Dieci milioni di cani. Quattro milioni di gatti. Tanti se ne sacrificano all’anno – stima grezza per forza – sulle mense della Cina.

Trenta milioni: tanti sono i cinesi – stima di Euromonitor Intelligence del 2014 – che possiedono un cane da compagnia. Suggeriscono le tendenze che questo numero crescerà. Presumono che decrescerà quell’altro, riferito ai “cani alimentari”. La verità è che, come non esiste una sola Cina nello spazio, ma “le Cine”, neanche ne esiste una sola nel tempo. Sensibilità di epoche diverse, e contrastanti, vi trovano contemporaneamente posto.

Infiammatasi a giugno (come al solito ogni anno) per il Festival della carne di cane di Yulin, sopita nell’estate, la polemica si rinfocola adesso. L’opinionista Luisa Tam, del ‘South China Morning Post’ di Hong Kong, ha titolato la sua ultima rubrica con una domanda: “Il crescente numero di proprietari di animali di compagnia nella Cina continentale ne migliorerà gli atteggiamenti?”. Implicita la condanna per chi mangia cane. Stavolta a Yulin, nella provincia autonoma Guangxi Zhuang, petizioni e emozioni più vivaci del passato avevano spinto le autorità a elevare un bando, poi tutto è andato come sempre: dagli 11 mila ai 15 mila cani uccisi per la tradizionale sagra alimentare.

Le cucine dell’orrore

Si punta l’indice sui cinesi perché Yulin è un’occasione più nota all’opinione pubblica occidentale. Ma, ricorda Luisa Tam e molti lo sanno benissimo, sono diversi i Paesi dell’Asia dove si macellano cani, qualcosa come 25 milioni di capi l’anno. A Seul una strada del centro è punteggiata da soli ristoranti di carne canina. Per non dire della provincia del Guangdong – tornando in Cina – dove davvero si mangia di tutto.

10 milioni di cani da mangiare ogni anno. "L'insano piacere" dei cinesi

Foto:STR / AFP 

Festa della carne di cane a Yulin – Cina (AFP) 

E in che modo: “In molte culture asiatiche, alcuni ritengono che possano trarre i migliori benefici per la salute mangiando animali vivi”. “Si permette che questi rituali culinari inumani continuino – scrive la Tam – in nome di tradizioni esotiche. Ma credo si tratti di mero, insano piacere che queste persone cavano dalla vista di animali che soffrono. Sul serio, quali benefici alla salute si possono ricevere dallo scuoiare, bollire o mangiare un animale ancora vivo?”.

C’è (ci sarà sempre) a questa posizione un controcanto: rappresentato l’ultima volta, pochi giorni fa, da un articolo su ‘Varsity’, quotidiano indipendente degli studenti all’ateneo britannico di Cambridge. Chiaro il titolo: “Siamo legittimati a criticare il Festival cinese della carne di cane?”. Chiara la conclusione (dopo avere ricordato gli studi sulle capacità cognitive di maiali e pecore): “Il nostro atteggiamento verso i diritti degli animali nel mondo ci mette davanti agli occhi una verità scomoda: forse ci preoccupiamo più di apparire etici che di esserlo realmente. Ti senti libero di criticare la crudeltà sui cani a Yulin, ma le radici su cui affondi la tua indignazione sono incredibilmente instabili se stai andando ancora al Kentucky Fried Chicken”.

Quando i belgi ci provarono

Ma siamo proprio certi che negli ultimi secoli anche l’Europa non abbia consumato carne di cane, e non solo in momenti di drammatica emergenza, come guerre o carestie? Certo che no.

10 milioni di cani da mangiare ogni anno. "L'insano piacere" dei cinesi

Foto:BECKY DAVIS / AFP 

Festa della carne di cane a Yulin – Cina (AFP)  

Uscì nel 1907 il classico “Cani e gatti” dell’illustre professore parmigiano Ferruccio Faelli, che dedicò un paragrafo ai “cani commestibili”, in cui ricordava che l’uso di non mangiarli nel vecchio continente non attiene alla qualità della carne (anzi, è gradevole e “si può confondere colla carne di montone”), ma “all’affetto reciproco che il cane e l’uomo sentono, ed all’antica, preistorica convivenza, a quella vita in comune che ha fatto apprezzare le buone, utili qualità del cane, e la sua intelligenza”).

Tuttavia, sulla fine dell’Ottocento, quest’uso ebbe qualche diffusione in Belgio. Non solo a Bruxelles, dove si scoprì “uno stabilimento ove si ingrassavano dei cani per la consumazione, ed altri ove si vendeva la carne stessa come carne di montone”. Nel 1881 il governatore della provincia di Liegi interpellò la scuola veterinaria circa la nocività eventuale della carne di cane dopo l’apertura di una macelleria che la vendeva. I professori dissero che no, non v’era ragione di proibirla, “purché sia sottoposta all’ispezione come tutte le altre carni”. “Speriamo – concludeva Faelli – che noi non ci ridurremo ad avere bisogno di questi nostri amici per sfamarci poiché, per me, sarebbe lo stesso come diventare antropofagi!”.

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