Sono arrivati silenziosi e silenziosamente se ne vanno, gli angeli delle macerie. Oltre ai coraggiosi e instancabili vigili del fuoco, tra Amatrice e Arquata del Tronto c’erano anche loro, quelli del Soccorso alpino e speleo, 180 volontari nel vero senso della parola, cioè lo fanno gratis, per l’onore di partecipare, gente che mercoledì ha preso il caschetto o il proprio cane ed è partita. Cinquanta cani sono arrivati un po’ dappertutto. Cani da valanga, da macerie, da ricerche nei boschi.  

Al Soccorso alpino, che si chiama così perché è un’articolazione del Club alpino italiano, li chiamano «unità cinofile». E normalmente non diresti che il tizio e il suo cane sono una squadra speciale che salva la vita della gente perché nella vita fanno tutt’altro. Il padrone fa il suo lavoro. Il cane fa il cane. Ma se c’è una catastrofe, allora si trasformano. Il volontario, che già di suo dev’essere un forte alpinista, partecipa a lunghi corsi con l’animale. E alla fine, se tutto va bene, arriva un brevetto per entrambi.  

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La prima squadra del Soccorso alpino in verità è partita dall’Appennino. Dalla stazione di Rieti. Novanta minuti dopo la prima scossa erano già ad Amatrice. Sono stati loro a informare la centrale che avevano davanti agli occhi una tragedia immensa e di mobilitare tutti gli altri. Qualche ora dopo arrivavano con gli elicotteri – dal Veneto e dalla Lombardia con l’elicottero del 118, altrove con passaggi organizzati in fretta e furia dalla polizia o dalla Guardia di Finanza – da più regioni. Dal Piemonte, per dire, sono partiti in venti. 

Con loro, davanti a loro, c’erano Flash, Dick, Konan, Grinta, Vacor e Vacos, i cani bellunesi, che per ore hanno fiutato le tracce della vita che resiste e della morte che cala inesorabile. Oppure i due cani della Lombardia. Cani maturi e giovani. C’era anche un labrador di un anno e 6 mesi, color cioccolata, il più giovane del gruppo, che è si è fatto notare.  

Un lavoro faticoso e snervante. Ha raccontato Alessandro Darman, volontario del Soccorso alpino di Rocca Pietore (Belluno), che il suo Flash, un pastore belga malinois di 6 anni, in tre giorni purtroppo ha fiutato solo morte.  

Complessivamente, però, hanno fatto miracoli. Il bilancio di tre giorni trascorsi tra le macerie – ormai è conclusa ufficialmente la fase della prima emergenza, quando non c’è più nessuno che può essere sopravissuto – è che i pochi del Soccorso alpino ne hanno trovati e salvati tanti: 55 i feriti gravi portati in ospedale, 62 quelli estratti già deceduti. 

Una percentuale che fa onore alla loro velocità, coraggio, e forza. In più di un caso i feriti li hanno evacuati sulle barelle che si usano per recuperare i rocciatori, quelle che venivano issate con l’elicottero del 118. Non c’era altro modo, date le strade strette e spesso impraticabili. Ed è una loro specialità, l’elisoccorso. Dice infatti con un pizzico di polemica il presidente laziale del Cai, Franco Desideri: «Ho visto mezzi enormi, tir, ruspe, che sono dovuti tornare indietro perchè non c’entravano, anche intralciando i soccorsi».  

Il terzo giorno, poi, visto che erano arrivati tanti altri, uomini e cani del Soccorso alpino sono saliti su tre elicotteri della Forestale e li hanno portati per frazioni in quota. Là dove non riuscivano ad arrivare le macchine. «In 32 frazioni abbiamo trovato 60 nuclei familiari che non hanno mollato perché hanno gli animali. Lì le tende sono state portate a domicilio». Nella microscopica San Lorenzo A Pinaco hanno recuperato un sessantenne in stato confusionale. È stato l’ultimo sforzo. Per i soccorritori alpini e i loro cani, la missione è finita. Spazio alle ruspe, ora.  

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