Dall’inizio del mese ad Agrigento è vietato soccorrere cani randagi. Almeno, lo è per i privati che volessero portarsi a casa un cucciolo o anche un cane adulto trovato per strada. Effetti dell’applicazione di un decreto dell’assessore alla salute della Regione siciliana emanato lo scorso 3 novembre e applicato ora dalla Asp di Agrigento, la prima a farlo in tutta la Sicilia che, sul tema randagismo, ha una propria legge che risale al 2000, la n. 15.  

Perplessi e arrabbiati i volontari delle associazioni animaliste che si sentono impotenti e che, se intervenissero prelevando un randagio, anzi un «cane del territorio» come lo definisce la legge, rischiano una segnalazione e, soprattutto, una multa che va da 86 a 520 euro. «Non possiamo più operare – dice Almaria Dominici che guida l’associazione L’Itaca di Argo -. Se noi preleviamo dei randagi lo facciamo per darli in adozione, ma siccome bisogna microchipparli, il veterinario che lo fa ha l’obbligo di segnalare all’Azienda sanitaria locale il nome di chi gli ha portato il cane affinchè emetta la sanzione». Non ci sono deroghe a questa disposizione; le uniche sono l’eventuale silenzio, fuorilegge, del veterinario o l’inazione delle amministrazioni comunali: «Tutto questo taglia le gambe alle associazioni animaliste che non sono convenzionate – dice ancora Dominici – e nemmeno da privati cittadini si può fare». 

Dall’Asp di Agrigento, la visione del problema è un’altra. Secondo il direttore del servizio di igiene degli alimenti e delle prevenzioni zootecniche, Antonio Izzo, che ha firmato la disposizione per Comuni e veterinari, non c’era alcuna discrezionalità nell’applicazione del decreto regionale. Il quale, va ricordato, è stato firmato dal precedente assessore regionale alla salute, Baldo Gucciardi, nei giorni in cui gli elettori siciliani andavano al voto per eleggere il nuovo governatore. «Il cane del territorio è di proprietà del sindaco – spiega il dottor Izzo – e nessuno è autorizzato a prelevarlo. La normativa è chiara: i cani vanno prelevati da personale specializzato e autorizzato, portati nei canili sanitari dove restano in osservazione per dieci giorni e microchippati, e solo dopo possono essere dati in adozione». Gli animalisti lamentano la poca attenzione delle amministrazioni comunali e la scarsità di canili sul territorio: «In questi mesi abbiamo fatto corsi per più di 150 operatori – spiega Izzo – e i comuni se non hanno strutture proprie hanno convenzioni con canili privati autorizzati. Il decreto serve a combattere il randagismo, abbiamo microchippato 60mila cani e ne abbiamo sterilizzati seimila in questi anni».  

Gli animalisti – nell’Agrigentino ci sono diverse associazioni che si occupano della cura dei randagi – temono che il rigore di questa norma metta a rischio la vita stessa dei cani: «Anche se ha come obiettivo quelli di contenere il fenomeno del randagismo – avverte Almaria Dominici – questa disposizione mette fuorilegge privati cittadini e associazioni che sono mosse solo da compassione e senso civico e che finora hanno sopperito alle carenze delle strutture pubbliche».  

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