Autore: Clinica Borgarello

  • Leishmaniosi canina: terapia, quali farmaci usare?

    Prima di parlare della terapia che viene effettuata contro la Leishmaniosi canina va premesso che i farmaci che vengono utilizzati sono stati ideati e sviluppati esclusivamente per la terapia delle Leishmaniosi umane e solo successivamente sono stati utilizzati nel cane. Per questo motivo molti degli studi riportati in letteratura veterinaria presentano numerose carenze metodologiche. I problemi più frequentemente rilevabili riguardano il mancato uso di gruppi di controllo, il numero ridotto di cani che effettuano lo stesso protocollo terapeutico, la grande variabilità dei criteri diagnostici e clinici e l’estrema differenza dei criteri di "guarigione" clinica e/o parassitologica. Inoltre cambiano di molto anche i periodi di follow-up, i dosaggi e i tempi di terapia, anche se viene utilizzato lo stesso farmaco. Risulta quindi evidente che spesso l’uso di alcuni farmaci non è supportato da un valido supporto scientifico.

    I protocolli terapeutici in corso di Leishamniosi canina comprendono i seguenti farmaci:

    • Antimoniato di N-metilglucammina

    • Allopurinolo

    • Miltefosina

    • Amfotericina B liposomiale

    • Amminosidina

    Nella pratica clinica quotidiana, inoltre vengono spesso utilizzati protocolli derivanti da associazioni di più farmaci con l’intento di ottenere un potenziamento d’azione e di limitare i fenomeni di chemioresistenza. L’associazione tra Antimoniato di N-metilglucammina e Allopurinolo è la più utilizzata nella terapia della Leishmaniosi del cane, ed è senza dubbio il protocollo per il quale esistono maggiori consensi ed evidenze bibliografiche. E’ stato dimostrato che i soggetti trattati con la combinazione di questi due farmaci, hanno una remissione più duratura. Inoltre un altro dato interessante è la buona tollerabilità.

    Questo tipo di protocollo prevede una terapia di circa due mesi con l’Antimoniato, e di parecchi mesi con l’Allopurinolo anche dopo la remissione dei sintomi. Se applicato correttamente determina quasi costantemente la guarigione clinica ed il suo mantenimento per periodi quasi sempre superiori all’anno. La terapia con i due farmaci in associazione consente anche un drastico abbassamento della carica parassitaria infettante per alcuni mesi e, di conseguenza, un minore tasso di infettività per i flebotomi. Nei casi più gravi, si può ottenere un temporaneo miglioramento dei sintomi, però non si può parlare di guarigione clinica dell’animale.

    Bisogna sempre tenere in considerazione la possibilità di comparsa di recidiva della malattia, nonostante il protrarsi della terapia. Gli studi più recenti sono orientati all’utilizzo di una nuova molecola, la Miltefosina, che provoca alterazioni al metabolismo dei fosfolipidi del parassita. E’ un farmaco che sarebbe comunque meglio utilizzare in associazione con l’Allopurinolo. I risultati hanno dimostrato una significativa riduzione dello score clinico, la normalizzazione dei dati di laboratorio e la riduzione della carica parassitaria.

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  • Trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia difficile e refrattaria

    L’efficacia dei diuretici nelle ultime fasi dell’insufficienza cardiaca dipendono dall’aderenza a una dieta povera di sodio. Nella maggior parte dei cani con insufficienza cardiaca è adeguata una moderata restrizione dell’assunzione di sodio. Il flusso ematico renale e la filtrazione glomerulare si riducono con la progressiva riduzione della portata cardiaca e il raggiungimento da parte della furosemide delle sue sedi di azione diminuisce con il peggiorare dell’insufficienza cardiaca. Questa fondamentale limitazione della terapia diuretica è ulteriormente complicata, durante la terapia cronica, dall’ipertrofia del tubulo renale distale. Questa modificazione adattativa aumenta la velocità di riassorbimento del sodio, riducendo l’effetto natriuretico della furosemide.
    L’aumento della frequenza di somministrazione della furosemide spesso risolve la resistenza al diuretico. L’aggiunta di una classe differente di diuretici blocca alcune delle risposte adattative che limitano la terapia con agente singolo, spesso determinando un effetto diuretico sinergico.

    trattamento dell'insufficienza cardiaca congestizia

    Quindi la risoluzione dell’edema polmonare refrattario può richiedere l’uso combinato di furosemide, spironolattone e clorotiazide o idroclorotiazide. Il trattamento combinato giornaliero con furosemide e un diuretico tiazidico condivide gli stessi problemi della terapia con furosemide ad alto dosaggio, ovvero la disidratazione e la deplezione elettrolitica.
    La limitazione del trattamento con il diuretico tiazidico ogni due giorni risolve in genere la congestione polmonare refrattaria in assenza di queste conseguenze avverse.
    Quando si adotta una terapia diuretica aggressiva, occorre monitorare il peso corporeo, il consumo di acqua e sodio, gli elettroliti sierici, la funzionalità renale, e la produzione di urine.
    Il riscontro di iponatriemia in un cane con insufficienza cardiaca congestizia comporta in genere una prognosi sfavorevole.
    Le opzioni terapeutiche in questo caso sono piuttosto limitate.
    I vasodilatatori arteriosi possono essere utilizzati per aumentare la portata cardiaca nei cani normotesi con insufficienza cardiaca refrattaria. Tra le alternative disponibili, solo idralazina e amlodipina sono utilizzate nel cane.
    I venodilatatori nitro-derivati sono spesso consigliati per favorire la risoluzione dell’edema polmonare refrattaria nel cane.
    La misurazione della pressione venosa centrale fornisce una misura oggettiva del successo del trattamento.

    Articolo a cura della Dott.ssa Daniela Ferrari, Clinica Veterinaria Borgarello

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  • Dacriocistite del coniglio

    In questo articolo si affronta un problema oculistico che frequentemente viene riscontrato nel coniglio: si tratta della dacriocistite, ovvero un’infiammazione delle vie lacrimali dell’occhio.

    La maggior parte dei conigli si presenta con dacriocistite monolaterale, ma in alcune occasioni può coinvolgere entrambi gli occhi. Il segno più evidente è un abbondante scolo biancastro e denso di tipo mucopurulento. Il pelo del canto mediale dell’occhio si presenta umido e arruffato. L’insorgenza è spesso lenta e graduale, all’inizio l’occhio sembra semplicemente più bagnato o sporco.

                              coniglio_da_compagnia

    Oltre allo scolo si riscontra iperemia congiuntivale, spesso più evidente a livello del canto mediale. Esercitando un leggera pressione sul canto mediale può notarsi la comparsa di pus dal punto nasolacrimale ventrale. Anche la cornea deve essere esaminata e il test della fluoresceina può evidenziare la presenza di ulcere corneali, soprattutto ventromediali. Il contenuto intraoculare è nella norma, anche se può essere presenta una leggera uveite riflessa. L’esame clinico deve poi porre particolare attenzione al controllo dei denti, dal momento che la crescita eccessiva degli incisivi e dei molari può essere il problema primario.

    Il test diagnostico più importante, che rappresenta anche una parte importante del trattamento, è il lavaggio naso-lacrimale. Questa procedura permette di differenziare la dacriocistite da una semplice patologia congiuntivale.

    Lo sviluppo della dacriocistite è multifattoriale: sono comuni le infezioni miste, per questo motivo può essere utile al fine terapeutico, eseguire un antibiogramma dello scolo. Possono essere colpiti conigli di qualunque età e razza, sebbene sia raro negli animali giovani. Le razze nane sembrano particolarmente suscettibili, probabilmente per la conformazione brachicefalica della testa. E’ necessario che si verifichi una riduzione del drenaggio lacrimale perché si formi all’interno del dotto un accumulo di lacrime stagnanti, che poi si infettano. La natura lunga e tortuosa del dotto naso lacrimale e le sue variazioni di diametro contribuiscono a determinare la frequenza delle infezioni. Inoltre, la stretta associazione con le radici dei denti e la presenza di radici dentarie aperte rappresentano nel coniglio fattori predisponenti.

    Le basi del trattamento della dacriocistite nel coniglio sono rappresentate da lavaggi naso lacrimali ripetuti e da una terapia antibiotica adeguata. Si consiglia un antibiotico sistemico ad ampio spettro e un antibiotico locale. Tuttavia, molti casi possono essere ricorrenti e per alcuni conigli è necessaria l’esecuzione del lavaggio a intervalli regolari per tenere sotto controllo la condizione, ma non è possibile una cura definitiva.

    A cura della Dott.ssa Valentina Declame

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  • Le fasi del parto nella cagna e nella gatta

    Nella cagna e nella gatta il parto si articola in tre fasi principali:
    STADIO 1: è lo stadio di preparazione al parto dove si ha un principio di contrazioni uterine che termina con il rilassamento della cervice.
    Durante questa fase la futura madre tende ad isolarsi, è nervosa e potrebbe assumere l’atteggiamento dello “scavare”. Alcune si mostrano inappetenti e si possono verificare episodi di vomito e diarrea. Spesso si rilevano tremori sulla superficie corporea e la temperatura inizia ad abbassarsi (sotto i 37,5°C).
    Questa fase può durare 6-12 ore ma nelle primipare e nei soggetti molto nervosi può arrivare alle 24 ore.
    In questa fase è bene assecondare le esigenze della femmina che potrebbe necessitare della presenza consolatoria del proprio padrone o volersi isolare completamente.
    STADIO 2: è la fase di espulsione vera e propria. I feti fuoriescono in modo alternato da un corno e dall’altro. Fisiologicamente il 40% nasce in presentazione podalica (treno posteriore) mentre il 60% nasce in presentazione cefalica (testa).
    Il primo elemento che si intravede dalla vulva della madre è il sacco allantoideo che contiene un liquido trasparente. La rottura di questo sacco determina la cosiddetta rottura delle acque. A partire da questo momento il primo cucciolo può impiegare dalle 3 alle 12 ore perché venga espulso.

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    I cuccioli sono spesso avvolti dal sacco amniotico che la madre provvederà a rompere con i denti entro 1-2 minuti dalla nascita. Il lambimento vigoroso permette la liberazione delle narici del cucciolo dai liquidi fetali e la stimolazione cardio-vascolare della cassa toracica che facilita il primo atto respiratorio (primo grido).
    A questo punto la madre reciderà con i denti il cordone ombelicale e mangerà la placenta. Tra l’espulsione di un cucciolo e l’altro passano circa 20-30 minuti ma può passare anche più tempo a seconda della situazione (massimo 4 ore).
    E’ molto importante sapere che se la madre non interviene entro un minuto dall’espulsione del cucciolo è necessario che il proprietario o il veterinario che segue il parto intervenga subito. Ecco un breve vademecum su come intervenire:
    1. Rompere il sacco amniotico con le dita estraendo il cucciolo;
    2. Liberare subito le narici dai liquidi con carta asciutta e pipette pediatriche;
    3. Recidere il cordone ombelicale con forbici sterili dopo aver praticato una legatura riassorbibile a 2-3 cm dall’addome. Disinfettare con Betadine.
    4. Asciugare e strofinare vigorosamente il cucciolo soprattutto sul dorso per stimolare gli atti respiratori;
    5. Una volta emesse le prime grida far attaccare il cucciolo alla mammella.
    L’intera fase di espulsione può durare anche 24 ore.

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    STADIO 3: coincide con l’espulsione delle placente che può avvenire con la nascita dei cuccioli o con le successive nascite.
    A fine parto la cagna si tranquillizza e si dedica interamente alla prole.
    Per essere sicuri che il parto sia realmente terminato si può palpare l’addome o effettuare una radiografia se la cagna/gatta si trovano in clinica.
    Infine si somministra una dose di ossitocina per permettere il completo svuotamento dell’utero. Da questo momento si consiglia terapia con derivati della segale cornuta per diminuire la possibilità di emorragie post partum nei quattro giorni seguenti. Si ricorda che la perdita di lochiazioni (secreti uterini) è normale nei trenta giorni seguenti il parto.
    A partire dal giorno successivo al parto si somministra inoltre un supplemento dietetico vitaminico e minerale che deve essere protratto fino allo svezzamento dei cuccioli. Questo evita infatti squilibri minerali nella madre che potrebbero aumentare l’incidenza di eclampsia puerperale: condizione patologica determinata da carenza di calcio nell’organismo che viene recuperato dalle riserve ossee e muscolari per poter essere trasferito nel latte.

    A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni della Clinica Veterinaria Borgarello.

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  • Classificazione FCI e Classificazione Club di Razza

    Continuiamo il nostro viaggio nel variegato mondo
    della Displasia dell’Anca nel Cane e prendiamo in considerazione una semplice
    tabella comparativa tra le denominazioni ufficiali della FCI e le nomenclature
    utilizzate all’interno dei club di razza.

    Displasia Cane
    Si può facilmente comprendere come tutto questo crei
    confusione e mancanza di chiarezza: pur parlando dello stesso argomento e
    utilizzando gli stessi termini si rischia di riferirsi a due situazioni
    estremamente diverse.

    Immaginate l’incontro tra un proprietario di Dobermann uno
    di Boxer e uno di Rottweiler che intrattengano un dialogo sulla possibilità di
    far riprodurre il loro bellissimo soggetto di razza: il proprietario del Boxer
    potrebbe esordire con “Il mio cane ha due di displasia e non so se farlo
    riprodurre” cosa pensano gli altri due?
    Il proprietario del Dobermann sa che il suo cane può andare
    in riproduzione solo con 1 o 2 di displasia quindi non si porrebbe il problema,
    quello del rottweiler (che nel suo gergo non è due ma due+ ) pensa il mio con
    ++ ha una media displasia e non mi sogno di farlo accoppiare.
    Come potete vedere il discorso è molto  complesso.

    Oltre a questo esiste il problema di classificazioni diverse
    delle varie associazioni internaziolali: come abbiamo spiegato in questo articolo:
    “classificazioni
    della displasia dell’anca”

    I nuovi disciplinari e le nuove linee guida fortunatamente
    usano termini univoci e hanno definito che in Italia vengono riconosciute solo
    le certificazioni con standard FCI.
    Passeranno comunque diversi anni prima che tutti parlino la
    stessa lingua e si possa uscire dalla “Babele della displasia”

    Se
    vuoi approfondire l’argomento leggi tutti gli articoli già pubblicati sulla Displasia dell’Anca o guarda la mini guida
    video Displasia dell’anca video
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  • Esami del sangue: calcio

     

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    Oggi parliamo del calcio, noto ai più solo come componente dello scheletro, mentre nella realtà dei fatti risulta un elettrolita estremamente “eclettico” e di vitale importanza.

    Il calcio (Ca2+o iCa) è necessario all’organismo per lo svolgimento di numerose e fondamentali funzioni. Esso interviene in reazioni enzimatiche, nel trasporto e nel mantenimento della stabilità delle membrane cellulari, nella coagulazione del sangue, nella conduzione nervosa, nella trasmissione neuromuscolare, nella contrazione muscolare, nel mantenimento del tono della muscolatura liscia, nella formazione e nel riassorbimento osseo, nel controllo del metabolismo epatico del glicogeno e, ancora, nella crescita e divisione cellulare.

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    A livello di cellula, il iCa  funge da principale modulatore della risposta a molti agonisti ed è, a tutti gli effetti, una sorta di “messaggero ionico universale”, convogliando i segnali ricevuti dall’esterno all’interno delle cellule. Per quanto riguarda lo spazio extracellulare, invece, il calcio in esso presente regola molte funzioni cellulari di diversi organi tra cui le ghiandole paratiroidi, i reni e la tiroide.

    regolazione calcio

    La regolazione dell’omeostasi del calcio è il risultato dell’azione congiunta dell’ormone paratiroideo (PTH), della vitamina D e della calcitonina mentre l’osso, il piccolo intestino ed i reni sono i tre organi principali di controllo. La maggior riserva di calcio nell’organismo è ovviamente rappresentata dallo scheletro (99%); ma è la restante parte, distribuita tra plasma e nei fluidi extracellulari secondo range molto stretti, quella di più immediato utilizzo. Circa il 50% del calcio ionizzato (Ca2+) ovvero la frazione “biologicamente attiva” responsabile di così tante funzioni, è legato all’albumina, proteina di origine epatica,

     ipercalcemia

    L’aumento della concentrazione di calcio nel plasma viene definito ipercalcemia e, per quanto sia abbastanza infrequente nel cane e nel gatto, può significare o l’esistenza di una patologia sottostante o causare, di per sé, una malattia. L’eccesso di calcio è una condizione “tossica” per le cellule causando alterazioni di membrana e malfunzionamento della pompa del calcio stesso responsabile di molti scambi tra interno ed esterno. In ultimo “troppo calcio” cellulare porta alla morte della cellula stessa. Gli organi e tessuti che risentono maggiormente dei danni da ipercalcemia sono: il gastroenterico, il sistema nervoso, il cuore ed i reni. I più comuni segni clinici derivanti sono: anoressia, disidratazione,letargia, debolezza, vomito, insufficienza renale cronica.

    ipocalcemia

    La riduzione del calcio nel plasma, all’opposto, si definisce ipocalcemia ed è una condizione più frequente della precedente. Se la diminuzione è lieve, possono non esserci segni visibili, in ogni caso la maggior parte sono ascrivibili al fatto che la bassa concentrazione di calcio tende ad aumentare l’eccitabilità neuromuscolare. I sintomi maggiormente riscontrati, indipendentemente dalla causa di abbassamento, sono: tremori muscolari o fascicolazioni, strofinamento del muso, spasmi muscolari, andatura rigida e alterazioni comportamentali quali remissività o eccitazione, aggressività, ipersensibilità agli stimoli e disorientamento.

    Nel prossimo capitolo dedicato agli elettroliti ci occuperemo del fosforo, elettrolità strettamente correlato al calcio . Continuate a seguirci sul Tgvet.

    Articolo a cura della Dr.ssa Martina Chiapasco, Clinica Veterinaria Dr.Borgarello

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  • Leishmaniosi canina: terapia, quali cani trattare?

    Prima di decidere se e come trattare un cane infetto da Leishmania infantum deve essere chiaramente differenziato lo stato d’infezione della malattia. Un cane infetto è un soggetto nel quale sia dimostrabile la presenza del parassita, con metodi diretti (microscopia, coltura, PCR) o con metodi indiretti, mettendo in evidenza anticorpi specifici. Per rendere più agevole l’inquadramento diagnostico dei cani infetti, viene utilizzata una classificazione che è stata elaborata dal Gruppo di Studio sulla Leishmaniosi Canina.

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    Un cane infetto può essere definito malato quando mostra uno o più segni clinici di leishmaniosi, incluse alterazione ematologiche, ematobiochimiche e urinarie. Quando è presente l’infezione tuttavia un cane può rimanere in uno stato asintomatico per un periodo variabile da mesi ad anni. Tale stato può essere facilmente diagnosticabile in caso di infezione patente, o essere difficile da rilevare nel caso che l’infezione sia sub patente. Pur utilizzando diverse tecniche diagnostiche quali la dimostrazione di anticorpi anti – leishmania, l’evidenziazione macroscopica del parassita e la PCR quali / quantitativa.

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    I cani inquadrati nello stadio A non devono essere trattati con farmaci anti – Leishmania. Si tratta di cani sicuramente senza segni clinici o alterazioni clinico – patologiche, il cui stato di infezione è in una fase di evoluzione non prevedibile. Anche per i soggetti dello stato B potrebbe valere lo stesso ragionamento terapeutico.

    I soggetti appartenenti allo stadio C e D, in quanto malati, devono sempre essere trattati con terapia specifica anti – Leishmania.

    E’ utile ricordare che la terapia antiparassitaria, pur assicurando quasi sempre un buon miglioramento clinico, non può essere considerata l’unico rimedio per ripristinare i danni organici indotti dal protozoo. E’ necessario quindi associare altri farmaci per far fronte ai problemi dovuti alle patologie concomitanti. Per i cani classificati nello stadio E, prima di prendere in considerazione l’uso di protocolli alternativi o la modificazione di quello adottato, devono essere sempre riconsiderate la diagnosi, la corretta applicazione del protocollo e l’eventuale presenza di altre patologie, infettive e non.

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  • Cardiopatia felina

    La cardiopatia felina è una condizione comune che può essere difficile da diagnosticare. I gatti sono spesso asintomatici fino a che non sviluppano una grave malattia. I segni clinici e radiografici possono suggerire la presenza di una cardiopatia felina, ma per diagnosticarne la specifica eziologia e la gravità è necessaria l’ecocardiografia.
    Fra le affezioni cardiache del gatto, le più comuni sono le miocardiopatie, che vengono suddivise a seconda dell’eziologia in quattro categorie:

    • Ipertrofica

    • Dilatativa

    • Non classificata o restrittiva

    • Ventricolare destra aritmogena

                            cuore-gatto

    Le radiografie del torace sono utili per stabilire l’eventuale presenza di infiltrati polmonari o versamenti pleurici e possono identificare una cardiomegalia significativa.
    l valore normale di VHS nel gatto è di 7.4 ± 0.3.
    L’insufficienza cardiaca congestizia del lato sinistro può essere evidenziata dalla presenza di infiltrati polmonari a chiazze interstiziali o alveolari, senza il quadro tipico di distribuzione, a differenza di quanto avviene nel cane che ha un quadro classico di distribuzione, da parietale a caudale.
    Il versamento pleurico può essere causato da insufficienza cardiaca sinistra o destra. La deviazione dorsale della trachea non si è dimostrata un segno specifico per la cardiomegalia dei gatti con versamento pleurico.
    le radiografie del torace sono poco sensibili per le diagnosi delle cardiopatie lievi e non sono utili per individuare l’ipertrofia concentrica del ventricolo, dal momento che le dimensioni complessive del cuore non sono aumentate. Le radiografie toraciche essenziali per monitorare la presenza e la gravità dell’insufficienza cardiaca, nonché l’adeguatezza del suo trattamento.
    L’elettrocardiogramma è utile per valutare le aritmie nei gatti che vengono portati alla visita perché presentano sincope o debolezza episodica, oppure in quelli nei quali viene individuata un’aritmia all’auscultazione. L’elettrocardiografia è scarsamente sensibile per la diagnosi dell’ipertrofia ventricolare nei gatti con miocardiopatia ipertrofica.
    Nel prossimo articolo tratteremo l’argomento Miocardiopatia Ipertrofica del gatto.

    Articolo a cura della Dott.ssa Daniela Ferrari, Clinica Veterinaria Borgarello

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  • Diabete: nuovi presidi per Cane & Gatto

    Una delle malattie più sviluppate e diffuse in cani e gatti è sicuramente il diabete mellito. Tale malattia è oggi molto conosciuta anche nel web, nel quale, digitando “Diabete Cane”, è possibile scovare consigli su come affrontare il problema. Il Diabete Mellito (DM) nel cane è una malattia caratterizzata da un aumento dei livelli di zucchero (glucosio) nel sangue, causata da una carenza di insulina, un ormone prodotto dal pancreas. 
    Diabete nel cane
    Con il diabete è meglio non correre rischi. L’energia, di cui ha bisogno l’organismo per vivere, è garantita dal glucosio, uno zucchero prodotto dalla digestione degli alimenti. Ma non basta solo questo, il glucosio per trasformarsi in energia deve entrare nelle cellule e per farlo ha bisogno appunto dell’insulina. Quando la quantità di insulina prodotta dal pancreas è insufficiente, il glucosio si accumula nel sangue (iperglicemia) e le cellule non possono utilizzarlo per produrre l’energia necessaria alle loro funzioni vitali. 
    In carenza o assenza di insulina, le cellule useranno, in alternativa al glucosio, i grassi che inizialmente forniranno energia positiva, ma alla lunga si accumulano nel sangue alcuni prodotti di scarto (corpi chetonici) che possono essere potenzialmente letali. Per questo è importante identificare prima possibile se l’animale è diabetico, per fornirgli prima possibile l’insulina di cui ha bisogno per ricominciare ad utilizzare il glucosio accumulato nel sangue.Caninsulin è una sospensione di zinco-insulina di origine suina formulata specificatamente per cani e gatti. Diversamente dai gatti, i cani non manifestano forme di diabete mellito transitorie o reversibili, perché la perdita della funzionalità delle cellule β del pancreas è irreversibile; perciò in questi soggetti la terapia insulinica sarà necessaria per tutta la vita. A questo proposito, generalmente si eseguono due iniezioni giornaliere sottocutanee di insulina, nel tempo e nella dose stabilite dal proprio medico veterinario. Si può impiegare l’insulina registrata per gli animali da compagnia: caninsulin. L’esercizio fisico costante (passeggiate o giochi) ha un effetto ipoglicemizzante (abbassa la glicemia) sull’animale. Il movimento, nel cane diabetico, favorisce la perdita di peso, elimina l’insulinoresistenza indotta dall’obesità e promuove il trasporto del glucosio dentro le cellule. Infine, è indispensabile l’identificazione ed il controllo di eventuali patologie concomitanti, che possono indurre un aggravamento del diabete ed interferire con l’attività farmacologica dell’insulina, allo scopo ottimizzare il trattamento del cane. 
    Nel caso non insorgano patologie concomitanti che mettano a repentaglio la sopravvivenza dell’animale, le aspettative di vita di cani affetti da diabete mellito, trattati con terapia insulinica adeguata, sono anche di molti anni.Mentre molte altre penne per insulina sono state comunemente usate anche per gestire il diabete umano, Vet Pen è il primo dispositivo progettato esclusivamente per l’uso in gatti e cani diabetici. In precedenza, l’unico modo per somministrare insulina erano le siringhe, un utilizzo che risultava essere inadeguato e scomodo. Vet pen lavora specificatamente sul diabete del cane o del gatto ed è realizzata su misura per l’utilizzo in animali domestici. 
    Vet pen è progettata per rendere semplice e veloce il processo di dosaggio. Si riduce anche il tempo necessario alla preparazione all’iniezione. Inoltre Vet Pen è molto semplice da utilizzare anche da parte di proprietari di animali con problemi di vista, artrite, o qualsiasi altra condizione che può causare problemi alle mani. L’intuitiva strumentazione di Vet Pen consente di fornire una dose precisa di Caninsulin al vostro animale domestico, in ogni iniezione. Dopo aver preparato il dispositivo, è sufficiente somministrare la dose da voi selezionata con facilità. Con la semplice pressione di un pulsante potrete somministrare la giusta quantità di insulina al vostro animale domestico. In tal modo è possibile una maggiore precisione ed una riduzione della possibilità di errori da parte dell’utente.
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  • Cheratite pigmentosa dei brachicefali

    In razze canine brachicefale, come Carlini, Bulldog inglesi e francesi, Pechinesi, spesso si osservano aree di pigmentazione sulla cornea, soprattutto nella porzione mediale dell’occhio. La visita specialistica permette di riscontrare vascolarizzazione corneale, anche se i vasi possono essere pochi e molto sottili. In fasi iniziali si può riscontrare un processo infiammatorio a carico della cornea e nel tempo questo fenomeno viene seguito dalla migrazione dei melanociti che renderanno l’area interessata coperta dal tipico tessuto pigmentato. Spesso queste lesioni sono legate a difetti ciliari quali trichiasi, associata o no a pliche cutanee nasali abbondanti.

                                      carlino

    La pigmentazione tende a progredire nel tempo, in particolar modo se con l’età subentrano anche deficit di lacrimazione. Inoltre, occorre tenere presente che la cornea di questi soggetti è a rischio di ulcerazioni, secondarie al trauma cronico ripetuto, alla lacrimazione diminuita e al conseguente instaurarsi di colonizzazioni batteriche.

    Il trattamento migliore è quello che previene la comparsa della cheratite: la cantoplastica mediale eseguita in giovane età (6- 12 mesi) è spesso l’intervento chirurgico d’elezione. Occorre essere molto attenti ai canalicoli lacrimali per evitare di danneggiarli durante l’intervento. Indipendentemente dal tipo di tecnica chirurgica utilizzata va osservata molta attenzione nella rimozione dei follicoli piliferi, per eliminare ogni fonte di trauma per la cornea.

    Dopo l’intervento chirurgico la terapia di tipo medico in presenza di cheratite pigmentosa è a base di ciclosporina.

    A cura della Dott.ssa Valentina Declame

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