Nell’area di Taghazout, un paese del Sud del Marocco in cui è possibile “toccare con mano” la perfetta convivenza tra cani e umani, come raccontato in un reportage pubblicato su Il Secolo XIX e su LaZampa nel febbraio del 2018, sono stati abbattuti lo scorso weekend almeno una trentina di randagi su decisione degli enti locali. 

Una petizione online, rivolta al Ministro degli Interni e al Capo del Governo, è stata lanciata per fermare la decisione di procedere allo sterminio che sta avvenendo anche ad Agadir, località molto nota per il turismo in Marocco. Secondo alcune fonti locali, come l’Huffinghton Post versione marocchina, il motivo sarebbe il “passaggio” di una delegazione della Fifa nella zona per un’eventuale candidatura del paese ai Mondiali del 2026 e la continua urbanizzazione dell’area che sempre più meta di turisti con la costruzione di resort e alberghi. 

Non è purtroppo la prima volta che succede, nonostante il lavoro svolto sul campo dall’associazione Le coeur sur la patte che, proprio nella zona d’interesse, ha ampiamente dimostrato che le attività di sterilizzazione e castrazione degli animali non solo hanno ridotto l’impatto del randagismo sul territorio ma hanno migliorato le condizioni di vita anche delle comunità locali che vi abitano. L’associazione ha del resto una convenzione proprio con le istituzioni, firmata nel novembre del 2016, che ha permesso di lanciare un programma di sterilizzazione e vaccinazione per lottare contro la rabbia e ridurre la popolazione di cani randagi in maniera consapevole e senza alcuna violenza. Da allora è vietato uccidere cani “etichettati”, ovvero con una sorta di orecchino che rappresenta appunto l’avvenuta sterilizzazione o castrazione. Dalla firma della convenzione un migliaio di cani sono stati catturati, sterilizzati, vaccinati, “taggati” e immessi di nuovo nel loro sito di appartenenza. Il costo totale dell’operazione, ancora in corso, è di circa 130mila euro e un’azione come quella denunciata sui media locali e sui social network da diverse persone che hanno assistito a quanto accaduto negli ultimi giorni è un danno di immagine notevole per il Marocco oltre che uno scempio 

Nel weekend del 7-8 aprile scorso, persone armate di fucili, incaricate di compiere il massacro di cani, hanno proceduto a un abbattimento indiscriminato, uccidendo e ferendo anche cani già sterilizzati e castrati. Tutto è avvenuto per le strade di paesi pieni di turisti spaventati per quanto stava accadendo. Questi “cacciatori” improvvisati hanno aperto il fuoco creando panico non solo nella già nota Agadir ma anche in aree come Aourir e Taghazout che si stanno aprendo al turismo e stanno diventando mete di interesse internazionale. 

A Taghazout, in particolare, proprio l’intervento dei turisti e di molte persone che vivono lì e hanno un rapporto di affezione con i randagi ha permesso di salvarne alcuni tra le urla e i latrati che hanno svegliato un intero paese e macchiato di sangue le strade del paesino dalla piazza centrale fino ai vicoli che scendono verso il mare. 

Il governo marocchino negli ultimi anni ha mostrato una sensibilità notevole sul tema del randagismo, a tal punto da diventare un esempio a livello internazionale della capacità da parte delle istituzioni di saper dialogare con chi opera direttamente sul territorio e porta avanti una campagna costante di monitoraggio dei cani nelle aree coinvolte. Taghazout, in particolare, è il fiore all’occhiello della lungimiranza fino ad oggi applicata dagli amministratori locali: dimostra chiaramente che il lavoro combinato di alcuni educatori cinofili italiani, dei ricercatori dell’Università di Vienna e dei volontari dell’associazione è un progetto perfettamente riuscito di osservazione e monitoraggio dei cani che ha portato la stessa piccola comunità di pescatori di questo piccolo paese a vedere migliorate le condizioni di vita. 

La petizione ad ora è arrivata a raccogliere già migliaia firme da diverse parti del mondo, in particolare dall’Italia da dove è partito “Stray Dogs International Project ”, ovvero il lavoro svolto sul territorio da parte degli educatori cinofili Clara Caspani e Lorenzo Niccolini e altri tra collaboratori, volontari e “turisti” che hanno partecipato alle cosiddette “working holidays”. 

Il progetto ha messo in moto una complessa operazione culturale che ha realmente portato a dei miglioramenti nella società civile che provengono dal lavoro fatto appunto con e sui cani e che ha avuto riflessi positivi anche e soprattutto sulla vita quotidiana della piccola comunità di Taghazout. «I cambiamenti si sono visti sia per quel che riguarda il rapporto tra cani e umani che per l’aspetto organizzativo dello stesso paese – spiega Lorenzo Niccolini – Si è capito che la presenza di cani in pianta stabile limita il numero degli stessi. C’è un simbolo che spiega bene questa evoluzione: l’orecchino post sterilizzazione che “portano” i cani. Rappresenta la loro “pulizia”, dunque favorisce la vicinanza tra le specie. Si è eliminata la barriera di diffidenza legata alle malattie e così un animale, per chi vive qui, può anche stare a stretto contatto con le persone». 

Le immagini di questo massacro sono online sui social network. Chi è interessato a vederle può cliccare qui. Sono molto forti, in questo articolo abbiamo invece preferito ricordare l’esperienza delle “working holiday” con Stray Dogs International in Marocco proprio per porre l’accento su una realtà idilliaca che è stata stravolta in questi ultimi giorni di mattanza. 

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