«Forse meglio non scrivere l’età». Era poco più di un bambino. «Accompagnavo papà per imparare. Rompevo, rompevo talmente tanto che un giorno mi ha lasciato guidare. E quando provi non smetti più». Simone Bertalotto ha 35 anni e il diploma di terza media perché in prima superiore aveva già capito: gattista come il padre, gattista subito e per tutta la vita. Per qualche inverno ha lavorato alle seggiovie; a vent’anni gli hanno affidato una «macchina». Gli autisti lo chiamano così, il gatto delle nevi. Senza chiedersi il perché di quel nome felino. Senza sentire la stanchezza, soltanto la nostalgia: «Quella che ti prende quando chiudono gli impianti». Dopo quattro mesi esatti, domenica scorsa è successo. Dall’8 dicembre all’8 aprile si era ripetuto lo stesso rito: ogni notte, ogni inverno, 30 gatti «miagolano» sulle montagne olimpiche per permettere ai turisti di divertirsi l’indomani. 

Si sentono in lontananza gli allarmi, si vedono i fari squarciare il buio. Dalle 17 alle 20, dalle 21 all’una passata quando il cielo è clemente; oppure dalle tre all’alba quando infuria la tormenta. Si può recuperare il sonno al mattino, ma Bertalotto punta la sveglia comunque. «Quasi tutte le mattine, verso le 9, mi metto gli sci. Che soddisfazione vedere la gente contenta. Mi piace confrontarmi con gli sciatori. Questo mestiere cambia se lo guardi con i loro occhi». 

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Gli occhi di Simone controllano la rotta, il joystick e la leva con i comandi, i movimenti dei colleghi. A Sestriere sono in otto a girare, la sera. Ognuno ha le sue piste. Bertalotto quella della libera, la Kandahar Nasi. Poi la 8 e la 9. Per anni si è occupato del Motta, uno dei muri più ripidi del comprensorio. «Paura? Una volta, lassù, sì. C’era bufera, ho sbagliato strada, mi sono perso. Ho rischiato di ribaltarmi». La nebbia è un pericolo soprattutto di giorno: a Sauze lo scorso inverno un collega è finito in un laghetto. Salvo per miracolo. L’altro pericolo è che il gatto «scappi» in discesa. Quello di Simone, il più moderno della Vialattea («che orgoglio!»), pesa 115 quintali. Viaggia tra gli 8 e i 14 km/h, costa 400 mila euro, ha il motore di un camion e un serbatoio da 260 litri. Servono due pieni e mezzo per turno. «Ogni notte percorriamo circa 60 km. Avanti e indietro, avanti e indietro. Spesso troviamo tramonti e paesaggi spettacolari. Li ho già visti mille volte». Pausa: dalla cresta di Banchetta si volta verso il paese illuminato. «Non mi stuferò mai». 

Alle 22 c’è traffico in cima alla Nube. Mezzi che s’incrociano, una volpe che zampetta. «Le odio – scherza Simone – come le motoslitte dei rifugi e gli scialpinisti. Odio tutti quelli che con le loro tracce rovinano le mie passate». Funziona così: «Lo sciatore porta la neve giù. Noi dobbiamo ridistribuirla in modo uniforme. Quando ce n’è poca è vietato sbagliare, non puoi sporcarla». Gli «artigli» del gatto affondano di circa 30 cm, si rischia di graffiare la terra. «Quando ce n’è tanta bisogna pestarla per far uscire l’aria, cingolarla e lasciarla compattare. Se non ci sono particolari problemi invece basta passare una volta: la lama anteriore sposta la neve, la fresa posteriore lascia quelle righe che fanno godere gli sciatori. La battitura si vede e si sente con i piedi: c’è un lavoro pazzesco nel ”dietro le quinte” di una ski area. Ognuno fa la sua parte, ma la nostra è fondamentale». 

Alle 23 il computer di bordo indica 1 grado, quota 2700 metri. «Adesso sembra tutto perfetto, ma fa caldo, domani ci sarà qualche pallina. Quando invece le temperature crollano, se la neve era molle diventa vetro. Si possono formare dei gradini». Non c’entra solo il gattista, il manto viene modellato anche dal freddo della notte. Si dice «tirare»: «La neve deve “tirare” il più possibile. Per questo lavoriamo di sera. Se non si può, perché nevica, siamo costretti a uscire al mattino. Ma la neve allora non ha tempo di tirare e in alcuni punti resta smossa». Subito qualcuno si lamenta su Facebook. «Le critiche costruttive mi interessano. Ma perché dire che le piste non sono battute? Io sono qui fuori tutte le notti». 

Bertalotto ha passato solo un Natale a casa: «Nel 2010, ero infortunato». Controlla il meteo 15 volte al giorno, a maggio gli capita di alzarsi di colpo alle tre: si veste di corsa, come se fosse in ritardo. E torna a dormire. Durante la bella stagione si occupa delle manutenzioni, ha orari normali. Ma con gli amici parla sempre della “macchina”. «È una malattia: a volte il gatto ti manca pure nel giorno di riposo». Uno alla settimana. Se nevica si salta, c’è bisogno di tutti. Tempo libero? «Mai. Però mi sveglio contento: faccio il mestiere che sognavo da bambino». 

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