Ventidue anni e un sacchettone di spiccioli in mano. «Andai da questo tizio a Civitavecchia, un vero “canaro”. Gli diedi due chili di monetine e mi portai via un cucciolo».
Mela è stato il primo bulldog francese di Fabiana. In tutto ne ha avuti sei. «Mi sono sempre piaciuti. Misi su anche un sito dedicato a questa razza, organizzavo raduni».
Non avrebbe mai immaginato che, qualche anno dopo, avrebbe passato la maggior parte del tempo a cercar casa per cani non solo senza pedigree, ma anche disabili, neurolesi, malati, anziani o terminali.
Mela è stato l’inizio di tutto, ma nella vita si cambia, riflette, e, nel 2009, è nato Progetto Quasi, dal nome dalla sua cagnolina affetta da una malformazione genetica, chiamata sindrome del cane babbuino a spina corta. «La gente mi diceva: “Sembra quasi un cammello”. Oppure: “quasi un maiale”. A qualcuno ricordava “quasi un diavolo della Tasmania”, ad altri “quasi una iena o un cinghiale”».  

LA PRINCIPESSA DEI MOSTRI
Da allora, con le altre volontarie, ha raccolto e fatto adottare oltre 300 cani diversamente problematici, per lo più recuperati dai canili. Lo fa seguendo regole e metodi piuttosto insoliti.
«Primo, a scegliere chi prendere sono io e lo faccio in base a un unico criterio: devono piacere a me. Perché solo in questo caso riesco a scrivere un appello che funziona. In fondo è come se stessi vendendo qualcosa, lo devi rendere appetibile. Se posti la foto di un animale con scritto: “Nessuno mi vuole perché sono vecchio e brutto”, per quale motivo uno dovrebbe prenderselo? Gli stai dicendo tu che quell’animale fa schifo. Meglio “spingerlo” come davvero orrendo o decrepito. Unico».
Sulla pagina Facebook dell’associazione, negli anni, sono apparsi tantissimi annunci di «mostri» o «sfascioni», come li chiamano loro. La definizione irriverente e i nomi buffi che scelgono per ciascuno di loro fanno parte della «strategia di marketing».
Kukident aveva i denti sparpagliati sul muso, «e pure la Leishmaniosi». Poesse, sottinteso che viva, «era moribondo e se ti avvicinavi cercava di morderti con la forza di un criceto in coma». Cialis lo hanno chiamato così perché a vent’anni provava ancora a montare qualunque cosa. A Padre Polo, il buco col cane intorno «avevano praticato la tracheotomia. Respira dal collo, ma sta bene». Una delle ultime arrivate, Megamind detta Pera, è idrocefala, «ha 5 mesi e gli occhi da totano. Stiamo ancora cercando qualcuno che la adotti».

A OGNUNO IL SUO
A chi rimane perplesso di fronte a questo genere di ironia, Fabiana ribatte: «Un cane non è una persona. Il soprannome di Quasi è comodino, ma lei mica ci rimane male. Noi ci accolliamo la tragedia di questi animali – ci si dispera e si piange quando li vediamo soffrire e morire –  ma a voi mostriamo l’aspetto divertente perché così è più facile che vi venga voglia di adottarli».
Quando l’ho incontrata la prima volta, a una conferenza, aveva elencato una serie di stereotipi falsi su chi fa volontariato con gli animali. «Non è vero che andiamo tutte in giro vestite da gattare sdrucite. Non è vero che chi si occupa di animali se ne frega degli esseri umani. Di lavoro faccio la terapista di bambini con problemi neurologici. Una nostra volontaria lavora in un hospice, si occupa di malati terminali, un’altra ha una casa famiglia per anziani».
E non è vero che esistono cani inadottabili. «Magari per alcuni serve più tempo. Einstein soffre di epilessia, è pieno di tic e ha i postumi del cimurro, ma, alla fine, abbiamo trovato una casa anche per lui».

IL CANE CONIGLIO
Fabiana ha tre cani. Dopo Quasi e Nano, un mix bulldog francese di 14 pieno di artrosi e cieco da un occhio, è arrivato Vinile. «Ha un disturbo neurologico, è idrocefalo, sordo e cieco. L’ho chiamato così perché è nero, piccolo e gira in tondo. A spasso non lo posso portare, gli faccio quattro carezze, non una di più, sennò mi ringhia. Mangia, dorme e gira. Di un animale paralizzato non potrei prendermi cura: lo devi spostare, mettere su e giù dal carrellino, pulire, fare attenzione alle piaghe e io sono sempre in giro. Ma Vinile è perfetto. Non ha bisogno della mia presenza, non gli interessa».
Mi racconta che per un anno e mezzo ha vissuto dentro una a gabbia per conigli. «L’acqua stava in un contenitore talmente alto che, per bere, doveva immergere la zampa e portarsela alla bocca. Continua a farlo anche se ora la ciotola è bassa: se la tira addosso, si bagna tutto e poi piange perché ha freddo».
Friz, il primo cane dato in adozione da Progetto Quasi aveva tre zampe, un orecchio ed era senza coda, «quando gli hanno fatto una radiografia, abbiamo scoperto che era pieno di pallini. Gli avevano sparato con un fucile da caccia. In caso di maltrattamenti, molte volte so benissimo chi è stato, ma non posso dirlo. I tempi per un sequestro sono lunghi, serve la flagranza, così devi scegliere: o denunci le persone o salvi il cane».

PRENDERE LA VITA A CAPOCCIATE
Resto ha 16 anni, è sordo, cieco, incontinente. Si chiama così perché è un carlino ma di lui c’è rimasto poco. Prima di finire fra le braccia di Federica che, mentre parla, lo coccola come un bambino, ha vissuto due anni su un terrazzo. I primi giorni non voleva stare nella cuccia: cercava il mattonato dove aveva dormito per tutto quel tempo.
Federica lo ha adottato insieme al suo compagno Andrea. Cercavano un cane che potesse andare d’accordo con Carlotta, la loro bulldog inglese, 7 anni, un’altra trovatella. «L’avevano messa in pensione e non sono andati a riprendersela».
Mentre parliamo, Resto gironzola incerto nel giardino. «È brutto dirlo», dice Andrea, «ma quando arriva in un posto nuovo prende la misure a capocciate. Ne dà tre, quattro in giro finché capisce dove sono gli ostacoli. Ogni tanto, però, s’incastra negli angoli. L’ultimo periodo della sua vita se lo passerà a casa, accudito e amato. Se ti piacciono gli animali non guardi alle condizioni fisiche. Non ci vede e non ci sente? Non è un problema. Si fa la pipì addosso? Lo puliremo. Lui è felice e sei felice pure tu».

NON VEDO NON SENTO (MA MORDO)
Nina è arrivata a casa di Maria Grazia l’8 ottobre, «il giorno dopo compivo gli anni e lei era il mio regalo di compleanno».
Dodici anni di canile, aveva un tumore alle mammelle ed era in lista per l’eutanasia. La volontaria che l’ha presa pensava di accompagnarla alla morte con cure palliative, ma l’operazione è andata meglio del previsto. «Non ci sono metastasi. Però, il veterinario, ogni volta, mi dice: “Guarda questi poveri polmoni e anche il fegato è ridotto male”. Lo ascolto e il mio cuore si fa sempre più piccolo».
Al telefono, Maria Grazia mi aveva avvisato: «Nina morde». In realtà, dalla sua cuccia, si limita a ringhiare un po’. A caso perché ci vede poco, un occhio, il destro, è andato.
Mi racconta che i primi tre giorni non ha praticamente smesso di camminare, «Dopo tutti quegli anni in gabbia, era la sua libertà. Quando si è resa conto che poteva andare dove voleva si è rilassata».
Maria Grazia ha altri due cani, Rosi e Lola, madre e figlia, di 13 e 12 anni, e abbastanza medicine da aprirci una farmacia: le pastiglie per la pressione alta e per la sindrome di Cushing di Lola, il gastroprotettore, valium  per gli attacchi epilettici di Rosi, antibiotici e cortisone.
Sparsi per terra asciugamani e tappeti vecchi perché Nina fa i bisognini in giro. «E pure Rosi. È cardiopatica, cieca e sorda, e si dimentica di le cose. Sente che abbaia? Si scorda di aver mangiato e chiede altro cibo. Con i cani anziani funziona così. Avevo un pastore tedesco, Zigo. Da giovane stava sempre davanti a me per difendermi. Alla fine ero io a dover proteggere lui».

#NESSUNODEVEMORIRESOLO
Da ragazza, Fabiana, frequentava un maneggio, montava sempre lo stesso cavallo. «Un giorno arrivo e non c’è più. Mi dissero che siccome era vecchio, l’avevano mandato al macello».
Le domando se il vero inizio di tutto non sia stato quello. Forse, ammette. «Gli animali non si sentono diminuiti dalla disabilità, non fanno confronti. Per loro non esistono passato e futuro, per questo anche l’ultimo quarto d’ora è importante. Dobbiamo guardare alla diversità, alla malattia, alla morte in modo diverso. Anche per gli esseri umani. Una ragazza mi ha scritto: “Ho un tumore all’ultimo stadio, ma quando leggo quello che fate, capisco di dover vivere il momento e sono felice”». Definisce quelle dei cani di progetto Quasi esistenze al microscopio. «C’è chi è felice perché il cane ha fatto il percorso di agility senza errori, io provo lo stesso quando Vinile mi scodinzola impercettibilmente. Impari a vedere cose minuscole alle quali altrimenti non faresti attenzione».

LA MOSCA IN CASA
A un certo punto, aveva aggiunto che, in fondo, quello che conta sono le relazioni, di ogni tipo. «Se hai le risorse emotive, se sai osservare, qualunque cane ti può cambiare la vita».
Eppure, per giorni dopo il nostro incontro, sono stata tormentata da una domanda: «Perché adottare un animale malato? Che ti avvicini e c’è il rischio che ti morda? Che vivrà poco e ci starai male?».
Poi, all’improvviso, mi è tornata, in mente una cosa che mi aveva detto Maria Grazia. «Ho una mosca in casa da questa mattina. Dovrei farla uscire ma, poi, penso: “Fuori fa freddo”. Non sono credente, ma rispetto la vita in tutte le sue forme».
Era quella la risposta.

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