Androritmo contro algoritmo, l’uomo contro la macchina. La vera guerra del nuovo millennio alla fine è questa. Il futurologo Gerd Leonard la semplifica in tecnologia versus umanità, come recita il titolo del suo ultimo libro. Una sfida all’apparenza impari se dovessimo dare credito a come Hollywood ha immaginato gli scenari futuri, mondi distopici in cui le macchine, o i controllori delle macchine, governano tutto. Ma che la tendenza sia quella è innegabile. C’è però quel piccolo particolare del nostro essere umani che alla fine fa la differenza: i sentimenti. Ultimamente tendiamo ad affidare pure quelli alle macchine e alle app: il corteggiamento ha lasciato spazio a uno swap sul sito di incontri, i rapporti tra persone avvengono in multitasking, multichannel e via social, il piacere della scoperta è delegato alla dittatura dei feedback. Ma c’è una relazione che ancora non è stata intaccata ed è quella tra l’uomo e gli animali. E’ vero, dal Tamagochi in avanti sempre di più si è provato a digitalizzare anche i cuccioli. Ma benché vi siano aziende che stiano lavorando alla creazione di cani robot che possano aiutare nell’assistenza agli anziani, la tecnologia non arriverà mai a superare la forza di una relazione diretta basata sull’empatia. E quella tra l’uomo e l’animale è rimasta ancora autentica. 

NON SOLO CROCCHETTE – Leonard ne ha parlato in occasione del «Better with Pets – Purina in Society», l’evento organizzato dalla multinazionale del pet care che lo scorso anno, un po’ sul modello dei millennium goals delle Nazioni Unite, ha stabilito per se stessa dieci obiettivi da raggiungere nei prossimi anni per contribuire ad uno sviluppo sostenibile del proprio business ma anche della società, coinvolgendo aziende partner e istituzioni. E il rapporto uomo-animale è il punto di partenza per questo nuovo modello sociale. Lo scenario domestico ricostruito nella Westminster Central Hall ha permesso, con l’intervento di relatori provenienti da diversi Paesi e portatori di diverse esperienze, di fare un primo punto sui risultati ottenuti. Dei dieci commitments che l’azienda si è data, molti non hanno apparentemente attinenza con la mission aziendale, che poi è la vendita di prodotti. «Questo è vero – sottolinea Marco Travaglia, direttore generale di Purina Sud Europa -. Ma fa parte del nostro dna: migliorare la vita per le comunità e per il pianeta, prestando attenzione anche all’impatto sulla società della nostra attività». L’evento londinese è servito anche per annunciare la nascita, dal prossimo anno, del  Premio Purina Better Together che mette a disposizione 100 mila franchi svizzeri per iniziative in tutta Europa volte a promuovere la crescita sociale attraverso la relazione con gli animali domestici.

POTERE AI CONSUMATORI – Scelta etica, dunque, ma anche il tentativo di andare sempre più incontro ad una mutata filosofia di acquisto e di approccio ai prodotti da parte dei consumatori. «Soprattutto le nuove generazioni – evidenzia ancora Travaglia -. evitano gli acquisti a prescindere, l’azienda che c’è dietro i prodotti e le sue politiche hanno un peso. Chi non si mette in quest’ottica e non si fa promotore del cambiamento finisce per allontanarsi dal proprio pubblico di riferimento». Vale tanto più per chi opera in un campo dove la sensibilità degli acquirenti è più forte e chi condivide l’esistenza con un cane o un gatto è spesso più propenso ad informarsi e ad avere a cuore anche le sorti dell’ambiente. «Purina è parte di un gruppo, Nestlé, che vive molto del rapporto con la Terra – rimarca Travaglia –. Per noi che siamo presenti in 185 Paesi, ognuno con realtà e situazioni diverse, la responsabilità è ovviamente maggiore». In passato Nestlè è stata anche oggetto di campagne di boicottaggio e anche per questo oggi viene data grande importanza alla trasparenza e all’informazione. A partire dal rapporto sui progressi effettuati nei 10 commitments, affidato alla certificazione esterna del Bureau Veritas britannico. 

I 10 COMMITMENTS – Purina si è impegnata a diventare leader nel campo della ricerca sulla salute degli animali, nel garantire informazioni trasparenti, nella progressiva rimozione dei coloranti artificiali dai propri prodotti, nell’affidarsi a fornitori che praticano agricoltura e allevamento responsabile, nella riduzione della quantità di imballaggi. Ci sono poi assunzioni di responsabilità che hanno più a che fare con il rapporto con la comunità e le istituzioni: l’avvio di campagne per la prevenzione dell’obesità negli animali, il sostegno a programmi di adozione di cani e gatti ospiti nei rifugi (in Italia è da tempo avviata una collaborazione con Enpa), la promozione di iniziative rivolte ai giovani per la creazione di «padroni» responsabili, come «A scuola di pet care» che dal 2004 ha coinvolto in Italia circa 900 mila studenti, 70 mila solo nell’ultimo anno. 

AL LAVORO COL PET – E infine il traguardo forse più ambizioso, perché più di tutti richiede un cambiamento generale di mentalità: il progetto «Pets at Work», che prevede l’avvio entro il 2023 di almeno 200 partnership in tutta Europa per favorire la possibilità di aprire ai cani le porte delle aziende in cui lavorano i loro padroni. Non per una giornata promozionale, ma ogni  giorno. Già dieci Paesi hanno aderito all’iniziativa e l’Italia è tra questi. Proprio un testimonial italiano, Germano Calvi, capo della Ricerca e del Data Science del Gruppo Publicis Italia, ha avuto il compito di spiegare al panel di Westminster che andare al lavoro con i propri cani si può. «Non solo è possibile – spiega Calvi –, è pure utile:  consentire ai dipendenti di portare il proprio animale con sé migliora la produttività, allenta le tensioni, crea un ambiente più confortevole per tutti». Non sapranno gestire budget o lavorare a progetti, ma i cani negli uffici portano un grande beneficio. Vanno rispettate delle regole di convivenza, come è ovvio, e prima di essere ammesse al programma è necessario che le coppie «a sei zampe» ottengano un patentino che certifichi la possibilità per l’animale di stare in mezzo agli altri e in un ambiente di lavoro e la capacità del suo proprietario di controllarlo. «Ma alla fine tutti si rendono conto dei vantaggi di questa convivenza – dice ancora Calvi – e anche chi all’inizio era contrario alla fine è diventato tra i più ferventi supporter dell’iniziativa». Un dato confermato anche da Travaglia: «Ovviamente noi siamo stati i primi ad introdurre i cani in azienda. Su 1.200 dipendenti della nostra sede di Assago, sono una quarantina quelli che hanno chiesto il patentino. Attualmente abbiamo cinque cani fissi e altri che vengono periodicamente. E una volta che varcano la soglia non sono più solo dei loro proprietari: diventano i cani di tutti. Non è obbligatorio avere cani per lavorare in Purina. Ma di certo siamo tutti pet maniacs».

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