La perdita dell’animale d’affezione, anche al di fuori dei casi di danno conseguente a reato, legittima la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale atteso, peraltro, che nel rapporto d’affetto tra uomo e animale s’inserisce una di quelle attività realizzatrici della persona che la Carta costituzionale tutela all’art. 2. Talché, nei casi di omessa custodia dell’animale sussiste la responsabilità solidale tra la clinica veterinaria e il medico in servizio. È quanto statuito dal Tribunale di Vicenza nella sentenza n. 24/2017.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi Trib. Pavia, Sez. III, 16.09.2016; Trib. Bari, 22.11.2011; Trib. Foggia, Sez. I, 24.06.2011; Trib. Rovereto, 18.10.2009; Trib. Milano, 22.01.2008; Giudice di Pace Ortona, 08.06.2007.
Difformi Cass. Civ., Sez. Unite, 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975; Cass. Civ., Sez. III, 27.06.2007, n. 14846; Trib. Milano, Sez. X, 30.06.2014; Trib. Catanzaro, 05.05.2011; Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 12.01.2011; Trib. Milano, Sez. V, 20.07.2010; Trib. Roma, 19.04.2010; Trib. Roma, Sez. XIII, 21.03.2005

La pronuncia in commento verte sulla vexata quaestio relativa alla risarcibilità o meno del danno non patrimoniale conseguente alla perdita dell’animale d’affezione, nelle ipotesi in cui la lesione non sia conseguenza di una fattispecie tipica di reato.

Ed infatti, il caso sotteso alla sentenza de qua concerne la richiesta di risarcimento danni, per inadempimento del contratto d’opera professionale, avanzata dai proprietari di un cane nei confronti della clinica veterinaria cui l’animale era stato affidato affinché fosse sottoposto a un intervento chirurgico, nonché per le necessarie cure postoperatorie con ricovero presso la medesima struttura. In particolare, lamentavano gli attori che il proprio cane, adottato circa sette anni prima, si allontanava dalla predetta struttura e non veniva più trovato a nulla valendo l’immediata denuncia di smarrimento, le approfondite ricerche e la segnalazione all’uopo pubblicata sulla locale testata giornalistica. Secondo l’assunto attoreo la fuga e la presumibile morte del cane dovevano ricondursi all’omessa vigilanza e negligenza del personale di turno, preposto alla custodia dell’animale il quale era stato lasciato libero di circolare nei locali della clinica durante le operazioni di pulizia della cuccia e di uscire dalla porta d’ingresso lasciata aperta.

All’atto della costituzione in giudizio, la clinica convenuta eccepiva, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva atteso che ogni eventuale addebito di responsabilità avrebbe dovuto essere sollevato nei riguardi del medico in servizio; nel merito, contestava la rappresentazione dei fatti operata dagli attori allegando che l’allontanamento del cane si era verificato in conseguenza di una serie di eventi imprevisti e imprevedibili, integranti il c.d. caso fortuito, nella specie rappresentati: dal fatto che un soggetto, che si era introdotto nella clinica al fine di vendere degli oggetti, aveva lasciato aperte tutte le porte; nonché dalla destrezza con cui l’animale era fuggito. Ciò posto, la convenuta chiamava in causa il medico in servizio al fine di essere da costui manlevata in caso di soccombenza, il quale, costituitosi in giudizio, pur condividendo l’allegata esimente del cd. caso fortuito prospettata dalla clinica, eccepiva l’esclusiva responsabilità di quest’ultima in ordine ai fatti oggetto di causa in ragione della mancata adozione, da parte della stessa, delle necessarie misure organizzative (quali un servizio di portineria o un sistema di videocontrollo).

Orbene, giova preliminarmente osservare che nella materia in commento sono intervenute le SS.UU. della Suprema Corte, nel tentativo di dirimere l’annoso contrasto giurisprudenziale, con le sentenze gemelle “San Martino” del 2008 statuendo la non risarcibilità dei danni non patrimoniali c.c.dd. “bagatellari”, ossia “di quelli futili od irrisori, ovvero causati da condotte prive del requisito della gravità” (Cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975), tra cui vi è ivi ricompreso anche quello derivante dalla morte dell’animale d’affezione. Il Supremo Collegio, pur prendendo atto della circostanza che “il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza” e che “entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico”, giunge ad affermare il summenzionato principio di diritto sulla base dell’assunto secondo cui la risarcibilità del danno non patrimoniale è ammessa, al di fuori delle ipotesi espressamente previste da una norma di legge, nei casi in cui il fatto illecito abbia vulnerato diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti.

Ciò posto, corre tuttavia l’obbligo di rilevare che, anche successivamente all’intervento delle SS.UU., non sono mancate delle pronunce in cui é stata riconosciuta ampia tutela al danno cagionato dalla perdita dell’animale d’affezione. Invero, nell’ambito di tale filone giurisprudenziale si annoverano diverse sentenze delle Corti di merito le quali, sebbene con motivazioni diverse ma pur accomunate dalla rilevanza impressa al pregiudizio subito dal proprietario dell’animale domestico – inteso quale conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona umana costituzionalmente tutelato -, hanno statuito la risarcibilità del danno conseguente alla perdita dell’animale d’affezione poiché meritevole di tutela ai sensi dell’art. 2 Cost.

Sennonché, dal quadro giurisprudenziale sopra rappresentato derivano non poche riflessioni circa l’attualità o meno del principio statuito sul punto dalle suindicate Sezioni Unite. Non possono, difatti, trascurarsi i mutamenti che involgono la società nel suo complesso e, per quanto d’interesse, la connotazione, certamente diversa rispetto a qualche decennio fa, dei rapporti che legano l’uomo all’animale d’affezione, quest’ultimo inteso oramai come compagno di vita, se si pensa al caso di una persona che vive sola, o finanche quale prezioso ausilio sotto il profilo relazionale (il riferimento è, tra gli altri, al cane che guida una persona affetta da cecità).

Non v’è chi non veda, perciò, come tutte le suddette fattispecie denotino l’oramai irragionevole collocazione degli animali nella categoria delle mere res secondo il disposto di cui all’art. 810 c.c. e ciò solo in quanto possono formare oggetto di diritti. Tale impostazione, infatti, non appare aderente ai mutamenti che hanno interessato e continuano a interesse la società in tutte le sue svariate componenti ed esplicazioni. Sarebbe, perciò, auspicabile un ripensamento circa la risarcibilità del danno de quo e ciò anche alla luce dell’evoluzione che ha involto l’apparato normativo, sia nel settore civile che penale; prove ne siano: il Trattato di Lisbona del 13.12.2007 che, all’art. 13, nel fare riferimento agli animali li definisce quali “esseri senzienti”, la Legge n. 189/2004 che ha introdotto il reato di maltrattamento di animali, la Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo n.281/1991, nonché la Convezione Europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13.11.1987 e relativa Legge di ratifica ed esecuzione n.201/2010. I testi normativi che precedono sono tutti indici dell’approccio agli esseri viventi di che trattasi in termini, appunto, tali e non certamente alla stregua di qualsiasi altra res.

Deve ad ogni modo rilevarsi che la tutela, come peraltro osservato dalla Suprema Corte nelle sopra citate sentenze gemelle del 2008, non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione in quel dato momento storico, in quanto, in virtù dell’apertura dell’art. 2 Cost. a un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma pur tuttavia di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana.

Ebbene, proprio in tale argomentazione sembrerebbe potersi rinvenire un adeguato aggancio giurisprudenziale ai fini della risarcibilità del danno in commento. Difatti, proprio richiamando tale inciso giurisprudenziale, il Giudice Vicentino ha rilevato come il legame con gli animali domestici non possa essere paragonato a quello con una cosa, trattandosi di rapporto tra esseri viventi, prevalentemente fonti di compagnia e, nella maggior parte dei casi, considerati dai loro padroni quali “membri della famiglia”. Conseguentemente, tale Corte di merito ha ritenuto sussistente e meritevole di risarcimento il lamentato danno da perdita dell’animale d’affezione, poiché inteso quale pregiudizio derivante dal generico stato di angoscia del soggetto a seguito della perdita dello stesso. Pertanto, tale Tribunale, ritenuto sussistente il grave inadempimento contrattuale della clinica veterinaria convenuta ex art. 1228 c.c., quale conseguenza del comportamento negligente tenuto dal proprio ausiliario, ossia il medico in servizio, e dichiarata la risoluzione del contratto de quo, correttamente ha accolto la ridetta domanda risarcitoria e, per l’effetto, condannato in tal senso, in via solidale, la clinica e il medico.

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