RENDE – Che nessuno si lasci trarre in inganno dalle dimensioni “ridotte” di questo antico animale. Perché in fatto di ferocia e voracità ha ben poco da invidiare ai suoi più massicci e più noti compagni della sua epoca. Il Coelophysis, piccolo dinosauro carnivoro del Triassico (circa 215 milioni di anni fa) arriva all’Università della Calabria, in occasione della Settimana del Pianeta Terra, manifestazione nazionale che, dal 18 al 25 ottobre, con una serie di eventi, farà conoscere agli italiani il complesso e affascinante mondo delle Geoscienze. (LEGGI LA NOTIZIA).

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Il Museo di Paleontologia dell’Unical, per l’occasione, ha pensato di arricchire la sua già vasta collezione con l’installazione di uno scheletro di Coelophysis, un calco realizzato sulla base degli scheletri ritrovati in centinaia e ammassati uno sull’altro nel 1947 negli Usa, in una proprietà conosciuta come “Ghost Ranch”, nel New Messico. Il nome di questo rettile, ci spiega la dottoressa Anna Rao, curatrice del Museo, significa “forma cava” in riferimento alle sue ossa cave che, insieme agli arti lunghi e snelli, lo rendevano un formidabile corridore. Le dimensioni, come dicevamo, non erano tali da incutere timore (lungo fino a 3 metri, alto in media poco più di un metro e con un peso che andava dai 15 ai 30 kg), ma mai fidarsi delle apparenze. Il Coelophysis era voracissimo e, dotato di piccoli denti ricurvi e aguzzi, con i bordi seghettati, era un feroce cacciatore, in grado di catturare una vasta gamma di piccoli animali, compresi pesci e insetti.

Lo scheletro di Coelophysis è stato già sistemato (ma sarà visibile al pubblico solo da lunedì prossimo) in quella che sarà la sua collocazione definitiva, la Sala dei Rettili, fiore all’occhiello della struttura museale, che contiene quelle che sono considerate dai visitatori le maggiori attrazioni. Un tuffo nel Mesozoico in cui si può ammirare lo scheletro dell’enorme (ma erbivoro) Ouranosaurus, del rettile volante Anhanguera («particolarmente amato dai bambini» ci dice la dottoressa Rao), l’uovo originale di un Adrosauro, un calco del famoso “Ciro” (Scipionyx samniticus), primo dinosauro italiano e unico al mondo fossilizzato con gli organi interni; per finire col calco di un cranio di Tirannosaurus Rex, mostrato per la prima volta lo scorso anno in occasione della Notte dei Ricercatori e, da allora, grande catalizzatore di attenzioni e fantasie di chiunque visiti il Museo.

Ma la Sala dei Rettili è solo una tappa intermedia dell’affascinante percorso che è possibile seguire nel Museo di Paleontologia. Un percorso organizzato in ordine cronologico, ben identificato da colori che individuano in modo preciso l’era geologica, raccontato attraverso preziosissimi reperti (provenienti da diverse parti del mondo, dal Marocco agli Usa) e pannelli esplicativi che ne contestualizzano l’ambiente e la posizione nel tempo. Quattro sale, in cui il visitatore può ripercorrere le tappe fondamentali dell’evoluzione della Terra, a partire dalle prime testimonianze di vita, “le stromatoliti”, prodotte da microrganismi circa tre miliardi e mezzo di anni fa, agli invertebrati primitivi che popolavano i mari nel Paleozoico, l’evoluzione dei pesci e la conquista della terraferma da parte degli anfibi e dei rettili. Nella seconda sala, l’esposizione di un esemplare di Archaeopteryx, che rappresenta l’anello di congiunzione tra i rettili e gli uccelli, segna il passaggio nella Sala dei Rettili da cui si raggiunge l’ultima sala, dove è la Calabria a essere protagonista.

Nell’ambiente dedicato al Cenozoico (da 64 a 1,8 milioni di anni fa, periodo in cui comparvero i mammiferi, i primi ominidi e per finire l’homo sapiens) sono esposti tutti i reperti rinvenuti dai ricercatori Unical nel sito paleontologico di Cessaniti, in provincia di Vibo. La località fossilifera è situata in località Brunia, dove affiorano sabbie marine risalenti a circa 10 milioni di anni fa (Miocene superiore), sfruttate industrialmente in alcune grandi cave («motivo per il quale forse – spiega la dottoressa Rao – non è stato ancora possibile mettere il sito sotto tutela, nonostante i diversi tentativi»). L’importanza scientifica dell’area è stata riconosciuta fin dall’800 ed è legata alla grande quantità di fossili rinvenuti, tra cui numerosi invertebrati marini (segno che l’area all’epoca era coperta dalle acque), ma anche i resti di numerosi vertebrati marini e continentali, che hanno permesso di ricostruire l’ambiente marino-costiero di tutta l’area. Tra i reperti custoditi all’Unical spiccano gli elementi scheletrici di un Metaxytherium Serresii, un mammifero marino imparentato con gli elefanti, e i molari di un mastodontico Stegotetrabelodon, il progenitore miocenico dell’attuale elefante africano.

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