Cronache dell’era dell’iperdomesticazione. A Taipei un salone di bellezza è stato multato perché praticava illegalmente lo sbiancamento dei denti a cani e gatti. Un’azienda texana promette di clonare l’animale di compagnia per la modica cifra di 45 mila euro. L’artista Dominic Wilcox inaugura a Londra la prima mostra al mondo dedicata agli amici a quattro zampe. Un gruppo di scienziati scandinavi lancia sul mercato il dispositivo No More Woof per tradurre i latrati dei cani in linguaggio umano. Eccetera eccetera. Viene quasi voglia di rivalutare Donald Trump, il primo presidente americano che non ha portato alla Casa Bianca un «first pet» (Bo e Sunny, i due cani della famiglia Obama, avevano una schedule ufficiale proprio come il loro illustre padrone).

Se è vero ciò che sosteneva Gandhi, e cioè che si può giudicare la grandezza di una civiltà dal modo in cui vengono trattati gli animali, allora non possiamo sottrarci a qualche riflessione. Cosa siamo diventati, dove stiamo andando, cosa dice di noi il rapporto che abbiamo creato con i nostri animali? Il comico americano Jerry Seinfeld ha riassunto la situazione con questa battuta: «Mettiamo che un marziano osservi questa scena. Un essere segue un altro, ne raccoglie gli escrementi e li porta con sé mentre si fa trascinare a casa. Quale dei due penserebbe essere il padrone?».

Sono circa 500 milioni, nel mondo, le persone che dividono la loro vita con uno o più animali domestici. Secondo vari studi una percentuale compresa fra l’80 e il 90 per cento dei padroni li considera come veri componenti della famiglia. Altre ricerche sembrano dimostrare che i cani hanno problemi psicologici simili a quelli degli umani e capacità cognitive paragonabili a quelle di un bambino di tre-cinque anni: e allora non c’è molto da sorprendersi, se nelle aree dedicate ai cani si fanno discorsi simili a quelli che si sentono fuori da asili e scuole elementari («E il tuo come sta? Ha ricominciato a mangiare?»).

Foto di Thomas Roma, Plato’s Dogs (PowerHouse Books)

Si tratta, val la pena di ricordarlo, di un fenomeno relativamente recente: «Anche in passato le élite trattavano gli animali domestici come bambini, pure meglio in alcuni casi. Era però un fenomeno di nicchia che solo nel mondo contemporaneo si è esteso alla gran parte della popolazione» spiega Richard C. Francis, autore del libro Addomesticati. L’insolita evoluzione degli animali che vivono accanto all’uomo (Bollati Boringhieri). «Negli ultimi 150 anni, con l’avvento dei programmi di allevamento altamente controllati, abbiamo provocato negli animali cambiamenti maggiori di quelli avvenuti nei precedenti cinque millenni. Questo è evidente in particolare nei cani, che hanno subito cambiamenti estremi, nei maiali e nei bovini».

La domesticazione, vale a dire la trasformazione di alcuni animali selvatici in creature che vivono con noi, è un processo iniziato circa 30 mila anni fa. I primi furono proprio i cani, che all’epoca erano ancora lupi. Più o meno andò così: ai lupi interessava vivere vicino ai villaggi degli uomini perché in questo modo avevano facile accesso al cibo, inteso come avanzi e ossa; agli uomini interessava che i lupi vivessero vicino ai villaggi perché la loro presenza teneva lontani altri animali pericolosi. Insomma non eravamo ancora in grado di coltivare riso e grano ma già avevamo scelto l’antenato del cane come compagno di vita. Uno dei matrimoni di interesse più longevi e decisivi di sempre, visto che ha cambiato le sorti dell’umanità: «Senza gli animali addomesticati la civiltà come la conosciamo non esisterebbe» dice Francis.

Poi, certo, occorre distinguere. Un conto sono gli animali domestici (cani e gatti più quelli meno diffusi come furetti, conigli, criceti) e un altro le specie addomesticate che non vivono nelle nostre case (mucche, pecore, maiali eccetera). Mentre ai primi dedichiamo grandi attenzioni, tanto che il giro d’affari del pet food vale in Italia due miliardi di euro l’anno, i secondi sono nella maggior parte dei casi costretti a vivere in allevamenti-lager. Attenzione però: il confine fra i due mondi è sempre più sfumato e nel giro di qualche anno anche scoiattoli e procioni, coyote e tassi potrebbero rientrare nella categoria «animali casalinghi». Un esempio sono le volpi domestiche. Uno scienziato russo cominciò a selezionarle negli anni Cinquanta, scegliendo di volta in volta le più mansuete per capire se fosse possibile allevarle. Oggi vengono vendute negli Stati Uniti al prezzo di 6.600 euro l’una.

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Foto di Thomas Roma, Plato’s Dogs (PowerHouse Books)

Il protagonista di BoJack Horseman, uno dei cartoni per adulti più celebrati degli ultimi anni, è un cavallo antropomorfo che beve, fuma e sniffa cocaina. Nel mondo immaginario della serie non c’è differenza fra uomini e animali, tanto che BoJack fa sesso alternativamente con donne e gattine. Una provocazione, certo: ma quanto lontana dalla realtà? Non è forse vero che, pur amando gli animali domestici perché sono più affidabili e affettuosi rispetto ai nostri simili, ci approcciamo a loro come se fossero delle persone? «Nel Novecento l’animale è diventato un feticcio, un oggetto» dice Roberto Marchesini, etologo e fondatore dell’Istituto di formazione zooantropologica Siua. «Che i cani vengano trattati troppo bene e le mucche troppo male è un falso mito: in entrambi i casi non consentiamo all’animale di esprimere la sua animalità. Ecco perché sono nate patologie comportamentali che prima non esistevano. Oggi abbiamo cani ansiosi, fobici, iperattivi… E per curarli diamo loro il Prozac: c’è una quantità di animali sotto psicofarmaci che girano rimbambiti nelle nostre case».

Cani e gatti, oggi, non fanno parte del mondo umano ma nemmeno di quello non umano. Cosa siano esattamente non lo sappiamo: il tema è complesso e coinvolge vari ambiti, dalla scienza all’etica, dalla religione alla politica. Mentre gli animalisti più intransigenti ritengono qualsiasi forma di addomesticamento sbagliata ce ne sono altri, come il filosofo canadese Will Kymlicka, secondo cui dovremmo considerarli dei cittadini a tutti gli effetti e garantire loro un’assistenza sanitaria e una rappresentanza. Nel frattempo alcune nazioni si stanno muovendo in questa direzione: un paio di anni fa la Francia ha approvato un emendamento per dare agli animali lo status di «esseri viventi dotati di sensibilità» e non più di cose (la legge francese stabilisce anche a chi spetta l’affidamento in caso di divorzio, tema quest’ultimo che è sempre più causa di dispute legali).

«Lo sbiancamento dei denti, le cuccette stile liberty e la torta di compleanno sono solo gli aspetti più folkloristici» conclude Marchesini. «Il problema è più ampio e riguarda pure chi passa ore parlando col suo cane oppure lo abbraccia per dimostrargli il suo affetto, perché sta usando un linguaggio umano con una creatura che non può capirlo. Il cane ha bisogno di passeggiare con noi nei boschi, buttarsi nei canali, strofinare il suo naso dove crede; il gatto, di inseguire le lucertole e scalare gli alberi. Trattarli come dei nostri simili non è una forma d’amore. Chi lo fa si perde tutto il bello della caninità e della felinità».

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Foto di Thomas Roma, Plato’s Dogs (PowerHouse Books)

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