Durante il viaggio di denuncia delle barriere architettoniche, è stato possibile constatare come sconfortante e talvolta invalidante sia la solitudine che si crea attorno ai portatori di handicap, i quali per l’appunto si ritrovano da soli, perdendo chiunque, da familiari – almeno non prossimi, se si è “fortunati” – ad amici.

Ovviamente alle spalle di questa fuga chiunque cela una motivazione: talvolta essa riguarda l’accettazione della condizione invalidante in cui versa il soggetto da cui si fugge, poiché non si accetta di vederlo in tali difficoltà – in questo caso, a proprio parere, non si denigra la persona sconvolta dall’handicap, ma l’handicap in sé, che ancora non si riesce ad accettare –, spesso la frase proferita da chi agisce in tal modo è “Non riesco a vederlo in questo stato”. Tuttavia, ciò che rischia di trasparire è invece la voglia di fuggire, senza soffermarsi sul fatto che lasciare solo chi già soffre può amplificarne i problemi, che non si riassumono nelle sole barriere architettoniche.

Ma questi sono comportamenti umani, che per fortuna gli animali non hanno. Esiste infatti la pet therapy, in cui l’animale, quasi sempre un cane, affianca nell’arco della sua vita l’invalido per facilitarlo nelle azioni quotidiane, tenendo presente le possibilità del quadrupede. Questo per quanto riguarda l’utilità effettiva dell’affiancamento dell’animale; esso diverrà poi fido amico, compagno di giochi, spalla su cui piangere o con cui sfogarsi: perché la solitudine, già trattata in un precedente articolo, è la maggiore sofferenza, in aggiunta al fisico.

L’aspetto emotivo, infatti, ha un grande peso: l’affetto del proprio cane o di un qualsiasi altro animale domestico è in grado di rincuorare e di far dimenticare per un attimo il proprio handicap.
Prendendo in prestito espressioni vicine all’ambito matematico, si potrebbe così esemplificare la questione: BA+H=T, ossia barriere architettoniche e handicap restituiscono come somma la tristezza. Inserendo in questo calcolo il fattore che diminuisce o cancella la tristezza, ossia la C che sta per cani, è possibile riformulare il tutto in questo modo: I+C=F, ossia l’individuo umano in compagnia del cane è in grado di cancellare la solitudine, il che lo conduce a uno stato di felicità.

Una frase, toccante e conclusiva, del film Io & Marley recita:

«Un cane non se ne fa niente di macchine costose, case grandi o vestiti fermati… Un bastone marcio per lui è sufficiente. A un cane non importa se sei ricco o povero, brillante o imbranato, intelligente o stupido… Se gli dai il tuo cuore, lui ti darà il suo. Di quante persone si può dire lo stesso? Quante persone possono farti sentire unico, puro, speciale? Quante persone possono farti sentire… Straordinario?»

E ciò perché ai cani non interessa se il proprio “amico umano” cammini bene: può essere anche costretto su una sedia a rotelle, è sufficiente che da lì gli venga lanciata una pallina affinché si divertano insieme.
Va sottolineato, poi, che se il cane è bene addestrato può aiutare anche ad aggirare alcuni tipi di barriere architettoniche – come ad esempio si può notare dall’immagine in copertina, poiché anche un semplice pulsante del semaforo risulta irraggiungibile a causa della presenza dei pedali sulla carrozzina.

Eugenio Fiorentino

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