Cani e umani: la “normale bellezza” della convivenza tra specie a Taghazout

Clara Caspani e Lorenzo Niccolini raccontano il loro progetto “Stray Dgs International”: educatori cinofili, veterinari e ricercatori universitari insieme per il monitoraggio del territorio

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Taghazout (Marocco) – Il vento di Taghazout porta alle narici l’odore delle spezie. Solleva la sabbia bianca e la terra rossa, trascina via il sale che si alza dalle onde cavalcate dai surfisti. Nel paesino del sud del Marocco, a 30 chilometri da Agadir, l’abbaio dei cani è lieve, fa da sottofondo anche alla voce dell’imàm che chiama alla preghiera.

Tra le duemila anime che popolano questo angolo di mondo, si muove un gruppo di italiani insieme a un branco di cani. Quell’andare a sei zampe è uno stare insieme leggero e coordinato: senza regole, accordi e senza ingaggio se non quello nato da un incontro di sguardi spesso inconsapevole ma, allo stesso tempo, immediatamente complice. Un camminare arrampicandosi sulla collina, riscendendo verso il centro del paese per poi correre spensierati lungo spiagge bianche scartando turisti e locali, cammelli e gatti al sole.

A Taghazout cani e umani scelgono se stare insieme, semplicemente. O convivono indifferenti l’uno all’altro in una dimensione di reciproca tolleranza. E in questa terra del Sud del mondo si scopre l’essenza di un rapporto che richiama alla mente la nascita stessa della civiltà, diventando il luogo ideale per comprendere il rapporto tra le specie e osservare i cani randagi in libertà.

La scoperta di questo avamposto è come quella dell’America per il mondo della cinofilia, dell’etologia e della veterinaria. E gli “esploratori” che hanno aperto la “via del Marocco” si chiamano Clara Caspani e Lorenzo Niccolini, due educatori cinofili che hanno fondato “Stray Dogs International Project ”, un progetto di monitoraggio e gestione dei cani presenti sul territorio e che dopo quattro anni di viaggi in solitaria hanno aperto l’esperienza ad altri, attraverso quelle che hanno chiamato le “working holidays”.

Mappa: dove si trova Taghazout

Clara: dai cani italiani ai cani del mondo

Clara ha gli occhi grandi che sorridono. Il suo sguardo da solo basterebbe a raccontare tutta la vita che ha incontrato attraverso i suoi viaggi in camper in giro per il Marocco, tutte le code che si sono mosse a vento andandole incontro e anche tutta la terribile bellezza di una natura che determina la vita e la morte indipendentemente dalle scelte degli esseri umani. «Dopo aver studiato per diventare educatrice cinofila, la cosa che mi piaceva di più fare era osservare i cani allo stato libero – racconta la trentaseienne comasca – e viaggiando con il camper mi sono ritrovata in posti sempre più desolati dove la presenza dei cani era numerosa. Non mi piaceva fare consulenze ai privati e così ho deciso di associare il percorso di vita a quello di studio».

Clara Caspani e Lorenzo Niccolini

E la sua scelta ha portato alla nascita di “S tray dogs International project”: «Un’esperienza, in origine, condivisa solo tra un gruppo di amici». Un primo viaggio trasformato poi in un caso di studio che adesso ha attirato l’attenzione anche dei ricercatori dell’Università di Vienna. «Un giorno ho detto ai miei compagni di corso: “Venite con me, vi faccio vedere questo posto e mi dite che cosa ne pensate”. Ci siamo ritrovati qui felici come bambini, circondati da questi cani che ti fanno vedere il mondo da un’altra prospettiva. L’idea era di realizzare un documentario, poi abbiamo inziato a conoscere le varie realtà sul territorio e incontrato un’associazione locale con cui è partito il lavoro di gestione dei randagi».

|Cani e umani al sole del Marocco: la fotogallery|

Dopo quattro anni di osservazione, con l’utilizzo di metodi e strumenti alternativi da associare al fondamentale lavoro di sterilizzazione e reimmissione sul territorio, il gruppo di lavoro è diventato più solido e ha coinvolto sempre più categorie di esperti: educatori, etologi, ricercatori universitari, biologi e veterinari che svolgono attività a Taghazout legate al rapporto di convivenza tra cani e umani, all’ambiente e alle risorse.

Cani sulla spiaggia di Taghazout

Lorenzo, Chonik e quei rapporti “a intermittenza”

«Clara un giorno mi ha regalato un biglietto e mi ha fatto arrivare qui. Ho lavorato nei canili, con i clienti a livello privato, collaboro con scuole di cinofilia e Taghazout poi è diventato il luogo in cui ho imparato a osservare senza giudizio». Lorenzo Niccolini, bolognese di 35 anni, si passa spesso le mani sul viso quando parla dei cani del Marocco, quasi che accarezzandosi la barba possa risentire il contatto con quegli amici che da anni lo incontrano, lo aspettano e poi lo salutano senza nostalgia ogni volta che se ne va, forse consapevoli che prima o poi lo rivedranno tornare con il suo binocolo appeso al collo per cercarli tra le rocce a picco sul mare e le collinette di sabbia e terra nella piazzetta del paese.

Chonik e Lorenzo

«L’interazione che si crea con i cani marocchini dà vita a un rapporto unico perché non legato al concetto di proprietà. A Taghazout ho imparato la cosa più importante di un’esperienza di relazione tra specie diverse che mi è servita anche nella vita quotidiana: considerare un individuo libero in quanto tale». Lo stare insieme, il condividere la stessa strada senza avere altro in comune che quel “qui e ora” che i cani ad ogni latitudine insegnano, in Marocco diventa un’epifania: «Riuscire ad agganciare uno di loro o, anzi, farsi portare dietro: ecco la meraviglia di questo posto. Spesso siamo proprio noi a seguire loro e non loro noi. Se vivi il paese, in cui ci sono meno di duemila abitanti e un centinaio di cani, non puoi non battere lo stesso terreno e fermarti dove si soffermano loro. E passandoci del tempo crei il legame. Una dimensione completamente diversa da quella che si vive col nostro cane in città. Il rapporto qui è a intermittenza: si sta insieme, poi l’umano rientra in casa e l’interazione viene chiusa. Per poi, però, aprirsi in un altro posto dove tutto ricomincia».

Tonto “di spalle”, Chonik a destra e sullo sfondo Lorenzo che li riprende

Quando Lorenzo gira in paese i cani sembrano chiamarsi l’un l’altro per avvisare che un loro caro amico è tornato e c’è da festeggiarlo tutti insieme. Due, in particolare, sono suoi fedeli compagni di passeggiata e, forse, lo osservano come lui fa con loro, con quella curiosità che accomuna umani e cani. «Chonik e Tonto, come molti altri, li ho visti crescere. Il primo è il “saggio” del paese, il secondo praticamente ha appreso tutto da lui e da adolescente era un tipetto molto vispo e poco furbo, da questo il suo nome. Chonik poi è un buon esempio di come stia cambiando il rapporto di convivenza tra marocchini e cani da quando abbiamo iniziato a lavorare sul territorio: ha ottenuto addirittura “cittadinanza” dai locali, tanto da avere diritto anche a un nome in arabo. Lo chiamano “Wazir”, che significa “presidente” in arabo. Ovviamente, come sottolineano loro, è il “primo ministro” sì, ma dei cani».

I musulmani, Allah e i cani. Perché Taghazout è il luogo perfetto per la convivenza tra le specie

“Il Messaggero di Allah disse: ‘Ad un uomo venne una gran sete mentre era in strada. Trovò un pozzo, vi scese e bevve, e quindi ne uscì. Ed ecco che c’era un cane, la lingua penzoloni, che mordeva la terra per la sete. L’uomo disse: ‘Questo cane è arrivato allo stesso punto cui ero arrivato io per la gran sete’, e scese nel pozzo, si riempì le scarpe di acqua, le tenne con la bocca finché si fu arrampicato ed abbeverò il cane. Allah gli rese grazie, e lo perdonò’. Chiesero: ‘Messaggero di Allah! C’è dunque ricompensa per noi anche in riferimento agli animali?’. Rispose: ‘C’è una ricompensa in riferimento ad ogni essere vivente’”.

Questo Hadīth, ovvero un racconto sulla vita di Maometto, rende bene l’idea di quale sia il rapporto tra i circa duemila esseri umani di Taghazout e i cento cani che con loro condividono il piccolo paese marocchino. In realtà, è come una fotografia del pensiero della comunità araba in generale che ancora oggi dibatte sulla natura del migliore amico dell’uomo. L’interpretazione più comune è che si tratti di un essere “impuro”, definizione che però nasce da precetti religiosi che avevano in realtà motivazioni di ordine sanitario. Prima dell’avvento dell’Islam si attribuiva alla saliva dei cani addirittura un potere curativo con la conseguente trasmissione di malattie in una completa e costante mancanza di igiene. All’alba del 2018, tutto questo si traduce in realtà in uno stato di costante tolleranza tra le due specie.

La spiaggia di Taghazout: persone che camminano, cani che corrono e cammelli che si riposano

«In questo paese i cani convivono con le persone: vai a mangiare il pesce e ci sono magari un paio di loro che non si avvicinano ma non vengono nemmeno allontanati – spiega Clara Caspani – Noi non vogliamo cambiare il modo di percepire i cani da parte delle persone che abitano qui, ma semplicemente riuscire a migliorare la vita di entrambe le specie sul territorio, soprattutto se e quando la presenza degli animali diventa problematica, come ad esempio quando ce ne sono troppi o se fanno qualcosa che non va bene: ciò rende le persone intolleranti e potrebbe essere un rischio per altri cani».

«La comunità araba vede il cane un po’ come noi “viviamo” il piccione – le fa eco Lorenzo Niccolini – Fa parte delle nostre città ma non lo guardiamo, spesso lo scacciamo ma non gli facciamo del male. Così però i musulmani riescono a mantenere un grande equilibrio con i cani: non ci sono situazioni di conflitto e, soprattutto, la comunicazione è chiara. Non fanno come facciamo noi che umaniziamo il cane e quest’ultimo, in Marocco, sa bene cosa aspettarsi da un individuo».

Il lavoro svolto sul territorio da parte del team di Stray Dogs International è una complessa operazione culturale che ha portato a dei miglioramenti nella società civile che provengono dal lavoro fatto sui cani e che ha, appunto, riflessi però sulla vita quotidiana della piccola comunità di Taghazout. «I cambiamenti si sono visti grazie anche al nostro approccio e al nostro supporto sia per quel che riguarda il rapporto tra cani e umani che per l’aspetto organizzativo dello stesso paese. Si fa raccolta differenziata, si è capito che la presenza di cani in pianta stabile limita il numero degli stessi. C’è un simbolo che spiega bene questa evoluzione: l’orecchino post sterilizzazione che “portano” i cani. Rappresenta la loro “pulizia”, dunque favorisce la vicinanza tra le specie. Si è eliminata la barriera di diffidenza legata alle malattie e così un animale, per chi vive qui, può anche stare a stretto contatto con le persone. Non li fanno entrare in casa, certo, ma li tollerano ancora di più e quando possono ci tengono a farci vedere anche che li accarezzano senza paura e che li accolgono con piacere».

Clara e Lorenzo durante l’osservazione in spiaggia

E il progetto Stray Dogs International ha portato anche all’arrivo di nuove presenze in paese, che si sono uniti al flusso dei surfisti che abbondano sulle spiagge di Taghazout. «Deve essere chiaro però – sottolinea Clara Caspani – che questo non è un “villaggio turistico per cinofili”. Abbiamo aperto il progetto a dei tirocini, per mostrare a livello di studio e di gestione cosa stiamo facendo e per finanziare il progetto. Con le working holydays portiamo qui gente selezionata e riusciamo ad andare avanti nello studio. C’è un lavoro costante di monitoraggio e le nostre settimane di condivisione con esterni al gruppo originario sono appunto aperte a appassionati e esperti del settore con un focus però sempre improntato al rispetto del luogo, degli umani e, ovviamente, dei cani».

Working holydays, come un gruppo di persone contribuisce al monitoraggio e alla ricerca

E’ stato un percorso lungo quello che ha portato Clara e Lorenzo a mostrare al mondo la realtà di Taghazout. «Abbiamo tenuto tutto nascosto, anche sui social, e non abbiamo mai fatto trapelare nulla – spiega l’educatrice cinofila – Volevamo un progetto ben avviato per farlo conoscere a tutti nella maniera giusta, non facendo arrivare educatori o persone in generale in numero spropositato o comunque non consapevoli di quello che avrebbero fatto durante il loro soggiorno».

Alcune partecipanti dell’ultima “working holyday” organizzata da Stray Dogs International

A novembre 2017, così, è partito il primo gruppo per il Marocco. A gennaio 2018 ne sono arrivati altri due. Dodici persone alla volta che collaborano attivamente al progetto con attività di censimento, sverminazione, ricerca dei branchi e identificazione dei cani, osservazione delle cucciolate e verifica delle risorse. «Con le working holydays abbiamo impostato la cosa in modo che si avesse la possibilità di andare in un contesto dove la base è quella legata allo studio, seguire i cani presenti e le persone – spiega Lorenzo Niccolini – Vorremmo che chi partecipa riuscisse a vivere un’esperienza vera e propria senza la quale alcune cose non si possono capire. Non si può entrare nella mentalità della gente e dei cani se non si vive con loro. Il rapporto con le persone locali, poi, è fondamentale. Abbiamo notato che nei marocchini c’è tanto rispetto dell’altro, di ciò che non conoscono. E loro i cani li vivono come parte dell’ambiente: non gli danno un’individualità come quella che gli diamo noi e solo venendo e osservando, senza giudizio, si può capire».

Il prossimo appuntamento è per il 26 febbraio. Nel piccolo paese si vedrà di nuovo un branco di cani e umani girovagare per le stradine diroccate, superare i cantieri che sorgono all’improvviso e che negli anni – con l’avvento del turismo – stanno cambiando la conformazione di Taghazout. Tra cunette di sabbia nella piazza principale, vicoli che scendono verso il mare, discariche a cielo aperto e ristorantini sempre più in stile occidentale, la vita comune di persone unite dallo stesso amore per i cani diventa parte integrante di un tempo che nella cittadina marocchina sembra scorrere con un ritmo che nulla ha che fare con il mondo frenetico che ognuno si porta dietro ma che puntualmente, poi, viene abbandonato in albergo, accanto alle valigie.

Il cane “Umberto” prende il vermifugo

«Non è solo l’esperto di cinofilia che può trovare ispirazione da un’esperienza come questa – spiega Lorenzo – Anche un “proprietario medio”, grazie all’insieme di attività di svago e di studio che abbiamo organizzato durante la settimana, può scoprire questo mondo. Noi non insegniamo nulla, offriamo solo la possibilità di osservare e eliminare la parte interpretativa di ciò che viviamo con i nostri cani. Imparare a guardare, senza preconcetti, è la chiave per poter capire le cose. E questa terra consente di farlo».

Clara mette in luce anche un altro aspetto: «Un proprietario vive il cane in città, nella sua sfera personale. Quando arrivi qui invece sei sempre in giro con cani che non sono tuoi, in un ambiente in cui nessuno ti dice nulla su di loro e su come vi muovete insieme. Così ti senti libero di passare del tempo in compagnia un “amico”, spesso più di uno, senza un guinzaglio, senza doverlo chiamare, trattenere, senza stress per se stessi e per l’altro: in piena libertà. Ed ecco che così si impara tanto anche sul modo di gestire il proprio cane, una volta tornati a casa».

Stray Dogs International, l’associazione locale e l’interesse internazionale

Partire dall’Italia e compiere un percorso che è diventato un caso di studio internazionale è un merito che Clara e Lorenzo ancora forse non si rendono conto di avere. La loro attitudine è quella di una passione che ha nelle sue corde una grande competenza e una forte professionalità, combinazione rara che può sussistere, del resto, solo se si è sufficientemente modesti.

L’ingresso del canile di Agadir. E’ un luogo di passaggio: i cani vengono poi inseriti di nuovo sul territorio dopo la sterilizzazione

«Il nostro lavoro è anche e soprattutto basato su una collaborazione con l’associazione locale “Le cour sur la patte ” che ha dato vita al primo progetto di controllo del randagismo in Marocco, iniziato proprio a Taghazout e ora esteso anche a Agadir. Il lavoro svolto dalla fondatrice, Michèle Augsburger, è diventato un progetto pilota da replicare in altre città del Marocco. Noi non siamo presenti sempre sul territorio ma quando veniamo qui studiamo i cambiamenti e facciamo relazioni all’associazione per aiutarli nel comprendere quali sono le problematiche da risolvere. Il focus dell’associazione è sterilizzare e rimettere sul territorio».

L’ingresso della sede dell’associazione

E in quattro anni, seppur tenendo il progetto nascosto, la voce sul lavoro del team di Stray Dogs International è arrivata fino all’università di Vienna. «Ci ha contattato qualche anno fa una ricercatrice interessata al contesto unico su cui stiamo lavorando. Dopo un incontro a Milano ci hanno chiesto di poter inizare ricerche su un territorio in cui i cani liberi vivono in serenità con gli umani. Siamo stati onorati e contenti di aprirci a loro e, proprio perché è una collaborazione, riusciamo così ad avere delle informazioni importanti, soprattutto perché loro hanno mezzi e competenze scientifiche e rimangano a Taghazout per sei mesi all’anno. Grazie al loro contributo usciranno a breve pubblicazioni internazionali sulla comunicazione tra cani, le dinamiche relazionali tra di loro e nei confronti degli umani».

« Non c’è essere che si muova sulla terra o uccello che voli con le sue ali, che non appartenga ad una comunità» (Surah VI, v. 38)

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