Questa è la storia di Ada, e di tutto il bene che ha lasciato intorno a sé. C’era un uomo, Roberto, che aveva da poco perso il papà. «Era triste, abulico», racconta Paola, sua moglie. Lei allora decise di fargli un regalo. Un cane. Che potesse tirare Roberto fuori dal suo dolore, farlo uscire, camminare. La ricerca nei canili non ottiene risultati. Su internet, Paola si imbatte nei pastori australiani. Va in un allevamento, vede una cucciola rosso fuoco con gli occhi verdi e pensa che sia quella giusta. La porta a Roberto per il suo compleanno. Amore a prima vista.

Dal giorno dopo, lui ricomincia a uscire, la sera porta Ada a giocare con gli altri cani, riprende a vivere. Un giorno, troppo presto per la sua età, lei comincia a salire le scale meno velocemente del solito, a non saltare sul letto per i saluti alla mattina. È giovanissima, un anno e mezzo. La portano dal veterinario. Analisi, il livello del calcio fuori misura. Altri esami. Non sembra niente. Poi radiografie. E nel petto di Ada si vede una massa enorme. Il veterinario dice «mi dispiace, due settimane di vita». Linfoma al quinto stadio, lo stesso male che si è portato via il papà di Roberto. Il veterinario dice che a Padova c’è una clinica specializzata. Pronti via. Dalla Liguria si attraversa l’Appennino con Ada in macchina. Diagnosi confermata, «e in più la scoperta che la cagnolina è farmaco resistente».

Se anche provi a curarla, la terapia la ucciderà. Ma il male corre più veloce di Ada, rimane poco tempo e si decide di provare lo stesso. Chemio. Vincristina. Paola e Roberto prendono le ferie. Dopo venti giorni a Padova escono dalla clinica San Marco, con Ada viva. Ha ripreso a camminare. Sembra un miracolo, e forse lo è. La medicina le ha distrutto il midollo osseo ma non la vita. Mentre Ada diventa un caso da studiare, l’oncologa Roberta Costantino dà un consiglio: «Datele un cucciolo, ci sta che i cuccioli alzino le difese immunitarie, in ogni caso male non farà». Paola parte con Ada in missione,e torna da un allevamento di Vicenza con due batuffoli di pelo. Hanno settanta giorni. Femmina e maschio, lei grigia e lui rosso fuoco. Dora e Balto. A prima vista Ada è incuriosita da quelle pesti che le stanno addosso e vogliono giocare. Ma una volta a casa per un bel po’ non ne vuole più sapere. Ringhia, gli fa la pipì addosso. È gelosa.

Ma intanto, giorno per giorno, passano i mesi. I suoi esami sono regolari. Il linfoma non si vede riapparire. La recidiva non arriva. E Ada ha preso ad occuparsi dei cuccioli, come una mamma adottiva. Li accudisce, li addestra alla lotta; Paola e Roberto coccolano lei: leccornie di pesce e rognone, la tuia che magari fa bene. Mentre Dora e Balto crescono, si mantengono anche le difese immunitarie della loro mamma? «Ada non voleva morire», dice oggi Paola Parra, disegnatrice fantastica. «E quando i cuccioli hanno compiuto un anno, sono diventati grandi, Ada decide che è arrivato il momento di andarsene», di lasciare loro al posto suo. Balto più giocherellone, Dora più triste. Quanto amore c’è, in una storia così. Quante lezioni. Una parte della cura sta nel curare gli altri. Dare, non solo ricevere. E così, per non lasciarci a bagnomaria nella malinconia, Paola con una di quelle sue risate che spezzano gli specchi spiega da dove viene il nome di Ada. Da quel film con Alberto Sordi, che ha una moglie bruttissima e va in spiaggia sulle Costa Azzurra e vede tutte quelle ragazze bellissime e allora dice sospirando: «Ada mia, quanta brutta gente».

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