A cinque anni di distanza, la Corte d’Appello di Torino conferma la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Alba (Cuneo) a carico di un uomo, di nazionalità cinese, condannato a 5 mesi di reclusione e 100 € di multa per il reato di maltrattamento di animali “perché mediante un impianto rudimentale non autorizzato e privo di adeguate condizioni igieniche, cagionava la morte di numerose anatre, con crudeltà e senza necessità, per produrre paté d’anatra da immettere in commercio”.

Oltre al maltrattamento, altro capo di imputazione la sottrazione o distruzione di “cosa” sottoposta a sequestro (ex art 334 cp), questo perché l’imputato anche dopo il sequestro delle anatre date in custodia giudiziaria a lui stesso, continuava a ucciderle…

Nell’aprile del 2011, infatti, le Forze dell’Ordine incaricate del sequestro dell’improvvisato impianto di macellazione situato nel comune di Monteu Roero (Cuneo), trovarono 33 anatre morte, e 23 ancora vive, successivamente sottratte dallo stesso Z.H., cui erano state affidate.

Secondo noi si tratta di “una condanna rilevante perché, non unica nel suo genere, evidenzia il fatto che la destinazione finale, al consumo alimentare, delle anatre, può ugualmente integrare il reato di maltrattamento di animali, qualora la macellazione venga praticata in violazione delle specifiche norme”.

Le anatre, infatti, avrebbero dovuto essere soppresse secondo quanto dispone il Decreto legislativo n. 333/98 in vigore all’epoca dei fatti, in tema di macellazione di animali, che specifica le modalità con cui la macellazione e l’abbattimento devono essere condotti “in modo tale da risparmiare agli animali eccitazioni, dolori e sofferenze evitabili”.

Le operazioni, inoltre, devono essere svolte solo da persone in possesso della preparazione teorica e pratica necessaria a svolgere tali attività “in modo umanitario ed efficace”. Questi sono i limiti invalicabili che l’uccisione di animali a scopo alimentare deve osservare, limiti che, sulla base delle carte processuali, sono stati platealmente violati dall’imputato e che noi, parte civile, abbiamo invocato.

“La sentenza di secondo grado conferma un principio che va sempre più consolidandosi in giurisprudenza, ovvero, che anche gli animali allevati per fini commerciali e destinati a essere uccisi, non possono essere gestiti come oggetti, ma vanno trattati da esseri senzienti, da tutelare nella propria specifica etologia, pena l’integrazione del delitto di maltrattamento – commenta la LAV – si tratta di una conquista che si sta estendendo ad ambiti diversi, non solo l’allevamento a fini alimentari ma anche, ad esempio, la sperimentazione, segno che questo principio va gradualmente assumendo portata universale”.

“Questa pronuncia ci offre l’opportunità per una ulteriore considerazione, per noi sempre valida  – conclude l’Associazione – ovvero che la sofferenza degli animali è intrinseca a ogni forma di sistema alimentare che implichi la loro uccisione, motivo per cui ci auguriamo che, anche grazie alle nostre battaglie, sempre più persone aprano gli occhi e scelgano consapevolmente un’alimentazione vegetale, che azzera le sofferenze animali e rappresenta inoltre un valore aggiunto per la salute e l’ambiente (www.cambiamenu.it)”.

Ringraziamo l’avvocato Francesca Quaranta del foro di Cuneo per l’assistenza legale prestata.

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