampe (gatti compresi: che, anche loro, hanno senz’altro un’anima, visto come, in certi silenzi serali, percepiscono misteriose correnti dell’essere nell’aria che li circonda).

I bisogni, i desideri, le necessità – anche minime – del cane sono, con puntigliosa affezione, indicati da De Angeli. Non lasciateli solo, dice, a un certo punto: la solitudine, nel cucciolo, è causa di stress. Lo tratta, insomma, come infante; e, quindi, come essere che, in potenza, è già adulto e compiuto. E, proprio come l’uomo, dotato di un suo sentire, del senso delll’intimo dolore e della pena, della nostalgia e, certo, dell’angoscia.

“Un giorno – scrive – spero di trovare i miei cani in paradiso”. E, certo con rimpianto, ne enumera i nomi. Paolo VI, in fondo, l’aveva già detto: un giorno, potremo trovare i nostri animali in Paradiso. Forse, se non in un Altrove, il paradiso, ai cani, bisogna però assicurarglielo qui. Come? Con un rispetto e una comprensione come quelli che, nella fluida scrittura di De Angeli, traspaiono da ogni riga.

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