Oggi Ehlena Fry è una bambina felice: potrà portare il suo cane a scuola. Il suo non era un capriccio da tredicenne, anzi. Lei ha sofferto una paralisi celebrale e per lei è indispensabile la presenza in classe del quattrozampe Wonder. 

Ma per poterlo fare la famiglia Fry ha dovuto condurre una lunga battaglia legale contro i divieti della sua scuola, una lotta contro una discriminazione a cui finalmente la Corte Suprema statunitense ha posto fine. Anzi, la decisione dei giudici è importante perché rende più facile il procedimento per tutti gli studenti disabili di poter chiedere giustizia e un risarcimento per discriminazione: i togati hanno stabilito che la ragazzina di 13 anni e i suoi genitori non sono obbligati a passare attraverso i lunghi tempi dei ricorsi amministrativi per la loro denuncia nei confronti della scuola, denuncia per danni emotivi perché la ragazzina ha sofferto molto dopo la negazione dell’assistenza del suo cane imposta dalla scuola.  

Il suo cane Wonder è stato addestrato per aiutarla a mantenere l’equilibrio, a raccogliere gli oggetti da terra, aprire e chiudere le porte, togliersi il cappotto e tanti altri gesti che per molti potrebbero risultare di normale amministrazione. 

«Ho visto con i miei occhi come Wonder aiuta mia figlia a crescere ed a diventare sempre più autosufficiente – racconta la mamma Stacy Fry -. Siamo grati alla Corte Suprema che ha messo in chiaro questa situazione e cioè che le scuole non possono trattare i bambini con disabilità in maniera differente». 

La denuncia è stata presentata nel 2012 alla corte federale sostenendo di essere stati vittime di discriminazioni visto c’è una legge americana (Americans with Disabilities Act) che ammette i cani di servizio in tutte le sedi istituzionali pubbliche. 

La sentenza della Corte Suprema ha ribaltato una decisione del 2015 dove la corte d’appello si era espressa dicendo che secondo la Individuals with Disabilities Education Act (IDEA), una legge federale che regola l’educazione speciale, la famiglia doveva passare attraverso un iter burocratico lunghissimo prima di poter arrivare al sodo della questione. 

Il giudice Elena Kagan della Corte Suprema ha deliberato che se la sostanza di una causa rivendica la negazione di una corretta educazione speciale non c’è bisogno di passare attraverso il classico iter.  

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