Bologna, 29 marzo 2017 – Due morti in due mesi. La Leishmaniosi torna a colpire duro il territorio bolognese, con altri cinque casi di trasmissione umana della versione viscerale (la più pericolosa) della Leishmaniosi: una malattia diffusa fra i cani, ma che si può trasmettere all’uomo da un animale infetto attraverso il passaggio delle leishmanie (protozoi) a seguito della puntura del pappataci.

Ad oggi sono due le vittime, entrambe bolognesi, rispettivamente di 74 e 82 anni, che al momento del contagio e della diagnosi accusavano un quadro clinico già problematico e non hanno retto l’impatto di una terapia alla quale sono state sottoposte nel reparto di malattie infettive del Sant’Orsola di Bologna, e che presenta un alto grado di tossicità.

La notizia della recrudescenza di questa patologia è filtrata nei giorni scorsi nel corso della preparazione della campagna di sensibilizzazione e prevenzione di una malattia che non si trasmette da uomo a uomo e neppure da cane a uomo. Del contagio infatti è responsabile la puntura di un insetto (il flebotomo o pappatacio) delle dimensioni di un moscerino dal volo lento e quasi impercettibile, che funge da ‘vettore’ ovvero è capace di pungere il cane malato e poi di infettare l’uomo attraverso le punture successive.

E così è successo ai due pensionati, entrambi residenti in città in famiglie con cane in casa (i cani sottoposti a controllo non sono risultati affetti da Leishmaniosi), ed entrambi trascorrevano buona parte della loro giornata in zone collinari del territorio di San Lazzaro di Savena, presso un’area adibita ad orti e presso un agriturismo. Si presume che sia stato quello il luogo del contagio, tanto che, come da protocollo, il servizio veterinario dell’Azienda Usl di Bologna, ha già preso contatti con tutti i proprietari di cani presenti in un raggio di 300 metri dal luogo di frequentazione, ed effettuato il controllo sugli animali ai quali è stato fatto un prelievo di sangue che dovrà stabilire se si tratta o meno di cani infetti.

Il dottor Pierluigi Viale, direttore dell’Unità operativa Malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola, sta seguendo i nuovi casi: «Nel caso dei due decessi purtroppo la reazione dei pazienti, arrivati con un quadro clinico già compromesso per altre patologie, non è stata adeguata a reggere l’alto grado di tossicità del trattamento.

Ma normalmente la Leishmaniosi è una malattia dalla quale si guarisce, la nostra unità operativa ha tutti i mezzi diagnostici e di cura adeguati a garantire un esito positivo a questi casi», chiarisce il medico.

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